Forma,“La carenza di competenze professionali costa il 6-10% del Pil” - QdS

Forma,“La carenza di competenze professionali costa il 6-10% del Pil”

Patrizia Penna

Forma,“La carenza di competenze professionali costa il 6-10% del Pil”

venerdì 02 Aprile 2021

L’allarme lanciato dall’Associazione nazionale degli enti di formazione professionale. Vacchina: “Quattro aziende su dieci non riescono a trovare i profili che cercano”

ROMA – “Quello assistenzialistico è un modello che stiamo pian piano abbandonando”. Roberto Lagalla, assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione rispondeva in questi termini qualche settimana fa al QdS nell’ambito di un approfondimento sui danni in termini di scarsa competitività professionale dei giovani siciliani causati da anni di corsi di formazione, foraggiati dalla Regione siciliana, ma del tutto “scollegati” dal mercato di lavoro, in continua evoluzione.

Il problema, purtroppo, non è solo siciliano. Lo sa bene anche Paola Vacchina, presidente di Forma, l’associazione nazionale degli enti di formazione professionale e consigliera del Cnel, che ha presentato ai ministri Patrizio Bianchi e Andrea Orlando quattro proposte sulla ripresa e resilienza attraverso la formazione e il lavoro di qualità, “concrete e rapidamente realizzabili, quattro interventi interconnessi per il rilancio dell’occupazione e lo sviluppo della filiera professionalizzante nel nostro Paese: rafforzamento dell’infrastruttura formativa della IeFP, consolidamento e rafforzamento della IeFP Duale, sviluppo dell`Apprendistato formativo, potenziamento dell’offerta di percorsi Its”.
Molti giovani – prosegue Vacchina – che escono dalle scuole italiane non hanno le competenze e i requisiti richiesti dalle aziende. Il mismatch tra domanda e offerta continua ad essere troppo elevato e durante la pandemia, secondo gli ultimi dati del sistema Excelsior di Unioncamere, ha raggiunto il 43%: quattro aziende su 10 non riescono a trovare i profili che cercano. Questo costa tra il 6 e il 10% del Pil”.

Il Recovery, dice, “può rappresentare un’opportunità storica per il Paese per effettuare quel salto culturale e di investimento infrastrutturale necessario, concentrando una particolare attenzione sulla filiera formativa professionalizzante, che può concretamente e sistemicamente contribuire allo sviluppo del Paese. La formazione professionale deve tornare centrale nelle politiche di sviluppo come lo è stata nel secondo dopoguerra e negli anni del boom economico”.

La situazione è “drammatica”, dice Vacchina. Il 23,4% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni con un titolo secondario superiore non studia e non lavora, i due terzi dei bambini con genitori senza istruzione superiore restano allo stesso livello e solo il 62,2% delle persone tra i 25 e i 64 anni in Italia ha almeno un titolo di studio di livello secondario a fronte di una media Ue del 78,7%. La quota di popolazione con titolo di studio terziario continua a essere molto bassa: il 19,6% contro il 33,2% dell`Ue. Solo il 41% degli adulti partecipa ad attività di formazione (contro il 52% in Germania e il 51% in Francia).

“La creazione e lo sviluppo delle competenze dei giovani e dei lavoratori rappresentano uno snodo essenziale per la ripresa del sistema produttivo e del Paese – aggiunge – mentre l’appello sugli Its sembra essere stato accolto nel Pnrr, non c’è ancora sufficiente attenzione alla IeFP, completamente trascurata nella missione istruzione del piano, come del resto nelle misure previste dai vari decreti a sostegno dei settori colpiti dalla pandemia. Si tratta della formazione iniziale di competenza regionale rivolta ai giovani tra i 15 e i 18 anni, che permette, nelle Regioni in cui è presente, di ridurre fortemente l’abbandono scolastico e preparare giovani a mestieri fortemente richiesti dal mercato del lavoro e proiettati sul futuro, secondo un ricco repertorio di qualifiche e diplomi appena aggiornato.
Proponiamo di invertire la rotta. Chiediamo che le ingenti risorse economiche di cui il Paese disporrà nei prossimi cinque anni siano utilizzate anche per mobilitare persone e imprese, attraverso il rafforzamento della componente professionalizzante del sistema educativo. Vogliamo evitare che lavoratori e sistema produttivo restino in futuro dipendenti dagli aiuti. Vogliamo riattivare una grande platea di persone, innanzitutto giovani, oggi ai margini del mercato del lavoro con costi sociali non più sostenibili”

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