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Ermal Meta in Sicilia, tra ricordi e sperimentazioni: “Sul palco provo sempre lo stesso tipo di emozione”

Ermal Meta in Sicilia, tra ricordi e sperimentazioni: “Sul palco provo sempre lo stesso tipo di emozione”
Ermal Meta, foto Angelo Trani

L’artista sarà presente stasera a Marsala (Trapani) e domani a Noto (Siracusa) nell’ambito del suo tour “Live 2025”

PALERMO – Ha imparato ad ascoltare musica ancora prima di camminare. Con tenacia, gavetta, passione, talento, riesce a intercettare quella gamma di sentimenti che ci colpiscono sul vivo come uno sparo in pieno petto. Artista sensibile e complesso, continua a cantare la poetica della vita attraverso uno straordinario repertorio capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano.

Dopo i successi registrati nei principali teatri del Belpaese, Ermal Meta torna a emozionarci dal vivo con ‘Live 2025’. Il tour, prodotto da Friends and Partners e Vertigo, approda sull’Isola stasera a Marsala (Tt) in piazza della Vittoria e domani a Noto (Sr) alla Scalinata della Cattedrale, data che rientra nella rassegna di eventi ‘Le Scale della musica’ con l’organizzazione di Puntoeacapo, GG Entertainment e Il Botteghino in collaborazione con il Comune di Noto.

In scena, accanto al cantautore originario di Fier, il pianista Davide Antonio Pio, co-autore dello spettacolo e figura centrale nella costruzione drammaturgica del concerto, con l’aggiunta di un terzetto d’archi ad impreziosire uno show ogni volta diverso.

Una ‘sacra’ liturgia che si celebra su quel palco che è ossigeno per un musicista.
“Salire su un palco è un privilegio, per me è stato sempre così. Sono cresciuto rimbalzando di locale in locale, di palco in palco. Tutti piccoli, tutti difficili, tutti, a loro modo, necessari e meravigliosi. Quello di Sicilia, poi, è foriero di ricordi meravigliosi: è la regione in cui ho fatto più concerti quando suonavo ne ‘La fame di Camilla’. Il primo fanclub della band nacque a Catania”.

Un percorso che si snoda tra hits e alcuni inediti, tutti resi attraverso un’orchestra di tastiere, chitarre ed altri effetti in un continuo fluire di sperimentazioni sonore. Sempre e comunque, mettersi alla prova?
“Mi piace cambiare di volta in volta. Credo che una certa dose di novità sonora la si debba anche alle persone che sono venute a vederti”.

Lo show si trasforma in un sogno che prende forma, come un motivo che affiora nella notte svelando sfumature artistiche e personali. Che effetto fa ‘darsi in pasto’ al pubblico?
“Non ho mai smesso di avere le farfalle nello stomaco. Ogni volta provo lo stesso tipo di emozione e di agitazione che, per chi scrive e canta canzoni, è la cosa più naturale”.

La musica come ‘un paio di occhiali senza i quali non puoi vedere bene’.
“Il filtro della musica cambia in base a quello che scrivi. Ogni canzone è un episodio che porta con sé il mondo onirico che lo ha partorito”.

Non è scontato che, sapendo scrivere canzoni, si riesca a pubblicare anche un romanzo. Addirittura due. A un tratto, non le è bastato più il pentagramma?
“Credo che scrivere un romanzo dia una libertà maggiore di quella che ti dà la musica. Battute, metrica e rime non ci sono in un libro e questo ti permette di spaziare di più. La prima volta che mi ci sono messo, è stato un tentativo, non avevo nessun accordo editoriale. Sentivo l’impulso, ma non sapevo se sarei riuscito a dargli una vita in prosa. Perché scrivendo canzoni, impari la sintesi di un’emozione, nemmeno di una storia. Dopo le prime quindici pagine, mi son detto: ‘E quindi?’. Poi accade che sblocchi delle cose e ti rendi conto che il modo in cui metti insieme le parole e le frasi deve avere una certa musicalità. Io non riesco a ragionare in altro modo. Qualunque cosa scriva in un romanzo, a me sembra che faccia parte di una lunghissima canzone”.

Una lirica che trasmette speranza: quando sulla schiena trovi cicatrici, è lì che ci attacchi le ali. Una volta spiccato il volo, che si prova? Dove si va?
“Si ritorna a casa. Diverso, cambiato, guarito”.

È ancora dell’idea di tenere il futuro lontano il più possibile?
“Ho capito che è uno sforzo inutile. Il futuro ti punta da qualsiasi angolazione e non puoi fare niente se non pensare al presente”.

Cosa la spaventa maggiormente, che i desideri non si avverino o che si possano avverare?
“Non sono uno che vive in preda ai desideri. Ma, se proprio dovessi scegliere, direi che mi spaventa il pensiero che non si avverino mai”.

Come vive l’attesa?
“Con pazienza e soprattutto con preparazione. Poi dipende dal tipo di attesa. Mi piace molto assaporare qualsiasi cosa, ogni momento, e sono un gran lavoratore – questo lo dico a testa alta. Probabilmente, se non avessi fatto il musicista, avrei fatto l’operaio. Mi piace la fatica fisica, stancarmi, guardarmi le mani e sentirne il dolore”.

Nella sua esperienza umana e professionale, la disobbedienza può diventare l’anticamera della felicità?
“La disobbedienza forse fornisce un punto di vista diverso su sé stessi e magari ti fa capire che sei più forte di quello che credi. Questo può accendere una scintilla, dandoti uno scopo. Chi ha uno scopo non so se sia felice, ma di sicuro non è triste”.

Ha già insegnato a sua figlia a cambiare le stelle?
“Non ancora, ma io e Fortuna lo impareremo insieme”.

Odia ancora le favole?
“Ora dovrò impararle per raccontarle alla piccolina”.

Com’è che Ermal Meta riscriverebbe il gran finale?
“Lo lascerei scrivere agli altri, a me basta viverlo”.