Nel secondo trimestre del 2025, l’Italia costruisce il 7,5% in meno di case rispetto allo stesso arco temporale del 2024. Una fotografia chiara quella dell’Istat, inserita all’interno del rapporto “Permessi di costruire”, che evidenzia lo stato di salute del mondo dell’edilizia nel Paese. Se il numero complessivo di abitazioni autorizzate è diminuito del 7,5%, la superficie utile abitabile è scesa dell’1,6%. Un dato che interrompe la crescita registrata tra il 2021 e il 2023 e che riflette la frenata del settore dopo il progressivo esaurirsi dei bonus edilizi e l’aumento del costo dei finanziamenti bancari. Il comparto residenziale è quello che soffre di più. A livello nazionale, nel 2025 sono stati autorizzati 13.780 nuovi edifici residenziali, in netto calo rispetto ai 14.888 del 2024. Il totale delle abitazioni previste si attesta a 58.520 unità contro le oltre 63.200 dell’anno precedente. Sul versante opposto, il comparto non residenziale — edifici destinati ad attività produttive, commerciali o terziarie — mostra una lieve ripresa congiunturale: +13,6% rispetto al primo trimestre, pur restando sotto i livelli pre-pandemia. E non va meglio in Sicilia.
Il caso Sicilia: una frenata che pesa su economia e lavoro
La Sicilia registra un calo del 9,8% nei permessi di costruzione residenziali nel primo semestre 2025, secondo le elaborazioni Istat e Regione Siciliana – Dipartimento Urbanistica. La superficie utile abitabile autorizzata scende da 560 mila a 502 mila metri quadrati, mentre il numero di nuovi edifici previsti passa da 1.740 a 1.570. Il comparto non residenziale (capannoni, edifici turistici e commerciali) mostra un leggero aumento congiunturale (+3,1%), trainato da progetti di riqualificazione in provincia di Ragusa e Siracusa. La frenata del settore edilizio colpisce però direttamente il mercato del lavoro. Secondo i dati Inps, nel primo semestre 2025 gli addetti alle costruzioni in Sicilia sono diminuiti del 4,6% rispetto allo stesso periodo del 2024, con punte del -8% a Enna e -6,5% ad Agrigento. Le piccole imprese, che costituiscono oltre il 90% del tessuto produttivo regionale, segnalano un calo degli ordini e difficoltà di liquidità. “Il rallentamento dei permessi si traduce in una perdita di occupazione diretta e indotta”, spiega la CNA Sicilia. “Ogni progetto edilizio sospeso genera un effetto moltiplicatore negativo su forniture, trasporti e servizi professionali.” Anche l’Ance Sicilia lancia l’allarme: “Senza politiche di sostegno alla rigenerazione urbana e alla nuova edilizia pubblica, la filiera rischia di perdere altri 10.000 posti di lavoro entro la fine del 2025”.
Un mercato frammentato e diseguale
La crisi del comparto edilizio in Sicilia riflette le profonde differenze interne all’Isola. Le province di Palermo e Catania concentrano oltre il 40% dei nuovi permessi, seguite da Trapani (13%) e Ragusa (9%). Le aree interne e montane, invece, restano quasi ferme: a Enna e Caltanissetta nel 2025 sono stati autorizzati meno di 60 nuovi edifici residenziali in totale. Il dato più preoccupante riguarda la diminuzione dei permessi per edilizia pubblica: -14% rispetto al 2024. Molti comuni, osserva l’Istat, non riescono a bandire nuovi progetti a causa del blocco della spesa o della complessità delle procedure del PNRR. Proprio l’incapacità di spese da parte di Comuni e Regione Sicilia in qualità di soggetti attuatori dei progetti del PNRR, è una delle motivazioni alla base della perdita di fiducia e credibilità da parte degli italiani nelle istituzioni, come testimoniato dalla ricerca Istat su “Fiducia nelle istituzioni del Paese”. Solo per citare i numeri del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, basti pensare che sul sistema informativo Re.Gi.S., piattaforma ufficiale per il monitoraggio e la rendicontazione dei progetti PNRR, i dati aggiornati al primo settembre evidenziano come in Sicilia sia stato effettuato appena il 31,63% dei pagamenti, pari a oltre 5 miliardi di euro, su un totale di quasi 15,9 miliardi di finanziamenti complessivi. Questa “inoperosità” da parte delle istituzioni si traduce in maniera diretta nella plausibile impossibilità di utilizzo complessivo dei fondi messi a disposizione da parte dell’Ue, che devono essere spesi entro e non oltre il prossimo 30 giugno. Nel frattempo, le opere di rigenerazione urbana e di efficientamento energetico faticano a partire: solo il 28% dei progetti approvati nel 2023 risulta effettivamente avviato nel 2025.
