TEL AVIV – Sono le 11:40, ora italiana, di giovedì 10 ottobre. Israele ha appena bombardato un ospedale ad Al-Aqsa. Non si conosce ancora il numero delle vittime, ma Al Jazeera – il media internazionale vicino al mondo arabo – parla già di una strage. L’ennesima compiuta a quelle latitudini. ‘Il Corriere della Sera’ e ‘La Repubblica’, i due principali quotidiani italiani per numero di lettori non pubblicano nulla. La notizia non esiste né esisterà per svariate ore. E non per mancanza di fonti affidabili da consultare. In contemporanea, proprio il Corriere in apertura della sezione dedicata all’escalation mediorientale, in aggiornamento costante, titola: “Spari vicino a una ditta israeliana in Svezia”. Altre notizie pubblicate citano come fonti solo la polizia israeliana e il servizio di sicurezza Shin Bet. Su ‘Repubblica’, nella sezione ‘Medio Oriente’, ormai relegata addirittura dopo ‘Pianeta Economica’, neppure l’ombra della notizia.
È da qui che partiamo con Marco Longobardo, docente di Diritto internazionale alla University of Westminster di Londra e primo italiano ad aver ricevuto il premio “Reuter” dal Comitato internazionale della Croce Rossa per aver contribuito a migliorare la conoscenza del diritto internazionale umanitario. Longobardo, messinese di origine ma a Londra da ormai dieci anni, ha anche pubblicato nel 2018 il libro “The use of armed force in occupied territory”: tema attualissimo nella disputa tra stato israeliano e stato palestinese, oggi sotto attacco.
“Non mi sorprende che Repubblica e Corriere abbiano tralasciato la notizia, anche se non seguo con molta attenzione i giornali italiani. Percepisco la narrazione sia però portata avanti principalmente dalla parte di Israele. In secondo piano, le fonti palestinesi e quelle delle organizzazioni internazionali. Non è molto diverso qui in Inghilterra, nel senso che anche qui alcuni media sono stati criticati per questo. In generale, mi pare però che qui vi sia ancora una attenzione al pluralismo di idee rispetto a quanto mi pare di vedere nel panorama italiano”.
Questo si nota anche dal tipo di narrazione costituita. Eppure qualcosa è cambiato con l’attacco al contingente Unifil in Libano.
“In Libano c’è stata invece una presa di posizione netta da parte di Crosetto, questo ha cambiato e molto le cose. Ma ci sono militari italiani coinvolti, quindi può essere comprensibile. Crosetto ha fatto esternazioni corrette dal punto di vista del diritto internazionale: non spetta a Israele rimandare a casa le truppe Unifil. Non c’è stato invece un simile approccio attento al diritto internazionale quando i crimini di guerra venivano commessi altrove”.
Sta facendo riferimento all’invasione israeliana di Gaza?
“Avendo osservato per tanti anni la situazione, quello che posso dire è che nulla è iniziato il 7 ottobre 2023. Tutti i dati dimostravano un’intensificazione della violenza israeliana sulla popolazione civile palestinese occupata e come reazione un aumento degli attacchi da parte dei palestinesi”.
Perché si è verificata questa escalation?
“È dovuta principalmente alla totale stagnazione di qualunque tipo di negoziato tra le parti, il processo di pace è arenato da decenni, lo sanno tutti. Ciò è dovuto anche al maggior ruolo che ha ottenuto nella scena politica israeliana la destra dei coloni insediatisi illegalmente in territorio palestinese. Da lì si è alimentata la spirale di violenza alla quale assistiamo oggi. Un obiettivo chiaro di questa guerra è forse quello di ricacciare la popolazione di Gaza in Egitto e di assorbire la Cisgiordania. È una paura su cui si dibatte da anni nella comunità accademica e che potrebbe essere il piano dell’attuale governo israeliano, peraltro criticatissimo internamente per una svolta antidemocratica, soprattutto rispetto alla indipendenza dei giudici”.
Quali vie d’uscita diplomatiche per il genocidio in atto a Gaza?
