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Violenza economica sulle donne, come accelerare i 160 anni che ci separano dalla parità di genere

Violenza economica sulle donne, come accelerare i 160 anni che ci separano dalla parità di genere

Violenza economica sulle donne tra diritti negati e diritti a rischio: come accelerare i 160 anni che ci allontanano dalla parità di genere

La parità di genere è ancora lontana in Italia, dove 8 milioni di donne non lavorano e dove si fa fatica a tradurre, nel quotidiano, i diritti costituzionali in modo equo tra i generi. I diritti acquisiti, talvolta solo sulla carta, rischiano persino di essere precari.

Queste alcune delle considerazioni emerse durante l’incontro “Carriera e maternità: esperienze a confronto”, organizzato dall’Associazione nazionale antimafia Alfredo Agosta al Museo diocesano di Catania, in occasione della Giornata internazionale della donna.

I diritti

I diritti di cui le cittadine godono oggi – come quello allo studio – sono stati duramente conquistati dal movimento di lotta femminista della prima parte del Novecento, ma questo non dovrebbe farci sentire al sicuro. A sostenerlo è Mariolina Malgioglio, componente dell’Associazione nazionale antimafia Alfredo Agosta: “In Siria negli anni Cinquanta le donne andavano in giro in minigonna, oggi indossano il burqa – ha spiegato –. Pensiamo non possa succedere qui? Non ne sarei così sicura. Quando la democrazia è in crisi, tutto è possibile. Anche se riteniamo di aver raggiunto degli obiettivi, non è detto che non possano essere modificati (…). Le donne con gli attributi? Un principio da rigettare, dobbiamo pretendere che la donna possa essere libera di essere se stessa, come suggerito dalla presidente messicana Claudia Sheinbaum”.

Federica Nicolosi: “Troppi incidenti nella strada da e per il lavoro, colpa dello stress”

“Quando ho vinto il concorso mia figlia aveva 9 mesi – ha raccontato Francesca Longo, ordinaria di Scienza politica e Relazioni internazionali e prorettrice di UniCT –. Ho potuto fare carriera perché avevo una rete familiare che mi ha sostenuta, una condizione economica che mi ha permesso di pagare nido, baby-sitter e personale delle pulizie, un marito educato dalla sua struttura familiare a essere parte e non spettatore della sua famiglia. Non è più possibile accettare che la cura della famiglia sia compito della madre e che sia un problema soltanto femminile. Se le donne non lavorano, se non c’è parità di genere, è un problema per tutti”.

La conquista dell’indipendenza economica resta per poche e, tra discriminazioni di genere e impegni familiari, è molto più faticosa rispetto a quella degli uomini. “Nel nostro tavolo di lavoro sulla questione femminile abbiamo potuto notare come tra le donne ci sia un alto tasso di infortuni in itinere, tra domicilio e luogo di lavoro – ha fatto sapere Federica Nicolosi, vice prefetto di Catania –. Abbiamo sentito la necessità di indagare sulle cause, scoprendole nello stress psicofisico a cui sono sottoposte, nei tanti giri che sono costrette a fare prima di raggiungere l’ufficio, nei fattori di rischio diversi rispetto a quelli dell’altro genere. Per ridurli sono necessari asili nido e ludoteche nei luoghi di lavoro”.

La violenza economica espone le donne ad altre forme di violenza

La violenza sulle donne non è soltanto un fattore culturale, ma politico. “I diritti sono di tutti e la libertà passa dalla libertà economica – ha detto Maria Grazia Vagliasindi, presidente della Corte d’appello di Caltanissetta –. Molte donne vivono ancora segregate a causa della dipendenza economica, senza poter esprimere il loro talento.

E vengono plasmate anche dall’approccio lessicale di chi sta loro vicino, di chi le sminuisce, le invita a tacere o rivolge loro complimenti fuori contesto. Ogni donna deve avere la possibilità di esprimersi attraverso il rigore, l’affinamento, la meritocrazia, l’aristocrazia del cervello e le competenze. Il sistema giudiziario? Dovrebbe tutelarla da ogni forma di violenza, ma spesso arriva in ritardo. Grazie alla normativa sovranazionale, però, vive percorsi complessi che possono portare il progressivo rispetto della donna e delle sue opportunità. Un esempio sono le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo dei giudici che, nelle sentenze, usano linguaggi colpevolizzanti e moralizzanti nei confronti di coloro che denunciano”.

Le donne in magistratura e i motori del cambiamento

Non è passato molto tempo, in fondo, da quando è stato stabilito che anche le cittadine italiane potessero votare e che potessero entrare in magistratura. A tal proposito, nel 1946, l’onorevole Molè affermava: “La donna deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia, più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche”. A ricordalo Marisa Scavo, già procuratrice aggiunta della Procura di Catania. Oggi, però, sono proprio le donne a vincere con più frequenza i concorsi in magistratura.

