ROMA – Un tonfo così forte, quello che riguarda i dati sull’occupazione nel Mezzogiorno italiano, che si riverbera oltre i confini del Paese, vibrando lungo l’intero continente europeo. Le regioni del Sud Italia, in quanto a solidità del mercato del lavoro, fanno da chiudi fila non solo per la Penisola, ma anche per tutti i ventisette Paesi dell’Ue. Sul podio dei peggiori, in particolare, c’è la Sicilia che, insieme a Calabria e Campania, colleziona nel quadro comunitario una serie di bocciature statistiche: l’Isola, infatti, è tra i fanalini di coda in Europa per tasso d’occupazione, indice d’impiego della popolazione in base al livello d’istruzione, numero di giovani che non studiano e non lavorano e durata dei periodi di disoccupazione. A dirlo è l’Eurostat nel suo Annuario delle Regioni europee 2025, pubblicato di recente e relativo alla situazione dello scorso anno. Un documento che offre una panoramica delle condizioni economiche e sociali d’Europa addentrandosi nelle specificità territoriali dei singoli Stati e confrontandole tra loro. Panoramica dalla quale proprio le regioni del Sud Italia escono con le ossa rotte.
Il tasso di occupazione in Sicilia tra i più bassi d’Europa
Dal punto di vista del tasso d’occupazione (intendendosi in questo caso il rapporto tra lavoratori e popolazione nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 64 anni), il monitoraggio Eurostat rileva i valori “relativamente più bassi” nelle aree rurali, in quelle meno popolate e in quelle periferiche. Zone in cui si notano scarse opportunità di lavoro soprattutto per le persone con competenze intermedie o elevate. In quest’ambito, si legge a chiare lettere che “nel 2024, le regioni italiane Calabria, Campania e Sicilia registrano i tassi d’occupazione più bassi dell’Ue”, rispettivamente con risultati percentuali del 48,5, del 49,4 e del 50,7. Pertanto, in Calabria e Campania risulta occupata meno della metà della popolazione in età lavorativa. In Sicilia, dove il dato supera di pochissimo il 50%, si registra il terzultimo tasso più basso d’Europa. Valori che, nella scena comunitaria, sono non soltanto i peggiori, ma anche estremamente lontani dal limite della sufficienza: la media del tasso di occupazione nell’Ue è infatti del 75,8%, mentre l’indice dei Paesi europei più virtuosi si spinge anche sopra l’83,5%.
L’indice di occupazione in relazione al livello di istruzione
La pessima situazione occupazionale nelle aree appena evidenziate si riflette anche su altre voci statistiche considerate da Eurostat. Una di queste, è l’indice di occupazione in relazione al livello di istruzione. Secondo il report, nel 2024 “c’erano tre regioni all’interno dell’Ue in cui meno del 60% delle persone con un livello di istruzione medio era occupato. Tutte e tre si trovano nell’Italia meridionale: Calabria (53,2%), Campania (58,2%) e Sicilia (59,8%)”. Le stime Eurostat non sono meno impietose neppure riguardo agli indici sul lavoro delle persone con un livello di istruzione elevato. In questo caso, rispetto a una media europea dell’87,8%, un tasso di occupazione inferiore al 78,5% si rileva in cinque regioni del Mezzogiorno italiano: si tratta di Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Basilicata. In assoluto, è la Calabria a registrare il tasso più basso (71,1%) di occupati “più istruiti”.
Le stime sui Neet
Un’altra maglia nera che l’Eurostat affibbia alle medesime regioni dell’Italia meridionale riguarda le stime sui Neet, i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono iscritti a un corso di formazione. Un dato che contiene in sé dinamiche socioeconomiche complesse, capace di rivelare criticità strettamente legate all’efficacia delle politiche nazionali. Nella categoria dei Neet – come ricorda lo stesso report – vengono infatti inseriti anche i giovani che, una volta concluso il percorso formativo, non riescono a entrare nel mondo del lavoro. Si tratta perciò di un indice più completo del tasso di disoccupazione, poiché riflette anche il rischio di esclusione sociale e lavorativa. Secondo Eurostat, durante il 2024 sono cinque le regioni europee in cui il tasso di Neet è pari almeno al 25%, contro una media Ue che non supera invece l’11%: due di queste sono la Sicilia (25,7%) e la Calabria (26,2%) che, con più di un quarto della popolazione tra i 15 e i 29 anni non occupata né impegnata nella propria formazione, si piazzano rispettivamente al quartultimo e al terzultimo posto in Europa. Sotto la soglia del 25%, ma letteralmente per un soffio, la Campania, con un percentuale di Neet al 24,9.
