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Filantropia italiana da ripensare: wealthy people verso un modello di beneficenza più “strategica”

Filantropia italiana da ripensare: wealthy people verso un modello di beneficenza più “strategica”

Il Fondo filantropico italiano, in collaborazione con Finer, ha realizzato un report su metodi e numeri delle donazioni. Il presidente, Marcello Gallo: “La svolta si gioca su professionalizzazione, pianificazione e misurazione”

ROMA – Esiste un mondo in cui la consapevolezza del benessere individuale o di una posizione economica e professionale agiata, si incontra con la necessità e la voglia di aiutare gli altri. È quello della filantropia che in Italia, a piccoli passi, prova a farsi spazio. Lo testimonia l’ultimo report del Fondo filantropico italiano in collaborazione con Finer – Financial explorer che svela i nuovi trend nei comportamenti filantropici dei wealthy people italiani.

L’attività filantropica in Italia rimane ancora poco strutturata

Tra tutti spicca un dato. Sebbene si rilevi un segno di miglioramento (1% nel 2024), l’attività filantropica in Italia rimane ancora poco strutturata. E a concorrere a questo dato, a detta del presidente del Fondo filantropico italiano, Marcello Gallo, sono sia fattori culturali che storici: “In Italia – spiega Gallo al QdS – abbiamo un sistema di welfare pubblico che, pur con tutti i suoi limiti, è percepito come la spina dorsale dell’assistenza sociale. Questo riduce intrinsecamente la pressione sul privato e storicamente non ha favorito la nascita di una solida tradizione di grande filantropia, come invece è successo nei paesi anglosassoni. La donazione resta spesso infatti un gesto d’impulso, occasionale, legato all’emotività di una specifica emergenza, non una scelta finanziaria strategicamente pianificata. A parlare sono i numeri – evidenzia Gallo – , i donatori più ricchi mobilitano appena lo 0,2% della loro ricchezza finanziaria per la filantropia. È una cifra esigua se pensiamo al potenziale e a quanto avviene in altri paesi. A questo ha inevitabilmente contribuito anche la mancanza di figure professionali competenti e specializzate”.

La crescita della generosità resta “lenta”

“Il cuore guida la mano, ma per fare la differenza serve la testa. È questa la sfida della filantropia in Italia” afferma Simonetta Schillaci, vice presidente esecutivo di Fondo filantropico italiano. Le donazioni sono spesso polarizzate su ambiti che toccano l’emotività immediata o il vissuto personale, come le emergenze sanitarie e la ricerca medica. Ma, come spiega Schillaci, questa dinamica porta a un cortocircuito: “Quando si spengono i riflettori, la beneficenza rischia di esaurirsi”. La crescita della generosità resta “lenta” a causa della prospettiva troppo breve. Il Fondo filantropico italiano interviene proprio qui, trasformando l’impulso in impatto. “Il nostro lavoro è accompagnare professionalmente il donatore e indirizzarlo su progetti duraturi ed efficaci che possano portare un reale cambiamento – sottolinea Schillaci -. L’obiettivo non è solo erogare contributi, ma elaborare un impegno strategico e concreto, selezionando le iniziative più vicine alla sensibilità del donatore ma con la massima efficienza d’azione. Con fondo Filantropico italiano il donatore va oltre il gesto della semplice donazione e vive un’esperienza filantropica personalizzata e duratura nel tempo”.

Futuro della beneficenza dei wealthy people

Il programma sul futuro della beneficenza dei wealthy people per il presidente Gallo è chiaro: “Credo che la svolta oggi si giochi su tre fronti: professionalizzazione, pianificazione e misurazione. Non è più pensabile – dice – che la filantropia sia gestita con superficialità o in maniera occasionale. Dobbiamo portare la consulenza filantropica al centro dei servizi di wealth management. I nostri dati dimostrano infatti che il ricorso ai consulenti finanziari per le scelte di dono da parte delle persone più abbienti è raddoppiato negli ultimi anni. Le banche e i professionisti della finanza devono diventare facilitatori proattivi, in grado di proporre strumenti evoluti come i Donor-Advised Fund (Daf), che rendono le donazioni più efficienti, flessibili e mirate”.

I lasciti testamentari

Un altro strumento, ancora poco diffuso, è costituito dai lasciti testamentari. “Dal nostro studio – spiega il presidente Gallo – emerge che molti intendono donare (circa il 90%) attraverso testamento, ma sono molto meno quelli che lo fanno realmente”.

“Secondo lo studio di Fondazione Cariplo – spiega poi Schillaci – ci si attende per il 2040 una somma di 88 miliardi di euro di patrimoni senza eredi, che verrebbero trattenuti dallo Stato, ma che, se dedicati ad azioni filantropiche, potrebbero dare risposta a tante urgenze sociali”.

Fare filantropia, ricorda Schillaci, è un’azione che va oltre il semplice aiuto: “È creare del bene per la società, ma anche farsi del bene. L’atto di donare – spiega – fa bene anche a chi lo compie perché dona un profondo senso di realizzazione e risponde a un bisogno di impatto personale. Ma affinché questa spinta emotiva si traduca nei migliori risultati possibili, è cruciale affidarsi ai professionisti. Oggi, i donatori non si accontentano più della mera intenzione: vogliono vedere i risultati concreti del loro impegno. Ed è per questo che è necessario superare la ‘donazione una tantum’ per abbracciare la ‘filantropia strategica’, che punta in modo mirato a un cambiamento sociale effettivo e duraturo. La fiducia nel progetto e la prova dell’impatto generato sono, in definitiva, l’incentivo più potente di tutti per il donatore” conclude la vice presidente esecutiva.