“La reazione israeliana – dopo oltre cinquant’anni di soprusi nei confronti della Palestina – sta conducendo a una violenza mai vista prima nella regione palestinese. Quindi non so quale potrebbe essere la via d’uscita se non attraverso l’uscita di scena di Netanyahu. Per questo il presidente israeliano, dopo Gaza, sta volgendo adesso la propria attenzioni alle regioni circostanti. E sullo sfondo c’è l’Iran, con conseguenze che possiamo solo temere ma non conoscere al momento”.
Una situazione che si sta verificando anche per via delle elezioni americane, della debolezza politica degli Usa e del ruolo non più adeguato di Joe Biden.
“Il presidente Biden non è in grado di condurre una politica estera efficace, quello che abbiamo in questo momento è una mancanza di controllo dell’azione israeliana che non viene frenata più dal potere di Washington. Con Trump le cose potrebbero prendere una piega anche peggiore”.
Eppure non tutte le Nazioni hanno deciso di restare in silenzio sui crimini di guerra di Israele, benché siano presenti due pesi e due misure.
“Il diritto internazionale è stato violato in maniera ampissima da parte sia di Hamas che da parte di Israele, possiamo dire che le vittime sono maggiori tra i palestinesi, ma non deve essere ridotto tutto a una mera questione di tifo. Vi è una certa reticenza tra gli Stati del nord globale nel denunciare queste violazioni da parte di Israele. Ma gli Stati dell’Asia, dell’America del Sud e dell’Africa non stanno reagendo allo stesso modo e sono molto fermi nelle condanne a Israele e nel ricorso agli strumenti del diritto internazionale. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina in una guerra d’aggressione illegale, l’Europa e gli Stati Uniti hanno chiesto al mondo di unirsi contro la Russia. Lo stesso non si sta verificando contro Israele. E questo crea un precedente pericoloso per la credibilità del diritto internazionale”.
Sullo sfondo c’è anche la questione di Taiwan e delle prese di posizione cinesi.
“Qui la questione è più complessa, perché in realtà Taiwan non ha mai proclamato la propria indipendenza dalla Cina. Semmai, considera illegittimo il governo cinese dal tempo in cui Mao prese il controllo e il governo fuggì a Taiwan. Si tratta di una situazione sui generis, perché Taiwan opera come uno stato a tutti gli effetti pur non rivendicando natura di Stato indipendente. La Cina ha sempre mantenuto negli ultimi decenni un atteggiamento abbastanza aggressivo nei confronti di Taiwan, senza mai però intervenire militarmente per via della protezione degli Stati Uniti. Speriamo non capiti che il governo cinese si chieda per quale motivo dovrebbe evitare di usare la forza contro Taiwan quando la Russia la utilizza con impunità in Ucraina e Israele in Palestina e nei Paesi confinanti. Bisogna difendere l’integrità delle norme fondamentali internazionali per evitare che salti del tutto ogni regola”.
Di recente, il peso del diritto internazionale ha funzionato proprio a discapito del Regno Unito.
“In relazione alle Isole Chagos, un rimasuglio coloniale presente nell’Oceano indiano. Nel 2019 la Corte internazionale di giustizia ha reso un parere non vincolante che sosteneva come la presenza britannica nell’arcipelago delle Chagos fosse illegittima ai sensi del diritto internazionale. Da lì hanno preso il via i negoziati fra Uk e Mauritius. Negli scorsi giorni i due governi hanno raggiunto un accordo secondo il quale le isole torneranno sotto il pieno controllo mauritiano, che continuerà a ospitare una base militare statunitense là presente”.
Anche per Israele c’è stato un parere della Corte di Giustizia internazionale in merito all’occupazione della Palestina.
“Due, uno nel 2004 e uno lo scorso 19 luglio. Come per le Isole Chagos, la Corte ha ritenuto che l’intera presenza israeliane in Palestina è illegale. La Corte ha ordinato a Israele di ritirarsi il prima possibile e a tutti gli Stati del mondo di cooperare per porre fine all’occupazione israeliana. L’effetto del parere non sarà immediato, ma ha forti ripercussioni diplomatiche, economiche e politiche. Il caso delle Isole Chagos ricorda come le regole del diritto internazionale non possono essere annullate per volontà di una singola nazione. Il lavoro diplomatico è già cominciato, nonostante l’ostruzionismo totale di Netanyahu”.

