Un settore in ascesa, con un numero di riconversione industriale in aumento rispetto al passato, ma con un’Isola che ha ancora parecchio terreno da recuperare davanti a sé rispetto alle regioni del Nord Italia. Stiamo parlando degli impianti per la lavorazione del biometano, il carburante green per la Sicilia del futuro. I dati più recenti indicano che la regione sta crescendo nella produzione di biometano grazie a impianti importanti come quello di Assoro, il primo in Italia per biometano agricolo in un’area semidesertica, e che presenta una produzione annua di 3,8 milioni di Sm3 di biometano derivante da residui agroindustriali e biomasse locali (dati Mase). Ma la produzione totale italiana nel 2025 è stimata in 600 milioni di m3.
Tra il 2022 e il 2023 il numero di impianti di trattamento integrato (anaerobico/aerobico) dotati di tecnologia di purificazione del biogas passa da 23 a 36, alcuni già operativi e altri avviati nell’ultimo anno. Nel Nord del Paese, la Lombardia detiene 9 unità operative di questo tipo, seguita dal Piemonte (5 impianti), dall’Emilia-Romagna (4 impianti) e dal Veneto (3 impianti). Mentre il Trentino-Alto Adige (TN), il Friuli-Venezia Giulia (PN) e la Liguria (SV) dispongono, ciascuna, di un’unità. Nel Centro sono operativi 4 impianti, due in Toscana (AR e GR) entrati in esercizio nel 2023, uno in Umbria (PG) e uno nel Lazio (RM). Al Sud sono in totale 8 quelli in funzione localizzati tra Abruzzo, Puglia, Calabria e Sicilia: due per regione.
Un processo che potremmo definire “interdisciplinare” e che riguarda diversi ambiti: quello agricolo, quello manifatturiero e anche quello industriale. Tutti si ritrovano nella produzione di scarti organici, che possono essere riconvertiti in energia attraverso il biometano. Con i relativi digestati che possono a loro volta essere utilizzati per migliorare la tenuta dei terreni dell’entroterra siciliano.
Abbiamo gli impianti per gestire questi “scarti”?
Ma abbiamo gli impianti per gestire questi “scarti”? Non a sufficienza, soprattutto al Sud. In Italia gli impianti dedicati al trattamento dei rifiuti organici sono al momento 363; la maggior parte si trova al Nord. Con questi ritmi di crescita, nel 2035 l’Italia dovrebbe arrivare a gestire circa 8,5 milioni di tonnellate di rifiuti organici ogni anno. Tradotto: significa che servirebbero almeno 40 nuovi impianti, soprattutto nel Mezzogiorno.
A Castellana Sicula, Asja Energy ha investito 75 milioni in un impianto innovativo per produrre compost e biometano per 38 Comuni. L’impianto sarà in grado di trattare ogni anno 30mila tonnellate di Forsu (frazione organica del rifiuto solido urbano), 60mila tonnellate di indifferenziato, oltre a rifiuti verdi, plastica, metalli, ingombranti e Raee. Produrrà poi 13mila tonnellate di compost di qualità e 2,7 milioni di metri cubi di biometano all’anno. Seguendo la stessa strada, lo scorso 25 settembre il Gruppo Arpinge ha perfezionato un project financing da 80 milioni di euro per la costruzione di un portafoglio di 4 impianti di biometano di cui tre in Sicilia e uno in Basilicata. La società Axpo ha avviato la costruzione nel 2025 di due impianti di biometano tra Mazara del Vallo e Paternò: a regime, produrranno ciascuno circa 45 GWh di energia rinnovabile annua, mettendo in rete gas carbon-neutral a emissioni zero. In totale, sono in costruzione in Sicilia sei nuovi impianti di biometano, che a regime produrranno circa 20 milioni di metri cubi di biometano annui. Il futuro è stato tracciato.
Bisogna guardare con coraggio a tutte le tecnologie
Se “nel breve termine si deve accelerare sullo sviluppo delle rinnovabili già mature e competitive, come il fotovoltaico e l’eolico, nel medio-lungo periodo, invece, bisogna guardare con coraggio a tutte le tecnologie in grado di garantire energia a un prezzo competitivo: i cosiddetti gas verdi – biometano e idrogeno – per avviare la decarbonizzazione dei settori più difficili da riconvertire”. A spiegarlo il presidente di Assolombarda, Alvise Biffi, in audizione negli scorsi giorni all’assemblea generale dell’associazione a Milano. Il futuro sostenibile, oltre che alla decarbonizzazione, appartiene alle aziende in grado di utilizzare “un mix di produzione bilanciato ed efficace”.
