Francesco è stato un esempio di chi vuole cambiare le cose in modo morbido, ma sostanziale
Non sono dispiaciuto, perché la morte è un fatto naturale, che avviene sempre. Non sono dispiaciuto perché ho maturato il fermo convincimento che la cessazione fisica del corpo non comporta anche quella dello spirito, che viene liberato e continua a vivere. Non sono dispiaciuto, quindi, della cessazione vivente di Jorge Mario Bergoglio, che, con estrema modestia, ha assunto il nome di Francesco, “Franciscus”, che ha voluto fosse scritto sulla sua tomba.
Eletto il 13 marzo 2013, il primo Papa gesuita ha compiuto dodici anni di pontificato, nel corso del quale ha cambiato parecchie cose all’interno del Vaticano, anche se ha trovato una ferrea resistenza da parte della Curia, che, secondo molti, ha pregato intensamente per la sua dipartita.
Francesco è stato un esempio di chi vuole cambiare le cose in modo morbido, ma sostanziale, allargando le nomine di cardinali a tutte le parti del mondo ed arrivando al numero di centootto, che oggi rappresentano la grande maggioranza del prossimo Conclave, ove sono presenti centotrentacinque cardinali.
La sua forza d’animo, dimostrata fino all’ultimo minuto di vita o quasi, lo ha spinto, domenica scorsa, a salutare tutto il mondo, augurando in diretta e con flebile voce: “Buona Pasqua”. Probabilmente sentiva prossima la fine, che sarebbe arrivata neanche ventiquattro ore più tardi.
Questa sua vitalità, che gli ha consentito di sopravvivere al lungo ricovero di trentotto giorni e all’acutizzarsi della malattia, è un segno inequivocabile, secondo noi, della forza della mente, che prevale su quella del corpo. La mente riesce a trainare il corpo anche quando questo non ce la fa più, almeno per qualche tempo.
Francesco ha messo sempre la dignità della persona prima della stessa Chiesa, rivolgendosi ai più deboli, ai più umili, ai malati. Si è attirato l’ira del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, riconoscendo la Striscia di Gaza come palestinese e ha avuto scontri durissimi con lo stesso Netanyahu accusandolo di strage.
Poi è intervenuto su questioni di fondo e più precisamente sul fatto che i preti si potessero sposare, facendo capire che sulla castità sarebbe intervenuto successivamente. Cambiare i comportamenti millenari della Curia romana è difficilissimo e probabilmente se ne accorgerà il prossimo cardinale, che presumibilmente sarà eletto Papa a metà maggio.
Ho avuto il privilegio di incontrare Papa Bergoglio il 30 ottobre 2019, in occasione del quarantesimo anniversario della fondazione di questo Giornale. Mi sono intrattenuto con lui per otto o nove minuti, nel corso dei quali egli ha avuto l’amabilità di sfogliare il mio libro, che gli ho consegnato in quell’occasione. Mi ha regalato la coroncina di rito e soprattutto in quei minuti mi ha trasmesso una forza che solo una persona carismatica come lui può possedere. La mia testimonianza si aggiunge a quella di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarlo personalmente, vis-à-vis.
Proprio da quell’incontro mi sono spiegato come egli riuscisse a imporre i cambiamenti con dolcezza, ma con determinazione, comportamento difficilissimo da adottare in un sistema rigorosamente conservatore che odiava la trasparenza, del quale il precedente Papa Ratzinger era un emblema. Non per nulla fra il Pontefice argentino e quello “in pensione” i rapporti non erano buoni, anche se entrambi si rispettavano per i ruoli che ricoprivano.
Siamo convinti, per quello che vale, che l’impronta di Bergoglio si trasmetterà al nuovo Papa, il quale dovrebbe essere – salvo imprevisti – un “bergogliano”, cioè che segua e persegua la strada indicata da Francesco. La deduzione sembra logica in quanto, come prima scrivevamo, ben centootto cardinali sono stati nominati proprio dal Papa che se n’è andato.
Nel prossimo Conclave, però, com’è sempre stato, può succedere di tutto, tanto che si usa dire, per qualche porporato favorito, che: “Entra Papa ed esce cardinale”. L’elezione di Francesco fu anch’essa inaspettata, ai tempi.
Quest’ultimo ha riportato tutta l’esperienza acquisita come arcivescovo di Buenos Aires. Anche colà è stato vicino ai poveri e ai derelitti, viaggiando su autobus e metropolitane, con un atteggiamento di umiltà non di forma, ma di sostanza. Per questo suo modo di fare era odiato dall’establishment e da tutta la classe dirigente argentina, che tirarono un sospiro di sollievo quando trasmigrò a Roma.