Sono oltre 2 milioni e 115 mila gli edifici italiani che, insieme alle 727 mila imprese, si trovano nelle aree più esposte al rischio idrogeologico. Di quest’ultime, oltre 84 mila ricadono in aree definite a pericolosità da frana elevata e molto elevata, con oltre 220 mila addetti esposti a rischio mentre più di 640 mila imprese sono ubicate in aree a pericolosità per alluvioni nello scenario medio. Oltre 1 milione e 300 mila abitanti e quasi 548 mila famiglie vivono in zone a rischio frane e sono quasi 7 milioni gli abitanti in aree soggette ad alluvione.
Secondo gli ultimi dati ufficiali dell’Ispra, su una superficie nazionale di 302.068 km2, il 18,4% è mappato nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni (55.609 km2). Degli oltre 213 mila beni architettonici, monumentali e archeologici presenti in Italia, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi nelle aree a pericolosità elevata sono oltre 12 mila; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità.
In tutta Italia il dissesto idrogeologico è diffuso in modo capillare e rappresenta un problema di notevole importanza. Il nostro paese è, tra quelli europei, il più vulnerabile alle catastrofi naturali, quali terremoti, alluvioni, frane, inondazioni ed esondazioni, come indicato da uno studio condotto dal Disaster risk management knowledge centre (Drmkc) del Joint research centre (Jrc) della Commissione europea, che si basa su dati di Eurostat, World bank, Corine, Università di Göteborg e Unesco.
Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio ai dissesti idrogeologici, rientra la sua conformazione geologica e geomorfologica, caratterizzata da un’orografia, la distribuzione dei rilievi, complessa e bacini idrografici generalmente di piccole dimensioni, che sono quindi caratterizzati da tempi di risposta alle precipitazioni estremamente rapidi per cui il tempo che intercorre tra l’inizio della pioggia e il manifestarsi della piena nel corso d’acqua può essere dunque molto breve. Eventi meteorologici localizzati e intensi combinati con queste caratteristiche del territorio possono dare luogo dunque a fenomeni violenti caratterizzati da cinematiche anche molto rapide, come le colate di fango e i flash floods. Il rischio idrogeologico è inoltre fortemente condizionato anche dall’azione dell’uomo. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente e la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano e aumentato l’esposizione ai fenomeni e quindi il rischio stesso. La frequenza di episodi di dissesto idrogeologico, che hanno spesso causato la perdita di vite umane e ingenti danni ai beni, impongono una politica di previsione e prevenzione non più incentrata sulla riparazione dei danni e sull’erogazione di provvidenze, ma sull’individuazione delle condizioni di rischio e sull’adozione di interventi per la sua riduzione.
I dati riportati dalla piattaforma Idrogeo di Ispra indicano che sono quasi 90.000 gli abitanti dell’isola, pari a 36.630 famiglie, che vivono in zone a elevato e molto elevato rischio di frane, zone in cui sono presenti anche 47.721 edifici, 4,219 imprese e 637 beni culturali, anch’essi a rischio. Non è più confortante il dato riguardante i siciliani che vivono in zone soggette a rischio a causa di alluvioni perché sono oltre 130.000, pari a 51.293 famiglie, e, oltre a loro, sono a rischio 39.225 edifici, 9.490 imprese e 473 beni culturali.
Il triste primato appartiene alla città metropolitana di Palermo che, con i suoi 34.379 abitanti che vivono in zone ad alto frane e 57.847 abitanti che vivono in zone a rischio alluvione, guida la classifica dei territori siciliani “più pericolosi” in cui vivere. L’accordo per il Fondo di sviluppo e coesione (Fsc) 2021-2027, siglato lo scorso 27 maggio a Palermo, tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Presidenza della Regione, ha previsto interventi per il contrasto al dissesto e all’erosione costiera con uno stanziamento di circa 700 milioni.
I numeri parlano chiaro: nel 2023, il mondo ha assistito a 398 eventi catastrofici naturali a livello mondiale, con perdite in Europa che ammontano a 77 miliardi di euro. L’Italia, in particolare, si trova in prima linea con 378 eventi meteorologici estremi nel 2023, il 22% in più rispetto al 2022, con danni da miliardi di euro ai territori e la morte di 31 persone. L’Italia, insieme alla Grecia, è il Paese con minore protezione dai rischi derivanti da eventi naturali. In caso di alluvioni il 97% dei sinistri è senza copertura. L’art. 1, commi da 101 a 111, della “Legge di Bilancio 2024”, la Legge 213/2023, ha introdotto l’obbligo per tutte le imprese, entro il 31 dicembre 2024, a stipulare contratti di assicurazione a copertura dei danni cagionati da calamità naturali ed eventi catastrofali.