A segnalare la crescita del segmento produttivo del biometano è l’ultimo “Rapporto Rifiuti Urbani 2024” dell’Ispra. L’incremento della raccolta differenziata dei rifiuti organici, al quale si è assistito nel corso degli ultimi anni, “ha favorito un significativo sviluppo nel settore del trattamento biologico che si è evoluto attraverso l’adozione di tecnologie impiantistiche innovative”. Uno step possibile grazie alla “riconversione di impianti esistenti” che consentono anche il trattamento della digestione anaerobica, “abbinando, quindi, il recupero di materia a quello di energia, contenendo le emissioni e utilizzando, infine, il biogas generato e purificato, per la produzione di energia e biometano”.
Le regioni più sviluppate in termini di numero di impianti e capacità sono Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna; il Nord Italia è il più produttivo, seguito dal Sud e dal Centro. La Sicilia, pur essendo una terra agraria con modelli virtuosi di economia circolare nel biometano, rimane comunque una regione emergente rispetto al Nord in termini di produzione complessiva e numero di impianti, ma sta trainando la crescita green regionale con progetti significativi e investimenti in corso. Secondo dati Ispra, al 2023 la Sicilia è stata in grado di produrre soltanto 2.280.038 Nm3/a di biogas e 1.544.454 Nm3/a di biometano. Per comprendere il deficit, nello stesso arco temporale la Lombardia ne ha prodotto rispettivamente oltre 140 milioni per il biogas e oltre 80 per il biometano. Una inefficienza meridionale che si traduce anche in una scarsa riconversione in energia elettrica: 328.849 MWh/a al Nord contro gli appena 16.302 al Sud (sono il doppio al centro, ndr).
Intervengono Edoardo Bonaccorsi, ad di Assoro Biometano, e il prof. Biagio Pecorino
Nella valle del Dittaino un modello di economia circolare che restituisce “vita” ai suoli siciliani
Allo scorso agosto risultano segnalate dal Mase soltanto due società siciliane abilitate alla vendita del biometano: la CH4 Energy S.r.l. di Marsala, in provincia di Trapani, e la Società Agricola Assoro Biometano S.r.l., in provincia di Enna. Uno di questi modelli virtuosi arriva proprio dalla valle dell’alto Dittaino, un tempo segnata dall’impoverimento dei suoli, dove la terra è oggi tornata protagonista di un esperimento agricolo che unisce sostenibilità, tecnologia e ritorno alle origini.
A guidarlo è Edoardo Bonaccorsi, amministratore delegato della Società agricola Assoro Biometano, realtà nata da un gruppo di professionisti che hanno deciso di dare una risposta concreta a un problema antico: la povertà organica dei terreni siciliani. La Assoro Biometano produce proprio nella vallata biometano da scarti – “ma non rifiuti”, tengono a precisare – della filiera agricola. “L’idea della nostra società – spiega Bonaccorsi – nasce da un gruppo di imprenditori agricoli della valle del Dittaino, agrumicoltori di Lentini, cerealicoltori dell’entroterra e allevatori del polo zootecnico di Nicosia”. Tutti condividevamo lo stesso problema: la scarsità di nutrienti nei suoli. “La Sicilia, e più in generale il Sud Europa, paga il prezzo di un utilizzo intensivo dei terreni durato millenni. È un’eredità che ci portiamo dietro dai tempi in cui l’isola era il ‘granaio dell’Impero romano’”.
La conseguenza è una produttività ridotta e una “capacità di campo” limitata, cioè la difficoltà dei terreni di trattenere l’acqua durante le piogge. “Negli ultimi anni – prosegue – abbiamo assistito a precipitazioni concentrate in pochi eventi estremi, con millimetri di pioggia che cadono in poche ore. Se il terreno non è in grado di ‘farsi spugna’, l’acqua scivola via e la fertilità si riduce. Dovevamo trovare una soluzione per restituire vita ai nostri suoli”.
