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Ex Province, la saga continua: a Catania ricorso corso le elezioni indirette

Ex Province, la saga continua: a Catania ricorso corso le elezioni indirette
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L’ex sindaco di Aci Castello, Filippo Drago, assistito dal professore Agatino Cariola, ha chiesto al Tar di sollevare la questione di legittimità costituzionale sulle votazioni dello scorso 27 aprile

CATANIA – Chi pensava che, svoltesi le elezioni di secondo livello e nominati i consigli (e anche i presidenti nei casi dei Liberi consorzi), la lunga saga delle ex Province si sarebbe conclusa rimarrà deluso. Il prossimo autunno – l’udienza è già stata fissata al 5 novembre – nella sezione catanese del Tribunale amministrativo regionale (Tar) verrà esaminato il ricorso presentato da Filippo Drago, ex sindaco di Aci Castello, per chiedere di sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte Costituzionale in merito alle votazioni che si sono tenute il 27 aprile.

Quel giorno, tanto a Catania quanto negli altri capoluoghi, i sindaci e i consiglieri dei Comuni che ricadono nel perimetro geografico delle ex Province e in quello amministrativo delle Città metropolitane (Palermo, Catania e Messina) e dei Liberi consorzi si sono riuniti per scegliere, tra loro, i componenti dei consigli degli enti di area vasta e, nel caso dei Liberi consorzi anche i presidenti (per le Città Metropolitane la legge prevede che a guidare l’ente sia il sindaco del capoluogo).

Ex Province, presunta incostituzionalità delle elezioni

All’appuntamento si è arrivati dopo quasi un decennio di commissariamenti e più tentativi, sempre cassati in seguito alle impugnative di Roma, di reintrodurre l’elezione diretta, riportando tutto all’era che a livello nazionale ha preceduto la cosiddetta riforma Delrio, dal nome del ministro dell’allora governo Renzi. Gli scettici – oltre che i critici – continuano però a essere tanti. E tra questi proprio Drago che, affidandosi al professore ordinario di Diritto costituzionale e avvocato Agatino Cariola, ha presentato ricorso al Tar, con la richiesta di tornare a sottoporre i rilievi di presunta incostituzionalità della norma con cui si è andati a votare ma anche delle prassi che tali regole hanno generato. “Tutti i motivi di ricorso sono dedicati ad illustrare l’incostituzionalità delle soluzioni organizzative apprestate dalla legge Delrio, n. 56/2014, e su sua imitazione, dalla legislazione regionale siciliana sugli organi di governo degli enti di area vasta”, si legge nella parte introduttiva del ricorso.

Sette le criticità portate all’attenzione dei giudici

Sono sette le criticità portate all’attenzione dei giudici. Il primo di essi riguarda “l’assenza di responsabilità politica in capo al presidente del libero consorzio, in violazione del principio democratico che richiede effettività al circuito della rappresentanza e della responsabilità politica” e a ciò si lega anche la critica riguardante l’impianto della norma in vigore che prevede che gli incarichi nelle ex Province abbiano durata pari alle cariche elettive assunte nei singoli Comuni di provenienza. “Ciò – viene sottolineato nel ricorso – impedisce qualsiasi programmazione seria delle attività in capo all’ente medesimo oltre a contrastare con il principio che vuole la responsabilità politica di chi governa”.
Altro aspetto contestato riguarda il cumulo dei mandati che deriva sia per i sindaci che per i consiglieri nel momento in cui sono stati eletti negli organi politici delle Città metropolitane o dei Liberi consorzi. “È escluso da una ricca giurisprudenza costituzionale che in nome del principio di buon andamento ha negato che un soggetto possa esercitare munera (dal latino, incarichi) pubblici in enti diversi”, si legge. Nel mirino di Drago, la cui iniziativa è partita nelle vesti di cittadino, c’è poi il sistema di voto previsto dalla norma. Gli aventi diritto, infatti, si sono presentati alle urne consapevoli di avere nelle proprie mani un peso diverso in base al Comune di provenienza. “È proprio di una concezione patrimonialistica che non si concilia con la rappresentanza politica, oltre a non assicurare l’eguaglianza e la segretezza del voto, le quali sono richieste dall’art. 48 Costituzione anche per i cosiddetti grandi elettori”. Sul punto il ricorso, passando in rassegna i risultati nella Città metropolitano, esito che viene esplicitamente contestato ma che sarebbe stato viziato al pari di quello registrato negli altri capoluoghi, mette in evidenza i motivi per cui sarebbe possibile affermare che i voti espressi il 27 aprile “sono riconoscibili”. Un fatto, questo, che “integra da solo un motivo di annullamento delle operazioni elettorali”.

I 37 grandi elettori di Catania non sono indifferenziati

“Nella Città metropolitana di Catania – si legge a titolo di esempio – è intuitivo che i 37 grandi elettori di Catania non sono indifferenziati, ma distinti per partiti politici di appartenenza, di modo che le preferenze espresse sono identificabili agli occhi dei capi-partito. Ad esempio, i tre consiglieri comunali di Catania del Pd sono noti. Ne deriva che ci si attende che i loro voti siano andati a candidati del Pd, e poi si scorge che il candidato Pd Graziano Calanna ha ottenuto due voti del peso di 801 (peso ponderato dei voti spettanti agli aventi diritto del Comune di Catania, ndr) ed il candidato Agatino Scardina un voto da 801, cioè da elettori di Catania”.

Fra le criticità segnalate nel ricorso c’è poi un aspetto legato alla privazione di ogni rappresentanza per quei cittadini che vivono in Comuni i cui Consigli comunali sono stati sciolti. “Ciò risulta in grave violazione del principio di eguaglianza e della necessaria rappresentanza politica (anche se di secondo grado) da assicurare a tutti i cittadini italiani ovunque risiedano”, viene esplicitato.

Infine due critiche riguardanti le modalità con cui venne varata la riforma Delrio oltre un decennio fa. Da una parte si mette in evidenza il fatto che, nonostante sia stata qualificata dalla Corte Costituzionale, “è stata approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato della repubblica in maniera contrastante con quanto prescrive l’articolo 72 della Costituzione in quanto composta da un solo articolo con tantissimi commi, e con voto di fiducia posto dal governo”. Dall’altro si fa notare che la legge “non rispetta la prescrizione dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 267/2000, secondo cui le modifiche al testo unico enti locali dovrebbero avvenire mediante espressa modificazione di quel testo”.

“Al sindaco Trantino ed agli altri esponenti politici chiedo – commenta Drago in una nota – che nel giudizio di fronte al tribunale amministrativo stiano dalla parte dei cittadini e sostengano la richiesta di cambiamento della legge Delrio e del suo clone siciliano”.