Frode fiscale tra Vittoria e Acate, otto denunce e sequestri per 1 milione e mezzo di euro. Le indagini sono partite da una denuncia presentata da un fornitore austriaco
VITTORIA (RG) – I finanzieri del Comando provinciale di Ragusa hanno scoperto una frode fiscale – tramite l’emissione di fatture false – per operazioni inesistenti per un importo di circa 4 milioni di euro ed eseguito un sequestro preventivo – finalizzato alla confisca per equivalente di oltre 1,5 milioni di euro su conti correnti, denaro, autovetture e immobili nella disponibilità di due società e di due degli otto indagati denunciati, a vario titolo, per reati tributari.
Le indagini, condotte dai militari della Compagnia di Vittoria sono state avviate una denuncia presentata da un fornitore austriaco nei confronti del rappresentante legale di una società di Acate nel settore della produzione degli imballaggi in legno, per il mercato ortofrutticolo di Vittoria.
Lo schema fraudolento utilizzato dagli indagati era quello del ‘carosello fiscale’, attuato tramite triangolazioni tra le società coinvolte al semplice scopo di evadere l’Iva, con una dimensione transnazionale, visto il coinvolgimento, oltre che di sei imprese siciliane, anche di due società di diritto rumeno.
L’imprenditore ragusano si è servito di ditte individuali e società cartiere aventi sedi formali tra Niscemi, Acate e Vittoria, ma di fatto tutte gestite dalla sua società con sede ad Acate risultata sempre l’effettiva beneficiaria degli acquisti di merce intracomunitaria.
Le imprese interposte, prive di struttura imprenditoriale, sono state utilizzate all’occorrenza per acquistare quantità di merce direttamente dai fornitori comunitari (austriaci e rumeni). In realtà la merce non veniva consegnata alla ditta che aveva effettuato l’ordine, ma direttamente all’effettivo destinatario, beneficiario della frode.
La cartiera, quindi, veniva interposta facendo da filtro nelle transazioni commerciali tra i fornitori europei e la società operativa acatese, effettuando gli acquisti comunitari di beni, che poi risultavano rivenduti sul territorio nazionale, solo formalmente, perché la merce era già stata recapitata al destinatario finale.
Nel frattempo, la società interposta si addossava, a seguito della fittizia rivendita, il relativo debito Iva, che poi non versava all’Erario.