“Secondo le stime, ci vorranno 160 anni per la parità di genere – ha continuato Scavo –. Non dobbiamo dunque stupirci se le cose non vanno sempre come dovrebbero, anche all’interno delle istituzioni chiamate a favorirla. I motori del cambiamento? Oltre al Governo, le scuole. E mi appello pure alla Chiesa. Perché capita anche che, purtroppo, i preti suggeriscano alle donne di fare passi indietro rispetto alle denunce. Per combattere la violenza di genere e favorire le pari opportunità serve lo sforzo di tutte e di tutti”.

Il diritto alla maternità e la scuola come modello per l’inclusione

In Italia la genitorialità è vista spesso come un ostacolo alla realizzazione professionale. Seppure i diritti riproduttivi, così come quelli del lavoro e alla famiglia, siano tutelati a più livelli, secondo il principio generale di non discriminazione sulla base di sesso e genere, la loro conciliazione resta difficile. A sostenerlo è Adriana Di Stefano, associata di Diritto dell’Unione europea e delegata del rettore alle Pari opportunità di UniCT. “La genitorialità è un diritto protetto, ma non acquisito nelle società contemporanee – ha spiegato –. Inoltre, il fatto che la famiglia monoparentale sia equiparata alla genitorialità di coppia e che l’affido e l’adozione siano equiparati alla genitorialità naturale può trarre in inganno. Perché proprio le famiglie monogenitoriali si trovano in maggiori difficoltà e hanno più esigenza delle altre di supporti”.

La scuola può essere un modello non soltanto per l’attività di educazione e di sensibilizzazione, ma anche come sistema per favorire l’inclusione. “Le carriere vengono ostacolate da ragioni fisiologiche, dovute alla maternità, da ragioni culturali, ovvero dagli stereotipi e dalla delega all’attività di cura della famiglia, ma anche da un problema di sistema: dobbiamo decidere se vogliamo o meno favorire le nascite. Se sì, lo Stato deve garantire ai genitori asili nido e babysitter – ha affermato Agata Santonocito, procuratrice vicaria della Procura distrettuale di Catania –. La scuola può essere un modello, perché quando una maestra si assenta, interviene subito un o una supplente. Così deve accadere anche nelle nostre case, facendo attenzione però: l’assistenza non è solo per le donne, ma anche per gli uomini; sappiamo ormai che i bambini crescono più equilibrati se hanno entrambi i genitori”.

Il diritto alla genitorialità vista da un uomo, Salvatore Montemagno: “Mi mancavano i miei figli”

Allungare i permessi di paternità ed equipararli a quelli di maternità può aiutare a favorire una divisione equa dei compiti di casa e un’uguale partecipazione dei genitori nella cura dei figli, a fare crescere questi ultimi in modo più armonico e a far sentire i padri genitori al 100%. A suggerirlo è Salvatore Montemagno, dirigente della Divisione anticrimine della questura di Catania. “Sono rimasto nove anni fuori casa per lavoro. Quando sono tornato, i miei figli, anziché sentirsi in mani sicure, con me piangevano. Mi sono mancati, avrei voluto un lungo permesso per stare con loro”, ha raccontato.

Oggi Montemagno fronteggia sul campo la violenza di genere. “A Catania nel 2024 abbiamo fatto 402 ammonimenti, frutto di migliaia di segnalazioni – ha detto –. La quantità di episodi di violenza, di diversa natura, è enorme”.

La storia di Alessandra e il diritto alla fertilità, Pierfrancesco Veroux: “Con medicina e ricerca grandi passi avanti”

A proposito di diritto alla genitorialità, accade spesso che, per ragioni economiche e professionali, si decida di fare un figlio ben oltre i trent’anni. Questa è una delle cause frequenti di infertilità, a cui però la medicina trova quasi sempre una soluzione.

“I dati ci dicono che più di 44 mila donne hanno lasciato il posto di lavoro dopo aver avuto il primo figlio, che la maggior parte delle giovani di età inferiore a 25 anni considera la maternità un evento negativo per la soddisfazione della carriera professionale e che, chi ha già un figlio, non ne desidera un altro per almeno i tre anni successivi”, a spiegarlo è Pierfrancesco Veroux – ordinario di Chirurgia vascolare e direttore del dipartimento di Chirurgia generale e specialità medico-chirurgiche – che si è reso protagonista di una delle pagine più emozionanti della sanità italiana, che dipinge come uno dei pochi settori in cui la parità di genere sia rispettata, tanto nel linguaggio, quanto nel trattamento.

Nell’agosto 2020 ha eseguito – con Massimiliano Veroux, Paolo Scollo e Giuseppe Scibilia – il primo trapianto di utero in Italia su una donna, allora 29enne, che ne era nata priva a causa di una rara patologia congenita. Dopo due anni, è nata la piccola Alessandra, sesto caso al mondo di gravidanza portata a termine con successo dopo un trapianto di utero da donatrice deceduta. Le soluzioni della medicina all’infertilità non sono per tutti: “La capacità economica influisce, purtroppo, sulle possibilità d’accesso. Il mio grande desiderio è che possano essere estese”.