Il Sud continua a sprofondare nel baratro
Tirando le somme, mentre nella Penisola i dati sul tasso d’occupazione in crescita al Mezzogiorno vengono festeggiati come un record (50,2% secondo l’ultima rilevazione Istat), il racconto europeo dice tutt’altro e accende un campanello d’allarme sulla necessità di adottare politiche per invertire la rotta di un Sud che continua a sprofondare nel baratro. D’altronde, gli stessi indici di occupazione Istat (apparentemente positivi per il meridione) in realtà non contraddicono quanto emerge dal rapporto Eurostat. Come si può leggere nelle precedenti edizioni del Quotidiano di Sicilia, l’occupazione al 50,2% del Sud (dato più alto dal 2004) non sembra tanto il risultato di una rivitalizzazione del mercato del lavoro, quanto il sintomo di un mix tra crisi demografica e innalzamento dell’età pensionabile, deducibile dal fatto che ad aumentare sono soltanto gli occupati d’età compresa tra i 50 e i 64 anni, mentre si registra un calo dei lavoratori nella fascia più giovane. Da questo punto di vista, i numeri riportati da Istat e quelli rilevati da Eurostat, nel complesso, dialogano tra loro in modo coerente.
A questo c’è da aggiungere anche che la disfatta dell’Italia meridionale a livello europeo, non è del tutto scollegata dalla complessiva situazione del Paese. Il tasso di occupazione del Nord (superiore a quello del Sud di circa il 20%, secondo Istat) non raggiunge comunque il target minimo europeo fissato al 78%. Inoltre, sebbene nessuna regione dell’Italia settentrionale si piazzi tra le ultime dell’Ue, c’è comunque un dato Eurostat che condanna l’intero Paese come il peggiore d’Europa: “Nel 2024 – si legge nel report – l’Italia ha la più alta disparità regionale per i tassi di occupazione”. Questo significa che nessun altro Paese europeo registra gap occupazionali interni peggiori di quelli italiani. Eurostat ha rilevato nella Penisola una disparità tra Nord e Sud con divergenze tra regioni che in certi casi raggiungono anche i 30 punti percentuali. Aspetto che, a margine di tutto, apre a una considerazione: e cioè che, a meno di un anno dalla scadenza naturale del Pnrr, almeno sotto quest’aspetto le politiche di coesione territoriale non hanno di certo dato i risultati sperati.
Disoccupati stabili e lavoro nero: gli aspetti che macchiano le statistiche
ROMA – Tra gli elementi statistici che piazzano le regioni del Sud Italia in fondo alla classifica dei Paesi europei ce n’è uno che indica per quanto tempo resta inattiva la platea dei disoccupati. Il cosiddetto tasso di disoccupazione di lunga durata, relativo a periodi di inattività che si protraggono da almeno 12 mesi, si attesta sulla media europea dell’1,9% per l’anno 2024. Il report di Eurostat afferma che, pur non trattandosi dei risultati peggiori d’Europa, c’erano comunque “tre regioni con tassi di disoccupazione di lunga durata pari almeno all’8%, ciascuna delle quali situata nell’Italia meridionale: Campania (9,9%), Calabria (8,3%) e Sicilia (8%)”.
Il monitoraggio, a questo proposito, sottolinea come dietro a un elevato tasso di disoccupazione di lunga durata si nascondano “problemi strutturali nel mercato del lavoro, inadeguatezza delle competenze o stagnazione economica, che portano a perdita di reddito, esclusione sociale e aumento della pressione sui sistemi di welfare e sul benessere della comunità”. A questo, però, va aggiunto che tanto più è lungo il periodo di disoccupazione, quanto più è possibile presumere irregolarità e lavoro nero: vale a dire che chi non ha ufficialmente un lavoro da molto tempo, potrebbe in realtà trovarsi in una posizione occupazionale non a norma. Una correlazione che di certo non va assunta come indicatore dal valore assoluto: il tasso di disoccupazione di lungo periodo può essere chiaramente determinato da carenze nel mercato del lavoro e scarse opportunità per chi cerca un impiego. Tuttavia, anche al “lavoro sommerso” va riconosciuto il giusto peso, soprattutto perché si tratta di un fenomeno che può alterare gli indici sull’occupazione, portando a sottostimarne l’entità.
In effetti, è possibile rintracciare una certa specularità statistica tra un’alta irregolarità del lavoro e un’esigua platea di occupati. Prendendo in considerazione i dati Istat più aggiornati (che riguardano l’anno 2022) ci sono tre regioni i cui indici d’irregolarità dei lavoratori non sono soltanto più alti della media italiana (pari al 9,7%), ma sono anche i peggiori del Paese. Si tratta, ancora una volta, di Calabria (con un tasso d’irregolarità degli occupati del 17,1%, il più alto di tutti), Campania (14,2%) e Sicilia (13,6%). Le irregolarità maggiori, dunque, si rilevano proprio nelle stesse tre regioni i cui risultati in termini di occupazione sono i più deludenti d’Europa.

