L’Etna ha sempre fatto da sfondo e da madre a Catania e alla Sicilia orientale come fonte di turismo e bellezza naturale che è sfondo a meravigliosi paesaggi e un mix di sprezzante unità e coesione tra lava, mare e neve che rendono unico questo territorio. Ma come è cambiato il modo della di affrontare le eruzioni dell’Etna? Ripercorriamo l’eruzione più tragica e più significativa della storia di Catania e del vulcano: quella del 1669.
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1669, l’ultima volta che l’Etna minacciò Catania
L’11 marzo 1669 è una data che è rimasta nella storia eruttiva dell’Etna. Dopo giorni di forti scosse di terremoto che hanno colpito i vari borghi etnei, si apre una fenditura di 9 km che parte dalle cime del vulcano fino a Piano San Leo e man mano la frattura scende fino a pochi passi da Nicolosi. Tra le urla e le grida della popolazione, si aprono delle bocche eruttive, alcune anche dentro i campi coltivati. Il 12 marzo, a 800 metri di quota si apre la bocca da cui sgorga la maggior quantità di lava di tutta l’attività: il cratere dei “Monti Rossi”.
Da qui inizia a traboccare una enorme quantità di cenere e lava che investe tutto il catanese. Nicolosi, Mascalucia, Mompilieri e Malpasso vengono cancellate dalle cartine geografiche. Fortunatamente, per via delle scosse di terremoto dei giorni precedenti, gli abitanti di questi paesi etnei sono fuggiti verso Catania o altre zone della Sicilia e quindi non sono state registrate vittime. Le autorità civili ed ecclesiastiche catanesi organizzano un grande sistema di accoglienza degli sfollati, rimasti senza casa a causa della violenza del vulcano.
La preoccupazione e le preghiere a Sant’Agata
In città la preoccupazione è forte e dalle zone più alte si inizia ad intravedere la lava che scende minacciosamente verso sud. I catanesi si affidano alla sua patrona, Sant’Agata, portando prima in processione il braccio della Martire e il giorno dopo il velo fino a Mascalucia dove viene celebrata messa.
Tra canti di preghiere e urla di disperazione dentro le mura la situazione è fuori controllo proprio per il timore che il fronte lavico possa distruggere la città. Nel giro di dieci giorni vengono distrutti i centri di San Pietro, Camporotondo, San Giovanni Galermo e Misterbianco. Quindi, il fronte dell’eruzione giunge presso i colli di Monte Po e seguendo la morfologia della zona punta dritto verso la zona ovest di Catania.
L’ingresso della lava a Catania e la fuga dei cittadini
Il fronte lavico, avanzando sempre di più, seppellisce interamente la gurna di Nicito e giunge innanzi al Bastione degli Infetti. Da lì, la lava segue il percorso del fiume Amenano che circonda le mura cittadino. Il 16 aprile 1669, dopo un cammino di 12 km, la colata impatta con la cinta muraria e in un primo momento non riesce a superare l’alto muraglione, che viene continuamente puntellato al fine di dargli maggiore resistenza.
Il senato cittadino approva delle misure di contenimento della colata lavica all’interno della città, con la costruzione di barriere di pietra a secco. Allo stesso tempo il centro cittadino si svuota sempre più e man mano vascelli pieni di gente trasporta i catanesi via mare verso mete più sicure come Aci, Augusta, Siracusa e soprattutto Messina.
I danni a Catania causati dall’eruzione dell’Etna
Il fronte eruttivo si è convogliato tra il Bastione del Tindaro e quello degli Infetti comportando in una crescita in altezza del flusso lavico, facendo collassare una porzione di mura di 57 metri. Così per la prima volta la lava entra in città. Viene bruciato il giardino del Monastero dei Benedettini e vengono distrutte case e chiese del quartiere di San Nicolò l’Arena.
Dopo 8 giorni di preoccupazione e di resistenza il fronte lavico si arresta e la città viene risparmiata nonostante alcuni danni. Per via di ciò i catanesi ringraziano la patrona Sant’Agata per questo miracolo a tutela di Catania e della sua gente. In suo onore viene realizzata la Strada “della Vittoria” che corrisponde all’odierna Via Plebiscito e che percorre la cinta muraria della città ed è luogo ogni anno della processione trionfale del 4 febbraio.
Ma allo stesso tempo, alcuni flussi lavici alimentano la colata presente nel settore meridionale delle mura difensive del Castello Ursino, che viene fatto evacuare. Il 16 maggio la lava supera le mura e si riversa dentro il fossato del castello che si colma completamente. La colata arriva addirittura all’altezza delle finestre, che vengono appositamente murate per evitare la distruzione della fortezza. Nei mesi estivi, alla fine, l’avanzata del fronte eruttivo si arresta definitivamente in mare e si spegne definitivamente l’11 luglio 1669.
Cosa è cambiato oggi nel 2025 per affrontare le eruzioni
Oggi la Protezione Civile della Regione Siciliana ha un piano di prevenzione in vista delle eruzioni dell’Etna. In passato, come visto sopra ci si affidava a tecniche rurali e alla fede, ad oggi esiste un piano con dei passaggi ben precisi.
L’emergenza si suddivide in diverse fasi partendo dalla fase di attenzione dove il personale di reperibilità allerta il responsabile della Linea di Attività e a sua volta il dirigente della Protezione Civile. Egli in contatto con la Soris segue l’evoluzione dell’evento e dirama lo stato di attenzione allertando il sindaco e i funzionari delle autorità civili e militari. Poi ci sono le fasi di pre-allarme e di allarme.
La prima fase subentra se l’evento piroclastico coinvolge il territorio comunale, la Protezione Civile predispone il Presidio operativo che ha il compito di predisporre i provvedimenti di salvaguardia della popolazione e attiva le squadre miste con le forze del coordinamento comunale e volontariato. Invece, nella fase di allarme, la Protezione Civile contatta il Sindaco che dispone l’immediata attivazione della C.O.C. (Centro Operativo Comunale) per fronteggiare l’evento con tutte le risorse comunali possibili.
In foto il dipinto di Giacinto Platania – Catania raggiunta dalle colate laviche dell’eruzione dell’Etna del 1669