La risposta è arrivata dalle biomasse agricole. Assoro Biometano ha trasformato ciò che un tempo era considerato uno scarto in una risorsa strategica attraverso sottoprodotti della filiera agricola. “Noi lavoriamo con scarti agricoli: il pastazzo della spremitura delle arance, la sansa degli oleifici, la pula dei mulini, i letami e i reflui zootecnici provenienti dagli allevamenti bovini e avicoli”. Queste biomasse vengono dosate e miscelate con cura per creare una “dieta” ottimale per il digestore anaerobico. Un digestore è sostanzialmente un grande silos, dove le biomasse fermentano per 90 giorni in modo naturale.
“Non facciamo alcuna manipolazione chimica: è la biologia a lavorare per noi. Dalla fermentazione otteniamo un gas grezzo che successivamente viene raffinato in una mini–raffineria, simile a quelle dei pozzi petroliferi, fino a produrre metano puro” in grado di servire una cinquantina di società.
Il rifornimento è avvantaggiato dal cliente finale, per lo più grossisti, eliminando in questo modo la problematica infrastrutturale che comunque riguarda l’Isola. Il biometano prodotto ad Assoro non è infatti quello destinato alle autovetture, ma una versione liquida, ad alta densità energetica, impiegata per la trazione pesante e la navigazione.
Dal 2020 al 2025, l’impianto ha prodotto circa 500 standard metri cubi/ora di biometano. Dal 2026, la capacità produttiva triplicherà, raggiungendo 1.500 standard metri cubi/ora. “Il vero valore aggiunto del nostro lavoro – è in ciò che restituiamo alla terra. L’ammendante che deriva dal processo di digestione anaerobica è un fertilizzante organico stabile e ricchissimo di nutrienti. Da quando nel 2020 abbiamo lo distribuito ai nostri conferitori agricoli, la” capacità di campo”, è aumentata sensibilmente e le aziende ne hanno beneficiato parecchio a livello di produzione”.
Un modello di economia circolare e rinnovabile, sul quale poter costruire il futuro anche delle aree oggi abbandonate nell’entroterra siciliano. A sostenerlo è il professor Biagio Pecorino, ordinario di Economia Agraria e Alimentare e di Estimo Rurale dell’Università di Catania, che invita a guardare al biometano non come a una scorciatoia energetica, ma come a un tassello di una più ampia strategia di economia circolare capace di valorizzare i sottoprodotti agricoli senza sottrarre suolo e risorse all’alimentazione. “Il biometano è un’infrastruttura tecnologica interessante – spiega Pecorino – perché consente di trasformare scarti, sottoprodotti agricoli e rifiuti organici in energia perfettamente sostituibile a quella fossile. È un modo concreto per ridurre l’uso di carbonio fossile a favore di quello biologico”.
La chiave sta nel tipo di biomassa utilizzata. “Il biometano può essere prodotto anche da colture dedicate, ma non credo sia questa la strada che la Sicilia debba seguire. La nostra terra deve continuare a produrre alimenti, non energia. Gli usi alternativi della terra a fini energetici non sono efficienti né sostenibili nel lungo periodo”. In un contesto agricolo frammentato come quello siciliano, il biometano trova invece la sua ragion d’essere nella valorizzazione dei residui agroalimentari. Dalle bucce degli agrumi ai sottoprodotti della molitura delle olive, dai residui della vinificazione ai reflui zootecnici, la regione dispone di un potenziale diffuso ma non concentrato, che richiede una logistica complessa e una gestione capillare. “Da 100 chili di olive otteniamo in media 15 chili d’olio. Tutto il resto è scarto, e può essere destinato alla produzione di biometano – osserva Pecorino –. Lo stesso vale per le bucce degli agrumi o i residui zootecnici. È un potenziale interessante, ma non enorme: chi investe in questo settore deve fare i conti con la limitata disponibilità di materia prima e con una rete produttiva molto frammentata”.
A differenza del Nord Italia, dove la concentrazione industriale consente economie di scala (basti pensare ai grandi impianti di trasformazione della Pianura Padana), in Sicilia i frantoi, i caseifici e le aziende agricole sono piccole unità disperse sul territorio. “Se invece di pensare al biogas solo come combustibile – prosegue Pecorino – lo concepiamo come strumento di equilibrio agroalimentare, possiamo fare molto bene all’agricoltura siciliana”.
