Madre o matrigna? Parossismo dopo parossismo, il sentimento di chi vive nei paesi alle pendici dell’Etna ma anche in città, a Catania, vacilla. La maestosità del vulcano, che attira visitatori da tutto il mondo, sempre più spesso si palesa tramite le frequenti cadute di cenere che ricoprono strade, piazze, tetti e terrazzi determinando pericoli, disagi e scoramento in quanti – praticamente tutti – devono fare i conti con la raccolta e lo smaltimento. Un’attività che, con il passare del tempo, più che creare senso di comunità – come accade in occasione delle calamità naturali – scopre l’impreparazione del sistema che ci si aspetterebbe si attivasse in occasione di fenomeni del genere. Non più di tanto prevedibili, ma sulla cui manifestazione – con frequenze e tempi di ritorno diversi – si può essere certi. D’altronde l’Etna è lì ed è attivo non da ieri.
L’ultima eruzione, avvenuta nella notte tra sabato e domenica dal cratere Voragine, ha causato l’innalzamento di una colonna di lapilli che sospinta dal vento si è riversata sul fronte sud-est del vulcano, colpendo oltre una decina di comuni. A differenza dei parossismi di luglio, stavolta, il diametro della sabbia è stato di maggiori dimensioni. Uguali al mese scorso, invece, sono i quesiti che i sindaci dei centri colpiti si pongono: cosa fare adesso?
Tra i principali problemi legati alla caduta della sabbia vulcanica – su quelli sulla salute a oggi non si hanno evidenze, ma gli esperti consigliano l’uso della mascherina per maneggiarla – c’è quello economico. Ripulire le aree pubbliche ha un costo per i Comuni e i privati, a loro volta, si trovano a dover affrontare spese non di poco conto per liberare i tetti. Altrettanto onerosa è l’attività di gestione post-raccolta: fino all’anno scorso, la cenere è sempre stata ritenuta un rifiuto e in quanto tale mandata negli impianti di trattamento e smaltimento. Tutto ciò, però, incide inevitabilmente sui bilanci degli enti locali, ormai per definizione in cattiva salute.
A inizio 2024, un decreto della Regione ha introdotto la possibilità di utilizzare il materiale vulcanico all’interno dei cicli produttivi legati alle costruzioni. Il tutto, però, a patto di rispettare alcune condizioni sia sul fronte dei parametri chimico-ambientali che organizzativi, finalizzati al prelievo e uso. A sei mesi dal provvedimento, soltanto qualche Comune ha iniziato a compiere qualche passo in avanti per sottrarre la cenere al ciclo dei rifiuti. Nel frattempo, però, l’Etna è tornata a eruttare con frequenza. “Non abbiamo la forza economica per mettere in atto gli interventi minimi”, lamentava ieri mattina uno dei tanti sindaci dei paesi colpiti.
Tra i punti deboli del sistema c’è senz’altro la mancanza di un numero adeguato di macchinari da impiegare per ripristinare, in breve tempo, le condizioni di sicurezza sulle strade, con la conseguenza per i primi cittadini di trovarsi costretti a emanare ordinanze per l’interdizione della viabilità ai mezzi a due ruote e la riduzione della velocità rispetto ai canonici limiti. A non avere a disposizione sufficienti risorse sono anche la Regione – tramite la Protezione civile – e l’ex Provincia. A riguardo, stando a quanto appreso dal Quotidiano di Sicilia, questo pomeriggio una riunione dovrebbe tenersi nella sede della Città metropolitana di Catania per fare il punto della situazione e cercare una strategia comune per affrontare il problema della rimozione della sabbia.
Se sul fatto che per i Comuni è impensabile riuscire a finanziare da soli il rientro da emergenze come quella di ieri dubbi non ce ne sono mai stati, così come è diffuso l’auspicio che la Regione Siciliana possa chiedere un aiuto al governo nazionale, un sapore del tutto particolare – parecchio amaro, nello specifico – sta accompagnando in queste ore i primi nuovi sforzi per liberare dalla sabbia le zone nevralgiche dei paesi.
Il motivo deriva dalla consapevolezza che, nella manovra finanziaria da quasi duecento milioni di euro approvata appena pochi giorni fa all’Assemblea regionale siciliana, all’emergenza cenere è stata assegnata appena un milione di euro. Come verificato dal Quotidiano di Sicilia, a sottolineare l’inadeguatezza della misura, ieri mattina, sono stati diversi primi cittadini: tra chi chiedeva di essere messo in condizione di non creare debiti fuori bilancio poi difficili da gestire e chi ritiene che un milione non basterebbe nemmeno per affrontare le spese di soltanto uno dei comuni più vicini al vulcano, la richiesta unanime è stata quella di ricevere aiuti più corposi.
Tali interlocuzioni si sono avute anche con la Protezione civile regionale, da cui è arrivata la comunicazione secondo cui, alla vigilia della discussione della manovra all’Ars, il dipartimento aveva fatto presente la necessità di ottenere almeno quattro milioni per dare seguito agli interventi da attuare in seguito ai parossismi di luglio. Una richiesta che si è fermata in un binario morto.
“Siamo disposti a incontrare Schifani”, hanno commentato i sindaci.
“Avrete avuto modo di parlare con i vostri deputati di riferimento”, è stato invece il commento arrivato dall’interno degli uffici palermitani. Il riferimento è ai rapporti tra gli onorevoli regionali e i sindaci dei singoli territori, e alle scelte dei primi di fare stanziare risorse finanziarie soprattutto per l’organizzazione di spettacoli ed eventi di diversa natura.
Sullo sfondo resta la polemica su come sia stato gestito il tesoretto che la politica regionale si è ritrovata grazie all’extra gettito Irpef.
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