Si stima che 71 milioni di persone convivono con una infezione cronica da HCV nel mondo e che il 95% dei soggetti con epatite B o C non sa di essere infetto.
Si stima che 71 milioni di persone convivono con una infezione cronica da HCV nel
mondo e che il 95% dei soggetti con epatite B o C non sa di essere infetto.
L’infezione da HCV è un “killer
silenzioso” nei confronti del quale l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha
evidenziato che investendo 6 miliardi di
dollari l’anno, per eliminare l’epatite in 67 Paesi, si potrebbero evitare 4,5 milioni morti premature entro 2030 e oltre 26 milioni decessi dopo
tale data.
A titolo di esempio, la regione
Lombardia nella sua banca dati registra che oltre il 75% delle persone con malattia epatica ha oltre 3 patologie,
la Campania è invece l’unica regione
che ha elaborato dei dati sui costi dei
pazienti stimandoli per
cirrosi in 71,5 milioni di euro per anno.
Di fronte
a questo scenario di numeri imponenti sono necessari nuovi percorsi di
analisi per le
popolazioni, soprattutto con risorse limitate e a bassi tassi diagnostici per
far emergere un sommerso considerevole e rivedere
l’approccio ai test.
Il recente Decreto “Screening HCV” prevede che le regioni comunichino il
referente che segue i flussi da inviare a livello nazionale; lo screening
nazionale gratuito per l’eliminazione del virus HCV è rivolto in via
sperimentale per il 2020-2021 sia a tutta la popolazione iscritta all’anagrafe
e nata dal 1969 al 1989 sia a persone seguite dai SerdD e ai detenuti in
carcere, indipendentemente da coorte di nascita e nazionalità. Queste
operazioni devono essere organizzate dalle Regioni onde evitare le complicanze
di una malattia epatica avanzata, delle manifestazioni extraepatiche e
interrompere la circolazione del virus impedendo nuove infezioni.
La proposta per raggiungere tutto ciò è che i soggetti nati dal 1969 al
1989 vengano contattati dai medici di medicina generale o dal servizio di
prevenzione territoriale, vengano sottoposti a test sierologici per HCV: in caso
di positività il laboratorio esegue sullo stesso campione la ricerca dell’HCV RNA
o dell’antigene HCV-HCV Ag, in alternativa il test capillare rapido e, nel caso
di risultato positivo, conferma con HCV RNA. Per i soggetti a carico dei SerD e
detenuti la scelta viene effettuata in relazione al contesto epidemiologico
locale: test rapido, eseguibile su sangue intero con prelievo capillare o con
HCV Ab POCT (point of care test), in alternativa direttamente test rapido HCV
RNA (POCT) test rapido.
Durante il webinar “Tavolo nazionale di lavoro sullo screening
dell’HCV” organizzato da Motore
Sanità, con
il contributo non condizionante di Abbott sono stati presi in esame i farmaci
innovativi e le campagne e le previsioni per l’eradicazione dell’HCV entro il
2030.
“Entro il 2030 abbiamo
la necessità di coprire il sommerso che è stimato attorno al 70% delle diagnosi
non effettuate e di andare a coprire il 70% dei pazienti che non sanno di avere
l’infezione” è
stato l’appello di Valeria Ghisetti, Direttore
Responsabile Laboratorio di Microbiologia e Virologia Ospedale Amedeo di
Savoia, Torino.
“La differenza fondamentale tra il sommerso che riguarda altre infezioni
estremamente importanti come l’HIV e l’HBV, è che con l’HCV abbiamo a
disposizione degli efficaci sistemi di cura dell’infezione fino
all’eradicazione, e tutto ciò è reso possibile dai relativamente nuovi farmaci
che hanno la funzionalità di andare ad inibire alcuni enzimi fondamentali nel
ciclo replicativo del virus.
Ma abbiamo un ostacolo dal
punto di vista della prevenzione ed è la variabilità genetica del virus, variabilità che è anche l’ostacolo allo
sviluppo dei vaccini. Di fronte a
questo scenario dobbiamo riprendere di effettuare i test.
Il Decreto pone l’accento sulla necessità di testare, quindi fatto
salvo che abbiamo avuto una grossa interruzione nella politica di testing a seguito
del Covid, dobbiamo riprendere la
campagna dei test che deve passare attraverso un dosaggio anticorpale come
presidio di screening ad alta priorità eventualmente associato con dei sistemi tipo
poin of care”.
Il coinvolgimento del “territorio” è fondamentale. “Dobbiamo trovare degli strumenti da dare ai
medici di medicina generale in modo da coinvolgerli” ha aggiunto la
professoressa Ghisetti.