Sullo sfondo dell’indagine per peculato a carico dell’ex dirigente regionale Tuccio D’Urso si staglia la figura di Nello Musumeci. L’attuale ministro, all’epoca dei fatti presidente della Regione, è citato nelle carte della Procura europea, che ha ottenuto dal tribunale di Palermo il sequestro di quasi 140mila euro incassati da D’Urso.
Il motivo è semplice: D’Urso è accusato di avere effettuato, tra la primavera del 2021 e la tarda estate del 2022, sette bonifici sul proprio conto attingendo dalle somme che la Banca europea per gli investimenti (Bei) aveva assegnato alla Sicilia per il potenziamento della rete ospedaliera. Quelle erogazioni sono state effettuate da D’Urso nella veste di responsabile unico del procedimento (Rup), incarico assegnato – stando ai magistrati in maniera non conforme a quanto previsto dalla normativa – da Musumeci.
I fatti al centro dell’inchiesta richiamano gli anni dell’emergenza Covid-19, quando a livello nazionale si decise di rafforzare le terapie intensive del Paese per cercare di tamponare una pandemia che aveva già causato tanti morti e la cui evoluzione era tutta da scoprire.
Le accuse di peculato all’ex dirigente Tuccio D’Urso, il nodo quiescenza
Gli inquirenti contestano a D’Urso l’avere erogato incentivi economici a se stesso e agli altri componenti della struttura tecnica nominata a supporto del soggetto attuatore – lo stesso D’Urso – incaricato da Musumeci, in qualità di commissario delegato per il potenziamento della rete ospedaliera, derogando ai limiti previsti dalla legge.
Nel caso delle somme percepite da D’Urso, quelle attorno a cui ruota l’indagine per peculato, il problema è duplice: per i magistrati, l’ex dirigente regionale non avrebbe avuto alcun titolo a incassare emolumenti in quanto già in pensione.
“Il quadro normativo e regolamentare – si legge nell’ordinanza, firmata dal giudice Rosario Di Gioia, con cui è stato disposto il sequestro – non appresta la possibilità di conferire l’incarico di Rup a soggetti esterni alla stazione appaltante. Ivi compreso, pertanto, il personale in quiescenza”. A proposito di quest’ultimo nell’ordinanza si specifica che il decreto legge 90 del 2014 prevede deroghe soltanto in materia di “incarichi e collaborazioni esclusivamente a titolo gratuito”.
Il ruolo di Musumeci
Fuori dall’indagine, l’ex presidente della Regione e attuale esponente del governo Meloni a fine 2020 nominò D’Urso responsabile unico del procedimento. “In data 29 ottobre 2020, giorno della sua nomina a Rup – si legge nell’ordinanza – D’Urso non era più inquadrato nell’organico del comparto amministrativo regionale in quanto collocato in quiescenza a far data dall’1 settembre. L’ex dirigente regionale, pertanto, non era più individuabile”.
Sempre il giudice scrive: “Non si rinvengono, nel provvedimento di nomina dell’illo tempore commissario delegato, Musumeci, neanche sommari riferimenti a eventuali deroghe ovvero motivazioni che rendessero opportuna la nomina a Rup dell’ingegnere D’Urso, visto il suo status di pensionato”.
Nell’ordinanza si legge anche che a rendere inconferibile la nomina a Rup è non solo il decreto legge del 2014, ma anche le successive circolari emanate dal ministero della Pubblica Amministrazione.
La testimonianza di Lizzio
Nel corso delle indagini i magistrati della Procura europea, Amelia Luise e Geri Ferrara, hanno ascoltato anche Salvatore Lizzio, attuale dirigente generale del dipartimento tecnico della Regione e successore di D’Urso nel ruolo di soggetto attuatore nel momento in cui Renato Schifani è diventato presidente della Regione.
Lizzio ha dichiarato di avere ricevuto, una volta insediatosi, una comunicazione dal dipartimento della Programmazione strategica in cui veniva messo al corrente “che qualcosa non andava in relazione agli incentivi liquidati dal mio predecessore a se stesso e ai componenti della struttura del soggetto attuatore”. Lo stesso Lizzio ha poi fatto riferimento anche a problemi di altra natura per quanto riguarda gli incentivi economici corrisposti ai componenti della struttura tecnica nominata da D’Urso, in quanto gli stessi compensi sarebbero dovuti essere vincolati a “precisi incarichi distinti per singolo intervento” mentre dai controlli da lui fatti sarebbe esistita soltanto una disposizione “che assegnava genericamente responsabilità e ruoli al personale della struttura”. Nulla – a detta di Lizzio – di quanto previsto dal codice degli appalti sul tema degli incentivi.
Le accuse di peculato a Tuccio D’Urso, la versione dell’indagato
Dal canto proprio, D’Urso, già stamattina, si è espresso sull’indagine che lo riguarda. “Per incarico del presidente Musumeci ho esercitato il ruolo di soggetto attuatore con tutte le responsabilità amministrative che ciò ha comportato in maniera perfettamente gratuita – si legge in una nota –. Ho inoltre esercitato il ruolo di responsabile unico del procedimento percependo esattamente la medesima remunerazione che avrebbe avuto chiunque altro lo avesse fatto. Ho affermato sin dal primo momento che l’ufficio speciale, costituito con ordinanza del presidente della Regione, non è fra quelli indicati dalla legge che esclude la remunerazione dei pensionati della pubblica amministrazione nell’esercizio del ruolo di responsabile unico del procedimento. Ovviamente ho piena fiducia della giustizia e aspetto con serenità l’evolversi del procedimento”.
D’Urso rivendica poi gli obiettivi raggiunti: “Nessuna Regione in Italia ha conseguito i risultati della Regione Siciliana, che nel gennaio del 2022, ad appena un anno dalla promulgazione della norma, richiedeva l’80 per cento del finanziamento statale e aveva progettati e finanziati tutti gli interventi residui”.
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