Il celebre cantautore si esibirà il 20 novembre nel Teatro Metropolitan di Catania con “Le vie del rock sono infinite”
CATANIA – Ha l’onestà intellettuale di chi canta comunque la libertà in musica, vivendola sulla propria pelle. Rivoluzionario, visionario nel suo essere artista, Edoardo Bennato racconta come nessun altro storie popolate di personaggi che, dall’immaginario collettivo, sono entrati in profondità nel tessuto sociale del nostro Paese.
Torna il cantastorie che da cinquant’anni immortala con le sue canzoni il mondo odierno, fatto di buoni e cattivi, sbeffeggiando i potenti e inneggiando alla forza umana della gente, on stage con “Le vie del rock sono infinite-Teatri 2023”. Due ore di musica, video coinvolgenti e l’interazione con il pubblico per un’esperienza da vivere dall’inizio alla fine. Lunedì 20 novembre, alle ore 21,30, sarà al teatro Metropolitan di Catania per uno spettacolo prodotto da Dimensione Eventi.
Dal vivo nel capoluogo etneo per l’unica tappa siciliana del tour. Quali emozioni accompagnano questo ritorno nell’Isola?
“Lo dico sempre: amo la Sicilia e i siciliani che considero, in larga maggioranza, un popolo forte, schietto e leale. Quanto a Catania, è un gioiello dal punto di vista architettonico e storico. Di aneddoti ne avrei tanti, legati alle persone che conosco da anni, come Loredana Nicosia che da sempre fa dei fumetti meravigliosi anche delle mie ‘Avventure rock’”.
Dunque, le vie del rock sono infinite. Dove ti hanno portato?
“Il rock mi ha portato a girare quasi tutti i continenti, mi ha dato la possibilità di guardare la realtà in modo diverso. Il rock è il tentativo di scardinare, laddove sia possibile, i luoghi comuni, i paradossi, le false morali. In questo senso le vie del rock sono infinite”.
Hai mai pensato che il tratto che stavi percorrendo non fosse quello giusto?
“Inizio il concerto con un’ode al dubbio, ‘Abbi dubbi’, un invito a coltivare i dubbi anziché barricarsi dietro le proprie certezze”.
Seconda stella a destra. La strada dell’utopia è oggi meno perseguibile di un tempo?
“Il concetto utopico dell’Isola che non c’è contempla l’ideale, anche un po’ romantico, della ricerca del migliore dei mondi possibile. Al punto in cui è arrivata l’Umanità, quest’Isola dobbiamo per forza trovarla: lo dobbiamo a noi stessi e alle generazioni future”.
L’amore per la musica scoppia grazie all’infruttuosa ricerca di un maestro di lingue da parte di tua madre. Poi come andò?
“Non avevo ancora tredici anni quando mi trovai con i miei due fratelli, Eugenio e Giorgio, in Sud America a bordo di una nave da crociera, con cui arrivammo in Venezuela dove suonammo per l’emittente ‘Canal 7’, che voleva metterci sotto contratto per una serie di trasmissioni. Ma per mio padre e mia madre dovevamo tornare a scuola e non se ne parlò più. Chissà oggi, magari per un talent di successo, se due genitori farebbero lo stesso”.
C’è stato un momento preciso in cui hai capito che la musica sarebbe stata la tua vita?
“L’ho capito fin da bambino, quando ho attraversato l’oceano”.
Penso ai vari “Pinocchio” e a tutti quei “Burattini senza fili” metafore attraverso cui ci racconti la nostra società. Perché hai scelto di farlo proprio utilizzando queste forme fiabesche e popolari?
“La formula delle favole mi permette di parlare di certi argomenti senza correre il rischio di imbattermi in luoghi comuni, didascalici, paternalistici o addirittura moralistici”.
E soprattutto la chiave di lettura resta ancora l’amore?
“In tutta la mia produzione artistica, l’amore è sempre presente. Guai se così non fosse!”.
Il nostro è ancora un “Belpaese dei balocchi”, continuamente ripopolato dai cosiddetti privilegiati del “Sistema Occidentale”?
“Certo e non solo. Più si va avanti e più scopriamo l’Italietta popolata di gatti e volpi, grilli parlanti e sparlanti, di mangiafuoco, di burattinai… Insomma, sempre più collodiana”.
Sono solo canzonette. Eppure sbancarono San Siro all’epoca, fornendoci un perfetto quadro della società di quegli anni. Cosa cambierebbe oggi, se ti chiedessero di creare una delle tue magiche poesie sul tessuto sociale italiano del nostro tempo?
“Forse è sfuggito che continuo, anzi mi ostino, a scrivere ‘canzonette’ che parlano delle contingenze attuali. Chi le ascolta potrebbe notare che gli argomenti di cui tratto nelle canzoni sono gli stessi che potrebbe trovare sfogliando i giornali, i quotidiani di oggi e forse anche di domani”.
A distanza di cinquant’anni da quel lontano 1973, quando pubblicasti il tuo primo album, ti senti ancora un ‘rinnegato’?
“Se non fossi un rinnegato non farei rock’n’roll”.
Osservandoti allo specchio chi vedi?
“Vedo una persona proiettata verso il futuro. Il passato è il bagaglio della vita vissuta, qualche volta è anche un po’ pesante. Mi intrigano molto di più il presente e soprattutto il futuro”.
Edoardo Bennato, un vorace collezionista di emozioni. Ti riconosci in questa descrizione?
“Assolutamente sì”.