Il popolo tedesco è andato a votare in massa: l’ottantaquattro per cento degli elettori! Una prova d’alta democrazia e di grande interesse da parte dei/delle cittadini/e per il loro futuro e il futuro del proprio Paese.
Ricordiamo che in Germania si vota con la proporzionale pura e con uno sbarramento del cinque per cento. I partiti che non superano questa soglia non sono ammessi al Parlamento.
Un dato preoccupante che emerge è la netta divisione degli elettori, che grosso modo riproduce i confini antichi dell’Est e dell’Ovest, cessati il 9 novembre 1989. Per cui si riproduce una situazione che proviene dalla fine della guerra con l’accordo di Jalta (1945).
Il dato più rilevante è il successo notevole del partito conservatore Afd, che è passato dal dodici al quasi ventuno per cento, raddoppiando il numero dei deputati. Ma questo successo, probabilmente, non lo porterà al Governo.
La correzione di rotta politica della Cdu ha consentito al partito di Friedrich Merz di guadagnare qualche seggio in quanto si è spostato leggermente nella banda dei conservatori. Per contro l’Spd del cancelliere Olaf Scholz ha perso molti seggi. Tuttavia sembra probabile che la coalizione che ha governato in quest’ultima legislatura sarà rieditata, però a parti invertite. Non sembra infatti che il futuro cancelliere Merz sia orientato ad allearsi con Afd.
Di fatto in Germania si riproduce lo scenario politico che è in atto in Francia perché colà il partito di Marine Le Pen, Rassemblement National, pur avendo raggiunto un notevole risultato elettorale, è escluso dalla coalizione piuttosto raffazzonata e forse minoritaria che in atto governa la Francia.
Ma colà vi è stabilità istituzionale perché il presidente della Repubblica viene eletto a suffragio universale dal Popolo e continua a governare il Paese a prescindere dai partiti, come in atto sta facendo Emmanuel Macron.
L’instabilità del primo Paese d’Europa, cioè la Germania, e del secondo, cioè la Francia, nuoce molto all’Unione, che invece avrebbe bisogno di una guida ferma e sicura.
In questo scenario ha assunto un protagonismo rilevante Donald Trump, quarantasettesimo presidente degli Sati Uniti, il quale sta smantellando la burocrazia dell’ex presidente, Joe Biden, detto sleepy Joe per il suo atteggiamento quasi dormiente.
Sembra improbabile che i proclami di Trump possano essere realizzati perché sono esagerati, ma certamente un cambio di rotta rispetto allo scorso 5 novembre, giorno delle elezioni americane, si avverte già ora.
Trump intende creare un asse con Putin sia perché l’immenso mercato russo, sottopopolato, fa gola a tutte le imprese americane; sia perché egli cerca di attrarre il Presidente-dittatore russo nella propria sfera di influenza, sottraendolo a quella cinese. Ma Putin non è sciocco e si rende conto di poter giocare le proprie carte per averne il massimo vantaggio: il primo è quello di annettersi definitivamente le quattro regioni ex ucraine e la Crimea, come ha già fatto.
Tornando alla Germania e al suo risultato elettorale, dobbiamo rilevare che essa potrà essere un importante protagonista nel futuro dell’Europa se sarà capace di guidare gli altri ventisei Paesi verso una profonda riforma istituzionale, che faccia diventare questa Unione una vera unione, come quella statunitense. Ricordiamo che negli Usa i cinquanta Stati funzionano come fossero una sola cosa, mentre l’Ue rappresenta ventisette Stati che agiscono ognuno per conto proprio.
Non sappiamo se il prossimo cancelliere Merz sia all’altezza di Angela Merkel, che ha guidato con mano sicura la Germania e ha anche tentato di far funzionare l’Unione europea-riuscendoci solo in minima parte. Sicuramente l’allarme di trentamila licenziamenti della Volkswagen non va sottovalutato perché una minore produzione di auto in Germania significa un minore acquisto di componenti prodotti in Italia.
Il puzzle tedesco è difficile da comporre, ma non dimentichiamo che con tutte le riserve mentali possibili, il popolo tedesco è sempre un popolo democratico.

