Caro Enzo,
come un fulmine a ciel sereno è arrivata la notizia che hai deciso, improvvidamente, di passare dalla vita terrena a quella spirituale, pur mantenendo – ne sono certo – la vitalità che hai dimostrato nei tuoi 90 anni di vita terrena.
Ti ho chiamato per gli auguri venerdì 20 settembre e ho sentito la tua voce sempre pimpante, come se il tuo tempo non fosse mai trascorso. C’eravamo dati appuntamento per vederci in uno dei giorni in cui andavi puntualmente nel tuo studio. Il Caso, cioè la moltitudine di variabili indipendenti che noi sconosciamo, non ha permesso quest’incontro. Se, invece, ci fossimo visti, avremmo perpetuato quel rituale che abbiamo celebrato nel corso di cinquant’anni, incontrandoci sovente – quasi tutti i mesi – dal nostro comune barbiere, Luciano, la cui bottega si trova sotto la tua segreteria e sotto questo giornale. In quelle occasioni, nessuno di noi due parlava seriamente, ma con allusioni, metafore, mezze verità e altre modi linguistici che distinguevano la tua intelligenza, cui io volentieri mi accodavo.
In questi cinquant’anni di reciproca conoscenza, nel corso dei quali ho avuto modo di vedere tuo figlio, Enrico, bambino, tra di noi vi è sempre stata grande stima e reciproco rispetto, per cui non vi è mai stato uno screzio né una parola in più, che sarebbe stata inopportuna. Ho seguito anche il tuo percorso politico, sempre retto, lampante e inequivocabile. Non parliamo del percorso professionale, che ti ha portato a essere uno dei vertici dell’avvocatura siciliana e nazionale.
Ricordo quando ti candidasti alla carica di sindaco di Catania. La tua avventura non andò a buon fine perché allora i tempi erano opposti a quelli attuali, tanto è vero che, quando invece sono maturati, Enrico ha avuto un notevole successo e ora, con onore, riveste la carica di primo cittadino e sindaco metropolitano.
Non sempre le persone perbene sono ben viste da quelle che pescano nel torbido, per cui è difficile realizzare progetti di interesse comune, quando questi cozzano con quelli di parte, egoistici, che danneggiano la collettività. Nonostante questa fotografia inequivocabile, in questo mezzo secolo tu hai dimostrato che si poteva andare dritti per la propria strada a prescindere dalle scorie che si incontravano. Sono certo che anche Enrico percorrerà la stessa strada e otterrà i buoni risultati che si è proposto di raggiungere e che ci ha più volte riferito.
Che dirti caro Enzo, ancora. Che l’altro giorno, ho letto la tua rubrica “Lettere a me stesso”, e, ancora una volta, è emersa la tua arguzia e la profondità del tuo pensiero di cui ho sempre avuto la massima stima. Non mi resta che salutarti con un abbraccio virtuale, sapendo che ci rivedremo, magari non subito, subito.

