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È tornato il doroteismo

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È tornato il doroteismo

Giovanni Pizzo  |
lunedì 04 Luglio 2022

Il doroteo Dario, erede di grandissime e sopite arti del galleggiamento politico a dispetto altrui, ha rotto il suo monacale silenzio. Ed ha avvertito lapalissianamente il corpaccione democratico di due dinamiche fondamentali

Qualche giorno fa avevo predetto che il silenzio di Dario Franceschini, che dura da molti mesi, prima per il suo tentativo di candidatura alla Presidenza della Repubblica e poi per il normale disappunto del fallimento, era gravido di qualche evoluzione nel PD. Il doroteo Dario, erede di grandissime e sopite arti del galleggiamento politico a dispetto altrui, ha rotto il suo monacale silenzio. Ed ha avvertito lapalissianamente il corpaccione democratico di due dinamiche fondamentali.

La prima è che l’alleanza giallorossa è sostanzialmente finita. La seconda è un avvertimento al segretario Letta. È finita anche la veltroniana vocazione maggioritaria e pertanto si ritorna al proporzionale, vecchia e solida regola del gioco di cui è uno degli eredi più esperti.

Tutto si ascrive in quel modello di stabilità che Draghi sta innescando nelle forze politiche del Paese che stavano continuando a soffrirne la presenza. Non solo non c’è governo senza Draghi ma nemmeno agibilità politica. Mario Draghi non ha interesse ad entrare nell’agone, ma dalla regia di Chigi, e dalla sovrintendenza del Colle Quirino, agisce per interposte persone.

Prima Giorgetti, poi Di Maio, che da buon guitto napoletano disconosce paternità alla sua scissione, ora il felpato e barbuto Ministro della Cultura Dario Franceschini, che ricorda a Letta che lui è lì perché Area Dem, la sua grande corrente post democristiana, lo ha permesso. Niente avventure e niente fughe in inutili discorsi, che non si sa se portano voti, ma sicuramente tolgono manovrabilità all’eterno gioco del potere che i dorotei, corrente principe della vecchia DC, sono adusi.

Se si muove il Cardinale Dario, prudente fino alla nausea, vuol dire che l’alleanza del progresso giallorossa e definitivamente conclusa, e per altri accordi servono altri schemi, altre parole d’ordine e altre persone. E quindi si riprende il boccino del partito dopo la delusione quirinalizia. Dice una cosa ecumenica nel suo stile apostolico ferrarese, rientrino i figliol prodighi Speranza e Bersani, ma in questo caso solo il suo equidistante equilibrio è imprescindibile per riallacciare i rapporti con coloro che si sono messi al di fuori del fallito campo giallorosso, Renzi e Calenda.

Certo ci sono questo aborto di primarie in Sicilia che scassano il gioco, e non solo quello, del riequilibrio del sistema, innescando competizioni tra alleanza già fallite. Forse il risultato migliore per i contendenti sarebbe la vittoria del cavaliere solitario Fava, che testimonierebbe, in via definitiva, che il campo giallorosso non giova a nessuno degli adepti, lasciando mani libere e uno sconfitto predestinato, seppur onorevolissimo, non ascrivibile a nessuno.

Il tempo della ricreazione, dopo l’elezione eterna di Mattarella è terminato. La politica ritorna alle regole ordinarie. Primum governare, se resta tempo per vivere si vedrà. Avanti con Draghi.

Così è se vi pare.

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