Dopo la nostra inchiesta dello scorso febbraio, arriva un'interrogazione presentata da Corrao alla Commissione Ue
E se il caso delle sorelle Messina Denaro fosse soltanto la punta di un iceberg di dimensioni ben più grandi? Dopo l’articolo pubblicato dal Quotidiano di Sicilia a febbraio, sui fondi europei percepiti negli anni scorsi da Anna Patrizia e Rosalia Messina Denaro – due delle sorelle del boss di Castelvetrano morto l’anno scorso, dopo avere trascorso nove mesi in carcere e una latitanza trentennale che lo aveva reso tra i criminali più ricercati al mondo – a porsi questa domanda è l’eurodeputato Ignazio Corrao. Il quesito è contenuto all’interno di un’interrogazione presentata da Corrao alla Commissione europea, a pochi mesi dal rinnovo degli organi Ue.
La mafia e l’agricoltura
Da campieri e pastori, abituati a imporre la violenza con un pensiero alle greggi, al ruolo di chi le mani non se le sporca più, perlomeno non di terra. L’evoluzione imprenditoriale della mafia negli ultimi decenni ha attraversato tutti i settori, compresa l’agricoltura. Le tante inchieste sulle frodi ai fondi europei legati alla Pac, la politica agricola comune dell’Unione europea, lo dimostrano: accanto a furbetti di diverse risme, sempre più spesso si muovono soggetti se non legati quantomeno contigui alla criminalità organizzata. Il processo Nebrodi, giunto in secondo grado, per numero di imputati rappresenta il capitolo più eclatante del fenomeno, ma la notizia delle poche migliaia di euro finite nelle tasche delle sorelle Messina Denaro forse ha assunto un significato ancora più forte. “Con l’interrogazione E-002344-19, denunciavo che in Italia i fondi Ue per l’agricoltura rappresentano una delle principali fonti di approvvigionamento della strategia economica delle mafie, utile anche per finanziare la latitanza dei boss”, si legge nell’interrogazione presentata da Corrao, in cui si fa riferimento al pezzo pubblicato dal Qds. “Un’inchiesta giornalistica realizzata nel febbraio 2024, analizzando il database opensource Farmsubsidy ha appurato che tra i beneficiari delle erogazioni della Pac risultano alcuni membri della famiglia del capomafia Matteo Messina Denaro. La notizia – continua il documento – testimonia la sistematica difficoltà delle istituzioni nel fermare il foraggiamento delle mafie tramite la Pac”.
Le risposte da dare
Tra i quesiti che l’eurodeputato del gruppo Verdi-Alleanza libera europea, che dopo dieci anni a Bruxelles non sarà tra i candidati alle elezioni di giugno, pone alla Commissione Ue c’è innanzitutto quello di capire se il caso delle sorelle servirà a spingere le istituzioni comunitarie ad andare a fondo al tema delle erogazioni oppure finire nel dimenticatoio. “Può la Commissione far sapere se intende verificare la destinazione di eventuali fondi Pac a parenti e fiancheggiatori di Messina Denaro e fornire il dato in suo possesso sui fondi Pac finiti in mano a Cosa nostra?”, chiede Corrao. La questione dell’accessibilità ai dati riguardanti le erogazioni è centrale, per consentire il monitoraggio della spesa. Il QdS ha utilizzato l’archivio gestito dall’organizzazione tedesca FragDenStaat, da diversi anni impegnata in un’opera di raccolta delle informazioni tramite l’utilizzo degli accessi civici (Foia). “Il necessario ricorso dei giornalisti a un database opesource evidenzia l’assenza di informazione ufficiale sui beneficiari della Pac in Italia, contraddicendo l’impegno dell’Unione europea alla trasparenza nei confronti dei contribuenti europei”, denuncia Corrao.
Le maglie larghe
Come emerso nell’inchiesta sulle sorelle Messina Denaro, la difficoltà a intercettare situazioni in cui a percepire i contributi sono soggetti in qualche modo legati alla criminalità organizzata – e nel caso di Rosalia e Anna Patrizia si tratta di persone interessate direttamente da procedimenti giudiziari – è legata anche alle regole che governano il sistema dei contributi.
Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura, rispondendo al QdS a febbraio ha ammesso che per importi inferiori a 25mila euro “l’amministrazione non è tenuta a richiedere la certificazione antimafia, in assenza da parte degli organi di polizia giudiziaria”. Nel recente passato a farsi promotore di norme più stringenti sul tema dei controlli a cui sottoporre i richiedenti è stato l’allora presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, oggi fresco di candidatura come capolista alle Europee nelle file del Movimento 5 stelle. “Quali concreti provvedimenti, sul modello del protocollo Antoci, (la Commissione) ha adottato per contrastare il finanziamento delle mafie tramite la Pac in Europa”, chiede Corrao a riguardo. Ponendo sul tavolo anche la questione delle cifre sotto le quali non si procede con i controlli serrati. “Come (si) valuta sia la soglia minima di 25mila euro per i controlli antimafia, sia l’assenza di trasparenza per importi modesti”, è l’ultima delle domande recapitate alla Commissione europea.