Lagalla, con il ritiro degli altri due candidati, è il cerimoniere di una tregua che cesserà, molto probabilmente, subito dopo il voto del 12 giugno
Il palermitano si “agghiutte” di tutto. Dopo pasquetta, 25 Aprile e 1 Maggio le graticole elettorali hanno cotto, e successivamente mangiato, molte delle candidature nell’area di centrodestra. Erano partiti in 7, come i magnifici del film, ma di Magnifico alla fine ne rimarrà soltanto uno. Roberto Lagalla, incoronato in un luogo dal prestigio antico.
Ormai i candidati non si costruiscono con un elaborato gioco di lavoro sulle comunità intermedie o sulle filiere in cui si divide una società. Sono come dei mangia e bevi da inghiottire nell’arco di pochi giorni. Qualcuno, a riguardo delle trattative delle ultime ore ha proposto, dopo arancini e paccheri, la suggestione del patto della “stigghiola”, tipico street food palermitano.
Il patto, comunque sarà denominato, è stato siglato all’Hotel delle Palme, non si sa se sulle note del Parsifal, che Wagner compose in questo famoso albergo. Stanze piene di passato, tra nobili senza più palazzo che consumavano le ultime rendite vivendoci e mafiosi italoamericani che incontravano i notabili locali nel dopoguerra.
Di fatto il centrodestra, precipitato in un ansia da sconfitta, date le spaccature che rimangono comunque tali, ha deciso non di vincere, ma di non perdere. La formula tra i contendenti interni, al di là di proclami, comunicati e retroscena, è quella dello 0-0 palla al centro. Intendendo il centro politico non in qualità di calamità, ma di luogo centripeto per non evidenziare le sconfitte paventate dai due schieramenti, che rimangono ad oggi divisi sul futuro e sulle ragioni dello stare insieme. Lagalla, con il ritiro degli altri due candidati, è il cerimoniere di una tregua che cesserà, molto probabilmente, subito dopo il voto del 12 giugno, più che una sintesi politico-amministrativa.
Ovviamente il ritiro di Cascio e Lentini scompagina le speranze di un centrosinistra che, costretto dai veti di Orlando e Giusto Catania, non è riuscito minimamente ad allargare il gioco, se non il campo. Sarà così anche più avanti? Errare è umano, perseverare diabolico.
Il ballottaggio, unico orizzonte possibile della candidatura Miceli, si trasforma in un miraggio. Come l’effetto Morgana sullo Stretto di Messina. Ovviamente ci sarà chi dirà “l’avevo detto in tempi non sospetti”, tipica frase in una terra in cui la cultura del sospetto è dominante, chi gongolerà sul “dopo di me il diluvio”, ma tant’è.
Sono pronti già i peana per il carro del vincitore, arte eterna dei sicilioti, e le “tariglie”sui posti nelle retrovie del potere, prima ancora di prendere l’orso. La quinta città d’Italia è essenzialmente questa. C’è chi annuncia dieci rivoluzioni. A noi interesserebbe una sola. Quella della indipendenza culturale, che anni di primavere vacue non hanno portato.
Così è se vi pare.