L’obbligo è stato introdotto per tutte le imprese con sede legale in Italia iscritte al Registro delle Imprese e per le imprese con sede legale all’estero ma presenti con organizzazione stabile sul territorio nazionale iscritte al Registro Imprese, incluse le imprese individuali, le società di persone e quelle a responsabilità limitata.
Si tratta di una specifica polizza assicurazione al fine di tutelare il tessuto produttivo dagli ingenti danni causati da eventi calamitosi come terremoti, alluvioni, frane, inondazioni ed esondazioni che avvengano sul territorio nazionale a copertura di possibili danni diretti alle immobilizzazioni materiali come terreni e fabbricati, impianti e macchinari oltre a attrezzature industriali e commerciali.
Per le imprese che non rispettano tale obbligo sono previste sanzioni da 200 mila a 1 milione di euro, e a questo si aggiunge quanto indicato dal comma 102 dell’art. 1 della sopra citata “Legge di Bilancio 2024”, ossia che in caso d’inadempimento “dell’obbligo di assicurazione da parte delle imprese di cui al comma 101 si deve tener conto nell’assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni di carattere finanziario a valere su risorse pubbliche, anche con riferimento a quelle previste in occasione di eventi calamitosi e catastrofali”.
Questo significa che l’eventuale mancata stipula della copertura assicurativa determinerà l’esclusione dall’assegnazione di contributi, sovvenzioni, agevolazione di carattere finanziario a valere sulle risorse pubbliche, anche con riferimento a quelle previste in occasione di eventi calamitosi e catastrofali. Mentre si attende l’uscita dei Decreti attuativi che obbligano le compagnie assicurative ad attrezzarsi con prodotti adeguati e aggiornati agli schemi di assicurazione designati e le imprese a cercare una compagnia assicurativa con cui sottoscrivere la propria polizza obbligatoria e conseguentemente mettere a budget questa nuova spesa, è necessario ricordare che l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria alle imprese contro le calamità naturali è un allineamento verso altri Paesi europei che, come Francia, Germania, Austria e Spagna, hanno in vigore già da tempo questo sistema di copertura obbligatoria per le imprese contro i rischi derivanti da eventi naturali. Per ora l’obbligo riguarda esclusivamente le imprese e non le famiglie, per le quali si prospetta un intervento successivo, entro la fine della legislatura.
A proposito della situazione della Sicilia, interviene al QdS il geologo Michele Orifici, vicepresidente nazionale della Sigea, la Società italiana di geologia ambientale.
Dottor Orifici, ci può fare un quadro complessivo della situazione dell’isola rispetto ai rischi idrogeologici?
“La Sicilia, nella bellezza dei suoi paesaggi, presenta mille criticità anche perché proprio questa bellezza deriva anche dalla notevole geodiversità che caratterizza l’isola. Questo rende la Sicilia particolarmente esposta al dissesto idrogeologico, notevole in termini di frane nelle zone dell’entroterra e, contemporaneamente, nelle zone costiere c’è una maggiore esposizione di carattere idraulico, ossia alluvioni ed esondazioni, che si ripercuotono sull’urbanizzato. Che il cambiamento climatico sia in atto non c’è dubbio e lo dimostra il fatto che i fenomeni di pioggia straordinaria siano notevolmente aumentati rispetto al passato. Contemporaneamente siamo anche vittime di un lungo periodo di siccità, ancora una volta segno che la crisi climatica in atto non ha ancora trovato il proprio equilibrio”.
Parliamo di numeri…
“Lo strumento che censisce le frane e i fenomeni idraulici è il Pai, il Piano di assetto idrogeologico, il cui aggiornamento costante avviene con cadenza per lo più mensile, ed è a carico dell’Autorità di Bacino del distretto idrografico della Sicilia. In atto sono mappate 43.011 frane (tra attive, sospese, riattivate, inattive, quiescenti, naturalmente stabilizzate, artificialmente stabilizzate e relitte, ndr) e 21.055 aree a pericolosità idraulica, ossia siti esposti a possibili fenomeni di allagamento, ma dobbiamo fare una precisazione”.
Ossia?
“Se la frana avviene in aperta campagna, dove non ci sono elementi esposti che possono essere colpiti dall’attivazione di un dissesto, non determina il fenomeno del rischio o, se lo genera, il suo livello è molto basso. Quando invece i dissesti interessano le opere urbanizzate, ossia i centri abitati o la viabilità importante, il livello di rischio diventa massimo. Per convenzione questo livello è misurato da R1 a R4, indicatori che indicano il rischio per persone e cose e R4 è il massimo. Nell’ambito degli interventi di mitigazione si tiene, ovviamente, conto di questo”.