E poi il capitolo infrastrutturale. Secondo il docente, la corsa al biometano alimentata dagli incentivi del Pnrr può finire per drogare il sistema, attirando investitori più interessati ai contributi che alla reale integrazione con il territorio. “Quando l’intervento pubblico è eccessivo – avverte – tende a turbare gli equilibri del mercato. Molti grandi gruppi entrano nel settore solo perché attratti dai finanziamenti e dalle tariffe dedicate, ma non sempre sono capaci di dialogare con il tessuto agricolo locale”. In Sicilia, la mancanza di un sistema agroalimentare coeso e organizzato penalizza ulteriormente la possibilità di sfruttare appieno queste opportunità. “Gli agrumicoltori o gli olivicoltori – osserva Pecorino – raramente riescono a consorziarsi per creare quella massa critica necessaria a gestire in modo integrato i sottoprodotti. Spesso gli impianti vengono sviluppati da soggetti esterni, che operano in chiave finanziaria più che agricola”.
“Il biometano è per sua natura un tema intersettoriale – ricorda –. Coinvolge agricoltura, attività produttive, energia e gestione dei rifiuti. Ma in Sicilia ogni assessorato procede per conto proprio, senza un coordinamento trasversale. È un limite strutturale che ci impedisce di guardare oltre l’emergenza e costruire una visione condivisa”.
Parla il presidente di Legambiente Sicilia, Tommaso Castronovo
“Impianti ben progettati e condivisi utilissimi contro la desertificazione”
Il biometano in Sicilia si scontra con un “problema culturale” secondo Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia. “Qui le difficoltà derivano spesso da una scarsa conoscenza dei benefici di questi impianti. In alcuni territori, come a Pozzallo, si sono verificati conflitti e incomprensioni, anche a causa di pregiudizi e cattiva informazione. Eppure gli impianti di biometano, se realizzati secondo standard ambientali elevati, non producono emissioni odorigene rilevanti e possono integrarsi nel paesaggio senza impatti significativi”.
“Come Legambiente siamo assolutamente favorevoli allo sviluppo del biometano sostenibile, in particolare quello prodotto da matrici di rifiuti organici e da sottoprodotti agricoli e zootecnici”, spiega. Non a caso l’associazione ambientalista ha di recente dedicato a questo tema una campagna nazionale dal titolo “Fattore Biometano – il biometano fatto bene”, con l’obiettivo di promuovere impianti progettati in modo virtuoso, capaci di coniugare sostenibilità ambientale, partecipazione territoriale e sviluppo locale. “È fondamentale – spiega Castronovo – che gli impianti siano ben progettati e condivisi con le comunità locali e con gli operatori agricoli e zootecnici, così da garantire sia un ritorno economico che un beneficio ambientale. Il biometano, infatti, produce un ammendante naturale utilissimo per fertilizzare i suoli e contrastare la desertificazione in atto nell’Isola”.
Sul piano politico, Legambiente registra segnali incoraggianti. “Avvertiamo una maggiore sensibilità delle istituzioni regionali – afferma – anche se le direttive europee più recenti appaiono meno convincenti rispetto al passato. In Sicilia, comunque, il Pnrr finanzia oltre 26 impianti di biometano, e altri sono in costruzione al di fuori dei fondi europei. È la dimostrazione che qualcosa si muove, anche grazie all’interesse crescente delle organizzazioni imprenditoriali”.
Secondo il presidente di Legambiente Sicilia, il biometano rappresenta non solo un’opportunità ambientale, ma anche economica: “Per gli agricoltori e gli allevatori può diventare una fonte di integrazione del reddito, trasformando reflui e scarti in energia pulita. Allo stesso tempo offre una risposta concreta alla gestione dei rifiuti organici urbani, che rappresentano la quota più elevata dei rifiuti differenziati”. Resta però il nodo dei tempi autorizzativi. “Le procedure in Sicilia sono troppo lente – denuncia Castronovo – e spesso gli uffici non hanno le competenze necessarie per valutare tecnologie innovative. Ciò genera ritardi, richieste di integrazioni o prescrizioni non sempre giustificate, scoraggiando gli imprenditori e bloccando gli investimenti”.
“Più biodigestori, meno inceneritori”, dal momento che “entro il 2030 – ricorda Castronovo – l’Italia potrebbe produrre fino a 8 miliardi di metri cubi di gas rinnovabile, sostituendo il 10-15% del gas fossile importato. Sarebbe un contributo decisivo per la decarbonizzazione, la fertilità dei suoli e la competitività delle imprese. Il gas rinnovabile è già oggi più conveniente del fossile e può diventare un alleato strategico per la transizione ecologica del nostro Paese”.

