Ennesima batosta sui cittadini Il disdoro del ceto politico siciliano - QdS

Ennesima batosta sui cittadini Il disdoro del ceto politico siciliano

Carlo Alberto Tregua

Ennesima batosta sui cittadini Il disdoro del ceto politico siciliano

sabato 19 Ottobre 2019

Ennesima batosta sui siciliani: Eurostat, col suo rapporto di venerdì scorso, certifica il tasso di povertà pari al 40,7% della popolazione.
L’altro polo della graduatoria vede il Friuli Venezia Giulia (anch’essa Regione a statuto speciale) con un tasso di povertà pari all’8,2%, cioè oltre quattro volte in meno rispetto alla Sicilia.
Come è possibile che quando si confrontano i dati relativi all’economia, alla disoccupazione, alla povertà, al tasso infrastrutturale ed altro, la Sicilia si trova sempre agli ultimi posti? Di questo fatto ci dobbiamo vergognare tutti ma ancor di più coloro che occupano i più alti livelli delle istituzioni, cui corrispondono più alte responsabilità.
Il conducente di un treno , di un aereo o di un’auto, ha la responsabilità di evitare che il mezzo sbandi, che vada fuori strada o che crei incidenti. Il direttore responsabile di un giornale viene incriminato se uno dei suoi giornalisti scrive articoli contrari alla legge. Non si capisce perché i dirigenti pubblici non debbano rispondere di ciò che fanno o non fanno i propri dipendenti.

Non si capisce neppure perché il ministro o l’assessore, regionale o comunale, non debba rispondere, per responsabilità oggettiva, di quello che combina il gruppo di dirigenti e dipendenti pubblici che deve eseguire le sue direttive.
Il nocciolo della questione è la responsabilità, ovvero l’irresponsabilità generale, secondo la quale nessuno viene mai punito per i disastri che combina mentre viene premiato anche se non fa nulla per meritare il premio.
Perché in Sicilia la povertà è così diffusa? Vi sono diverse risposte. La prima riguarda il tessuto produttivo di tutti i settori (industriale, commerciale, artigianale e dei servizi) che è continuamente vessato da una Pubblica amministrazione che non gli rende servizi, ma fa di tutto per ostacolare quelle attività.
Se le imprese non hanno fiducia nel futuro e non sono sostenute da un apparato pubblico che le serva in tempi europei, non avranno più voglia di fare nuovi investimenti.
Se non si fanno nuovi investimenti, non si assumono persone, perché ormai l’hanno capito tutti che il lavoro non si crea per decreto ma con l’incremento delle attività.
La disoccupazione genera povertà, cui il governo M5s-Lega ha dato una risposta assistenziale mediante il Reddito di cittadinanza. La velleità di quel governo ha fatto sì che si inserisse nel provvedimento la ricerca del lavoro (che non c’è). Non risulta, a distanza di quasi un anno, che i Centri per l’Impiego dentro cui sono stati allocati 3.000 navigator, abbiano trovato lavoro a coloro che sono iscritti negli elenchi.
La povertà si combatte creando opportunità di lavoro, promuovendo le attività artigianali, fra cui quelle manuali, che stanno scomparendo: corallai, salinai, maniscalchi, bottai, tonnaroti, sarti, ebanisti, elettricisti, idraulici e via elencando.
L’economia si vivificherebbe se il denaro in circolazione aumentasse e se venisse scambiato più frequentemente rispetto alla lentezza odierna.
È nota la teoria macroeconomica sulla velocità della moneta: più essa gira, più essa cambia di mano, più accelera il processo di creazione di ricchezza.

La ricchezza non si crea per magia, bensì con attività che moltiplicano il valore aggiunto e consentono alle aziende la formazione di utili che servono sia come riserve che come base per ulteriori investimenti, oltre che per essere tassati.
Quelle che precedono sono nozioni semplicissime che conoscono gli studenti di economia ai primi anni del loro corso di studi. Ma, vedi caso, non sono conosciute da ministri, viceministri e sottosegretari, quasi tutti ignoranti della materia, ma anche di organizzazione, di efficientamento, di eliminazione degli sprechi e di miglioramento generale della macchina pubblica. Per cui, chi dovrebbe fare le riforme atte ad ottenere i risultati conseguenti alle attività prima elencate?
Forse i burocrati subordinati al ceto politico? Non crediamo. Perché essi dovrebbero mettersi a lavorare alacremente mentre oggi vegetano in un sottobosco tranquillo per loro ma che crea danni a cittadini, famiglie e imprese.
La situazione è drammatica e la legge di Stabilità varata dal Consiglio dei ministri (salvo intese!), non affronta la questione di fondo che abbiamo descritto: trasformare gli enti pubblici in soggetti capaci di promuovere lo sviluppo e l’occupazione.

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