Dal punto di vista legislativo, la madre di tutte le leggi è il Regio decreto del 1923, segno che non si tratta di un fenomeno emergenziale, e, nonostante la legge 183/89 riveduta e corretta dopo l’evento catastrofico di Sarno del 1998, dal punto di vista legislativo siamo in affanno e non penso che la vostra categoria non abbia nel tempo accesso moltissimi campanelli d’allarme…
“Il Regio Decreto del 1923 è tuttora vigente nella parte che riguarda il patrimonio boschivo. In realtà il dissesto idrogeologico c’è sempre stato, con alcuni periodi caratterizzati da fenomeni più importanti, che hanno alzato il livello di attenzione sul problema, e altri caratterizzati da una sorta di tranquillità che, però, ha generato una sorta di pace apparente, con il risultato che non se ne è più parlato fino al successivo fenomeno estremo, mentre l’attenzione dovrebbe sempre essere massima. L’evento di Sarno, secondo il mio punto di vista, è stato un evento spartiacque. Si tratta, come successe per l’evento de L’Aquila dal punto di vista sismico, di un evento che ha scosso le coscienze”.
E in Sicilia?
“In Sicilia solo nel 2018 è stata istituita l’Autorità di Bacino del Distretto Idrografico della Sicilia, prevista dalla L.183/89. Prima di quel momento la competenza era in capo all’Assessorato Territorio e Ambiente. Dal quel 2018 a oggi abbiamo fatto passi importanti e siamo nella fase di recupero anche perché con il Pai, e grazie ai sistemi digitali disponibili, le mappature sono sempre più dettagliate. Questo, però, è un lavoro che ha poco respiro comunicativo soprattutto nei confronti dei cittadini, con uno scarso di trasferimento d’informazioni che permettano di eliminare atteggiamenti che generano pericolosità aggiuntive a quelle dell’evento. I piani di protezione civile sono uno strumento fondamentale proprio per cercare di rendere partecipi i cittadini rendendoli attori, sia nella fase di redazione sia in quella di attuazione del piano, facendogli così capire non solo cosa sia il piano ma quali sono i rischi presenti nel territorio in cui vive, si lavora e si va a scuola. Non ultimo imparare quel sia il comportamento giusto da tenere nel caso in cui si verifichi una situazione di emergenza. Andiamo spesso nelle scuole proprio per parlare di questo, con l’obiettivo di creare, proprio nelle nuove generazioni, una maggiore consapevolezza”.
Tutto questo, per voi geologi, genera un grande lavoro…
“Sì, ma assistiamo a un fenomeno particolare. Nonostante è evidente che la figura del geologo sia importante, assistiamo a un notevole calo delle iscrizioni alla facoltà di Scienze geologiche. Evidentemente, anche in questo caso, non passa il messaggio che la professionalità del geologo serve alla società”.
Ritiene ipotizzabile un periodo temporale al termine del quale gli interventi di mitigazione messi in atto compenseranno i cambiamenti climatici o la loro corsa ci supererà?
“Non sappiamo quanto dureranno i fenomeni in corso oggi e non possiamo prevedere quando si normalizzeranno. Credo però che gli interventi fatti abbiano già mitigato molte situazioni di rischio che coinvolgevano i centri abitati e le infrastrutture portanti. È però complicato ipotizzare quando sarà possibile mettere completamente in sicurezza la Sicilia, con le problematiche e le criticità esistenti, ed è altrettanto difficile ipotizzare quanti fondi possano servire”.
Ad eccezione del Regio Decreto n. 3267 del 30 dicembre 1923, focalizzato sul vincolo idrogeologico, la gestione dei boschi e la sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, l’Italia ha scontato fino al 1989 un forte ritardo nella promulgazione di norme che imponessero di considerare i fenomeni di origine naturale, quali frane e alluvioni, nella pianificazione territoriale e urbanistica. La Legge n. 183 del 18 maggio 1989, ispirata ai risultati della Commissione De Marchi, è infatti la prima norma organica per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo che individua il bacino idrografico come base territoriale di riferimento per la protezione idrogeologica e le Autorità di bacino quali istituzioni responsabili della predisposizione del Piano di Bacino. Quest’ultimo è uno strumento fondamentale per la pianificazione territoriale e per la programmazione di opere di sistemazione ed è sovraordinato agli altri piani di livello regionale, provinciale e locale.
Tuttavia fino all’evento catastrofico di Sarno del 5 maggio 1998, la Legge 183/89 non ha avuto piena attuazione, con pochi Piani stralcio adottati. Con l’emanazione del Decreto Legge n. 180 dell’11giugno 1998, convertito nella L. 267/1998, è stata impressa un’accelerazione all’individuazione, perimetrazione e classificazione delle aree a pericolosità e rischio idrogeologico per frane e alluvioni, all’adozione dei Piani stralcio di bacino per l’Assetto Idrogeologico (PAI) e delle misure di salvaguardia con vincoli e regolamentazioni d’uso del territorio. La legge 183/89 è stata successivamente abrogata e in parte integrata nel D.Lgs. 152/2006 aggiornato al 2024.