Qualche giorno fa avevo predetto che il silenzio di Dario Franceschini, che dura da molti mesi, prima per il suo tentativo di candidatura alla Presidenza della Repubblica e poi per il normale disappunto del fallimento, era gravido di qualche evoluzione nel PD. Il doroteo Dario, erede di grandissime e sopite arti del galleggiamento politico a dispetto altrui, ha rotto il suo monacale silenzio. Ed ha avvertito lapalissianamente il corpaccione democratico di due dinamiche fondamentali.
La prima è che l’alleanza giallorossa è sostanzialmente finita. La seconda è un avvertimento al segretario Letta. È finita anche la veltroniana vocazione maggioritaria e pertanto si ritorna al proporzionale, vecchia e solida regola del gioco di cui è uno degli eredi più esperti.
Tutto si ascrive in quel modello di stabilità che Draghi sta innescando nelle forze politiche del Paese che stavano continuando a soffrirne la presenza. Non solo non c’è governo senza Draghi ma nemmeno agibilità politica. Mario Draghi non ha interesse ad entrare nell’agone, ma dalla regia di Chigi, e dalla sovrintendenza del Colle Quirino, agisce per interposte persone.
Prima Giorgetti, poi Di Maio, che da buon guitto napoletano disconosce paternità alla sua scissione, ora il felpato e barbuto Ministro della Cultura Dario Franceschini, che ricorda a Letta che lui è lì perché Area Dem, la sua grande corrente post democristiana, lo ha permesso. Niente avventure e niente fughe in inutili discorsi, che non si sa se portano voti, ma sicuramente tolgono manovrabilità all’eterno gioco del potere che i dorotei, corrente principe della vecchia DC, sono adusi.
Se si muove il Cardinale Dario, prudente fino alla nausea, vuol dire che l’alleanza del progresso giallorossa e definitivamente conclusa, e per altri accordi servono altri schemi, altre parole d’ordine e altre persone. E quindi si riprende il boccino del partito dopo la delusione quirinalizia. Dice una cosa ecumenica nel suo stile apostolico ferrarese, rientrino i figliol prodighi Speranza e Bersani, ma in questo caso solo il suo equidistante equilibrio è imprescindibile per riallacciare i rapporti con coloro che si sono messi al di fuori del fallito campo giallorosso, Renzi e Calenda.
Certo ci sono questo aborto di primarie in Sicilia che scassano il gioco, e non solo quello, del riequilibrio del sistema, innescando competizioni tra alleanza già fallite. Forse il risultato migliore per i contendenti sarebbe la vittoria del cavaliere solitario Fava, che testimonierebbe, in via definitiva, che il campo giallorosso non giova a nessuno degli adepti, lasciando mani libere e uno sconfitto predestinato, seppur onorevolissimo, non ascrivibile a nessuno.
Il tempo della ricreazione, dopo l’elezione eterna di Mattarella è terminato. La politica ritorna alle regole ordinarie. Primum governare, se resta tempo per vivere si vedrà. Avanti con Draghi.
Così è se vi pare.