Un Paese che costruisce meno (e più lentamente)
Il rallentamento riguarda non solo la quantità, ma anche i tempi. Secondo l’Istat, il periodo medio di realizzazione dei progetti autorizzati nel 2025 si è allungato del 9% rispetto al 2023. La causa principale è l’aumento dei costi di costruzione, cresciuti del 15% in due anni, in particolare per acciaio, cemento e impianti tecnologici. “Gli investimenti nel settore edilizio stanno subendo una contrazione strutturale”, osserva il rapporto, “dopo un triennio caratterizzato da interventi di riqualificazione sostenuti dagli incentivi fiscali”. Nel 2025, il valore complessivo dei permessi di costruire residenziali rilasciati si riduce del 4,8% rispetto all’anno precedente, mentre la superficie media per abitazione aumenta lievemente, passando da 106 a 108 metri quadrati. Un segnale che indica come si costruisca meno, ma per una fascia di mercato più alta, orientata a immobili di pregio o seconde case. Al contrario, il segmento dell’edilizia popolare e dei piccoli centri subisce la flessione più marcata, con un calo del 12,4% nei permessi.
Le cause del rallentamento
Il calo generalizzato è il risultato di un insieme di fattori economici e normativi. Il primo è la fine graduale dei bonus edilizi. Con la rimodulazione del Superbonus e la riduzione delle aliquote per ristrutturazioni e riqualificazioni, la filiera ha subito un brusco stop.
Le imprese del settore segnalano un aumento dei cantieri sospesi e una riduzione degli investimenti privati. La crisi del credito ha aggravato la situazione: tra gennaio e giugno 2025, secondo Banca d’Italia, i mutui edilizi concessi per nuove costruzioni sono calati del 21,3% su base annua. A ciò si aggiunge il peso dell’inflazione dei materiali. Il prezzo medio dei componenti strutturali è salito del 18% tra il 2022 e il 2024, mentre l’energia, pur in lieve calo nel 2025, continua a incidere sui costi di cantiere. “Le condizioni finanziarie più rigide e l’assenza di nuovi incentivi fiscali riducono la redditività degli investimenti”, spiega l’Istat, evidenziando come il settore residenziale sia quello più sensibile alle variazioni di tasso. Infine, pesa la crisi demografica. Con una popolazione in calo e un numero di nuclei familiari stabili, la domanda abitativa tende a rallentare. L’Istat stima che nel 2025 i nuovi nuclei siano cresciuti solo dello 0,3%, contro il +0,9% del 2022. L’Italia, insomma, costruisce meno perché abita meno.
Nord e Sud: due velocità nel mercato edilizio
Le differenze territoriali restano marcate. Nel Nord Italia, dove la domanda immobiliare resta sostenuta, il calo dei permessi è contenuto: -3,8% rispetto al 2024. Nel Centro, il dato peggiora (-6,2%), ma è nel Mezzogiorno che si registra la contrazione più severa: -10,5%. Il Sud soffre per la bassa redditività del mercato, la lentezza dei processi autorizzativi e la minore capacità di accesso al credito. L’Istat segnala che, tra le regioni più colpite, spiccano Sicilia, Calabria e Molise, dove i permessi per nuove abitazioni sono calati tra il 9 e il 12%. Le città metropolitane del Sud mostrano un andamento altalenante: Napoli tiene (+1,3% grazie ai cantieri PNRR), Palermo arretra (-8,7%), Catania crolla (-10,9%).
Istat: “Serve una nuova stagione di politiche abitative”
Nel commento conclusivo al report, l’Istat parla apertamente di “transizione del settore edilizio verso una fase di stagnazione strutturale”. L’Istituto individua tre priorità per invertire il trend:
- semplificare le procedure urbanistiche, ancora troppo disomogenee tra le regioni;
- rilanciare l’edilizia residenziale pubblica per rispondere al bisogno di casa delle fasce deboli;
- integrare la rigenerazione urbana con la sostenibilità ambientale, puntando su recupero del patrimonio esistente anziché su nuove volumetrie.
In Sicilia, dove il patrimonio edilizio è spesso vetusto e il bisogno abitativo rimane elevato, il crollo dei permessi è un segnale d’allarme sociale. Meno costruzioni significa meno lavoro, meno riqualificazione e più rischio di abbandono urbano. Come scrive l’Istat, “il rallentamento del settore non è solo economico, ma riflette l’assenza di una strategia di lungo periodo”.
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