Entro il 2050 più pensionati che lavoratori, si prevede che saranno 58 ogni 100 - QdS

Entro il 2050 più pensionati che lavoratori, si prevede che saranno 58 ogni 100

Marco Carlino

Entro il 2050 più pensionati che lavoratori, si prevede che saranno 58 ogni 100

sabato 07 Settembre 2019

Rapporto Ocse “Working better with age”, basato sugli attuali schemi pensionistici. In Italia, già nel 2040, secondo le proiezioni gli over 60 passeranno dal 28% al 39,4%

CATANIA- Entro il 2050 l’Italia conterà più pensionati che lavoratori. Questo è lo scenario preoccupante disegnato dall’Ocse nel rapporto “Working Better with Age”, basato sugli attuali schemi pensionistici. Secondo lo studio il numero di persone over-50 inattive dal punto di vista lavorativo o pensionate che dovranno essere sostenute dai lavoratori potrebbe impennarsi di circa il 40%, arrivando in media nell’area Ocse a 58 su 100.

Secondo i dati Ocse, in Italia, Grecia e Polonia, entro il 2050 il rischio è di arrivare oltre quota 100, intesa non come somma di età e contributi per accedere alla pensione, ma come numero di persone ritirate dal lavoro ogni 100 lavoratori.

In particolare, per l’Italia l’Ocse ha stimato che nel 2040 gli over 60 aumenteranno più dell’11% passando dal 28% (rispetto la popolazione totale) del 2018 al 39,4% nel 2040. Numeri ancora più significativi se si tiene in considerazione la sempre più ridotta natalità; stando ai dati forniti da Eurostat, infatti, nel 2050 nel nostro paese nasceranno solo 375 mila bambini.

Il rapporto pone l’accento sul fatto che, nonostante siano stati compiuti molti progressi per motivare e i lavoratori più anziani a continuare a lavorare fino all’età di 65 anni, nei Paesi Ocse, l’età effettiva in cui gli anziani escono dal mercato del lavoro è risultata comunque essere più bassa oggi rispetto a 30 anni fa. Una possibile chiave di lettura potrebbe essere la scarsa incentivazione a continuare a lavorare in età avanzata, la perplessità dei datori di lavoro ad assumere e trattenere lavoratori più anziani e la scarsa presenza di investimenti nell’occupabilità per tutta la vita lavorativa.

Da Tokyo, dove è stato presentato il rapporto arriva quindi l’invito dell’Ocse ai governi al fine di promuovere “maggiori e migliori opportunità di lavoro in età avanzata per proteggere gli standard di vita e la sostenibilità delle finanze pubbliche”. Una possibile ricetta consisterebbe nel ritardare l’età media in cui i lavoratori più anziani lasciano la forza lavoro e riducendo il divario di genere nella partecipazione della forza lavoro in età più giovane, l’aumento medio per l’area Ocse potrebbe infatti essere ridotto al 9%.

Il rapporto esorta a delle misure necessarie come maggiore flessibilità nell’orario di lavoro e migliori condizioni di lavoro in generale per promuovere una maggiore partecipazione a tutte le età, ad esempio orari di lavoro ridotti che aiuterebbero persone anziane e donne con figli a lavorare e farlo in maniera più produttiva. Inoltre cattive condizioni di lavoro in giovane età possono portare a problemi di salute e al pensionamento anticipato in età avanzata.

Fondamentale anche investire nelle competenze dei lavoratori più anziani. Molti mostrano infatti livelli più bassi di prontezza digitale rispetto ai loro figli e nipoti (l’Italia per questo è agli ultimi posti) e partecipano molto meno alla formazione professionale rispetto ai lavoratori più giovani.

Stefano Scarpetta, direttore dell’Organizzazione per l’Occupazione, il lavoro e gli affari sociali ha così commentato: “Il fatto che le persone vivano più a lungo e in una salute migliore è un risultato da celebrare, ma – ha aggiunto Scarpetta – un rapido invecchiamento della popolazione richiederà un’azione politica concertata per promuovere l’invecchiamento attivo in modo da compensare le sue conseguenze potenzialmente gravi per gli standard di vita e le finanze pubbliche”.

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