Ha vinto per l'Italia l'oro olimpico nella staffetta 4x100, il milanese si racconta al QdS e svela alcuni divertenti retroscena
Un secondo in meno che ha
fatto la differenza per Marcell Jacobs, Filippo Tortu, Fausto Desalu e Lorenzo
Patta che alle Olimpiadi di Tokyo 2020 hanno conquistato la medaglia d’oro
nella staffetta maschile 4×100 con il tempo di 37.50, così rimanendo per
sempre nella storia dell’atletica italiana.
Filippo Tortu,
milanese e classe ’98, è stato l’ultimo frazionista e, più di tutti, verrà
ricordato per aver tagliato il traguardo mentre sembrava volasse sulla pista. Quel
secondo in meno che ha portato alla medaglia, per Tortu è il riscatto dopo
l’eliminazione in semifinale nei 100m.
Il tempo di 37.50 è
record italiano nella staffetta maschile 4×100, ma i record per Filippo Tortu
non sono una novità. L’atleta delle Fiamme Gialle è stato il primo italiano
capace di scendere sotto i 10 secondi sui 100 metri piani, avendo corso in
9″99 al Meeting di Madrid del 2018.
Nonostante, sia osannato
e sia passato alla storia, il 5 settembre Filippo Tortu tornerà in pista nei
200m in Polonia, a Chorzow, al Memorial Kamila Skolimowska, tappa Gold del
Athletics Continental Tour.
È passato quasi un mese
dalle Olimpiadi. A distanza di tempo, come ha metabolizzato ciò che ha
compiuto?
“Piano piano ho iniziato
a rendermene conto. Ora rimane una grande soddisfazione interiore. Il tempo per
godermela però non è moltissimo: ora mi sto allenando ancora per gareggiare e
non vedo l’ora di tornare in pista”.
È stata una vittoria sul
filo dei secondi: cosa è il tempo per lei?
“Il mio compagno di
viaggio e allo stesso tempo il mio avversario più grande. Non ci faccio i conti
solo in gara, anche in allenamento è una presenza costante. Per me il tempo è
sinonimo di sfida contro gli altri, ma soprattutto contro me stesso”.
La gara individuale non è
andata bene come la staffetta: adesso sa cosa è mancato?
“È difficile da spiegare.
Il 100 metri è fatto di tanti pezzi che vanno allenati uno alla volta. Forse mi
è mancato metterli tutti insieme, ma devo ammettere che il tempo che ho fatto
in staffetta mi ha fatto rendere conto che quando riuscirò a mettere tutti i
pezzi insieme verrà fuori qualcosa che non mi sarei aspettato un mese fa”.
Dopo l’oro nella
staffetta, si è parlato di rapporti tesi tra lei e Marcell Jacobs. Qual è la
verità?
“La verità è molto banale
a dire il vero: i rapporti con Marcell, come con gli altri ragazzi della
staffetta, sono normalissimi. Siamo amici, colleghi e va tutto bene. Il tempo e
i risultati di Marcell non confliggono con i nostri rapporti perché la nostra è
una competizione positiva e costruttiva”.
Il suo allenatore è suo
padre. Quali sono i pro e i contro di avere un padre – allenatore?
“Questa domanda mi è
stata posta molte volte ma voglio specificare bene una cosa: mio padre in campo
non è mio padre. Quando siamo in campo ad allenarci Salvino è il mio
allenatore, un grande allenatore visto che fortunatamente i risultati parlano
per lui. Il fatto che sia mio padre significa solo che ci vediamo anche a cena.
Vedo scrivere da qualche parte che un padre non può essere un bravo allenatore,
come se la sua condizione di parentela influisse sulle sue capacità lavorative.
Per non essere di parte, vi faccio qualche esempio lontano dalla mia
situazione: Tamberi, oro olimpico, allenato da suo padre – Duplantis, oro
olimpico, allenato da suo padre – Ingebrigtsen, oro olimpico, allenato da suo
padre… vado avanti?”
Di recente ha postato una
foto di Lei che sbuccia i fagiolini. Il campione che resta umile. In cosa serve
l’umiltà nel suo sport?
“L’umiltà serve nella
vita. Io credo di essere un ragazzo normalissimo, come tanti e come è giusto
che sia. Mi diverto facendo le cose di sempre, con gli amici che ho sempre
frequentato. Non mi piace chi si monta la testa e crede di essere migliore
degli altri solo perché è bravo nello sport, la mia filosofia è un’altra”.
Secondo Lei, oltre
all’umiltà, cosa altro serve per correre ed eccellere?
“L’impegno sopra tutto. Devi
visualizzare i tuoi obiettivi davanti a te e non arretrare di un cm finché non
li raggiungi. Impegno e determinazione direi”.
Mi racconta quali sono i
sacrifici che ci sono dietro una medaglia d’oro olimpica?
“Nessuno che non sia
stato ampiamente ripagato. Bisogna mettere davanti a tutto l’allenamento,
rinunciare alla solita vita di un ragazzo, far tardi la sera, bere una birra di
più, ma devo dire che non sono cose che mi pesano eccessivamente. Amo troppo
quello che faccio per sentire la mancanza di quello che evito. Vittori una
volta disse: ‘Dove c’è gusto non c’è pendenza’, è assolutamente vero”.
Che ruolo giocano parole
come insicurezza, record, successo e fatica nella sua carriera?
“Per risponderle faccio
un gioco, le abbino la prima cosa che mi viene in mente leggendo le sue parole:
insicurezza: ignorarla
record: superare
successo: distrazione
fatica: soddisfazione”
Cosa c’è in programma per
il futuro?
“Fra pochissimo farò un
200, il 5 settembre in Polonia e non vedo l’ora. Poi credo chiuderò la stagione
e farò qualche giorno di vacanza, non troppi. L’anno prossimo ci saranno
mondiali ed europei e vorrei essere già ai blocchi di partenza”.
Sandy Sciuto