PALERMO – La formazione che vuol tentare di svoltare, di voltare pagina. Se da una parte si cambiano le regole (almeno in alcuni ambiti) e si prova a riqualificare il personale storico degli enti, oramai rimasto fuori più di un decennio fa dal circuito, dall’altra però non proprio su tutto si riesce a scardinare il sistema.
Uno sguardo all’Iefp: sempre acconciatori, parrucchieri ed estetisti
È sufficiente dare uno sguardo all’Iefp, i corsi di istruzione e formazione professionale triennali che sono obbligatori per quegli studenti che decidono di fermare il proprio percorso di studi alla terza media e che quindi devono frequentare questi corsi per assolvere l’obbligo sino ai 16 anni. Qui si fatica a dire che qualcosa è mai cambiato. L’ultima graduatoria sui percorsi dei terzi anni, varati in queste giorni, ne è l’esempio: sul totale di 256 corsi approvati, ben 95 per un totale di quasi 10 milioni di euro di fondi sono concentrati per la formazione di operatori del benessere. Parliamo quindi di acconciatori, parrucchieri ed estetisti.
Ma davvero la Sicilia ha bisogno di queste figure? O semplicemente il problema è che la classe docente ha bisogno di un ricambio generazionale? È chiaro che se un docente è formato per una determinata materia non può certo reinventarsi. E questo significa che, di anno in anno, il rischio è che si ripropongano sempre le stesse figure da formare proprio per le qualifiche che hanno i docenti. Tutto questo mentre in Sicilia un’impresa su tre, secondo quanto sostiene Unioncamere, continua a cercare disperatamente figure professionali da inserire e che non riesce a trovare.
La formazione professionale in Sicilia sta attraversando un’evoluzione profonda
Negli ultimi anni, però, la formazione professionale in Sicilia sta attraversando un’evoluzione profonda. Dopo decenni di rigidità e autoreferenzialità, la Regione ha avviato un percorso di rinnovamento che molti definiscono un “cambio di marcia”, ma che, secondo i principali protagonisti del settore, non può ancora essere considerato una vera svolta. Le intenzioni e i primi risultati sono incoraggianti, ma restano nodi strutturali da sciogliere: la mancanza di programmazione pluriennale, la lentezza amministrativa e la difficoltà di allineare i tempi della formazione con quelli del mercato del lavoro.
Modificato radicalmente l’impianto dell’offerta formativa
Gabriele Albergoni, presidente dell’Ente bilaterale nazionale della formazione professionale e del Cenfop Sicilia, spiega che l’assessorato ha modificato radicalmente l’impianto dell’offerta formativa, vincolando le risorse ai settori strategici e coerenti con la domanda di lavoro. L’Avviso 7 ne è l’esempio più concreto: per la prima volta la Regione ha utilizzato i dati Excelsior-Unioncamere per decidere come ripartire i finanziamenti, indirizzando gli enti a progettare percorsi formativi in base alle priorità produttive e non più secondo abitudini o filiere consolidate. È un passaggio culturale importante, che apre il sistema al dialogo con le imprese e i territori. Tuttavia, osserva Albergoni, la strada è ancora lunga. La formazione siciliana “ha cambiato marcia, ma deve ancora rendere stabile e continua la propria corsa”. Mancano tempi certi e una programmazione di medio-lungo periodo, per cui spesso i corsi partono quando il fabbisogno delle imprese è già mutato.
Un segnale positivo arriva dalla nuova ripartizione dei percorsi: se in passato quelli del benessere – estetica e acconciatura – rappresentavano oltre il 60% dell’offerta, oggi si sono ridotti al 44%. La Regione ha cercato di riequilibrare il sistema, sostenendo anche settori prima marginali come l’agricoltura, l’impiantistica elettrica, la meccanica, la ristorazione e la logistica.
Secondo Albergoni, non bisogna però cadere nell’errore opposto e demonizzare i mestieri tradizionali. “Estetista e acconciatore – afferma – restano professioni artigianali con un mercato in crescita, soprattutto tra le imprese femminili. Il punto non è eliminarli, ma evitare che assorbano quasi metà dell’offerta formativa. Serve equilibrio, non ideologia”.
Il vero nodo è far funzionare la macchina amministrativa e digitale della Regione
Il vero nodo, prosegue Albergoni, è far funzionare la macchina amministrativa e digitale della Regione: “Oggi non basta avere buone idee. Se le piattaforme informatiche si bloccano, si ferma tutto: corsi, pagamenti, rendicontazioni. Bisogna investire non solo nei bandi, ma nella capacità gestionale dell’apparato regionale”.
Altro tema cruciale è la continuità dei percorsi: il quarto anno dell’istruzione e formazione professionale, che consente ai ragazzi di conseguire il diploma, deve diventare una certezza e non un’incognita. Allo stesso modo, gli Its, Istituti tecnici superiori, devono essere potenziati e distribuiti in modo più equilibrato, per evitare squilibri tra territori e settori produttivi.
Il giudizio dal mondo delle imprese
Anche dal mondo delle imprese arriva un giudizio simile. Per Gian Piero Reale, presidente di Confindustria Siracusa, la Regione sta modificando l’approccio alla formazione e questo è testimoniato sia dai bandi dell’assessorato sia dai fondi interprofessionali: “Tutte le professioni contribuiscono al sistema economico e sociale, ma il dialogo tra imprese e mondo della formazione resta la chiave per costruire modelli adeguati in un contesto in cui la tecnologia è sempre più centrale e spesso invasiva”.
Sulla stessa linea Maria Cristina Busi Ferruzzi, presidente di Confindustria Catania, secondo la quale negli ultimi anni si è avviato un percorso di rinnovamento, ma non si può ancora parlare di una vera svolta. Esistono segnali incoraggianti e una maggiore attenzione ai fabbisogni delle imprese, tuttavia il sistema formativo siciliano rimane in parte scollegato dalle reali esigenze del tessuto produttivo. “Vediamo ancora – evidenzia – una forte concentrazione di corsi che hanno dignità professionale, ma non rispondono alla domanda di competenze emergenti nei settori strategici dell’economia regionale”.
Cosa cercano le imprese catanesi
Le imprese catanesi, dall’aerospazio alla meccatronica, dall’Ict all’agroalimentare di qualità, cercano tecnici specializzati, operatori digitali, manutentori e installatori di impianti green. Ed è su queste figure che occorrerebbe concentrare gli investimenti, orientando la formazione verso i mestieri del futuro e non solo verso quelli tradizionali. Per la presidente di Confindustria Catania, la priorità è costruire un sistema realmente duale, in cui scuola, università, enti di formazione e imprese lavorino insieme, garantendo ai giovani un apprendimento teorico ma anche pratico, direttamente in azienda. Serve, inoltre, una programmazione pluriennale stabile, che dia certezze a enti e imprese, evitando bandi frammentati, ritardi amministrativi e continui cambi di regole. Infine, è indispensabile un monitoraggio effettivo dei risultati, per capire quali corsi generano occupazione e quali no. “Solo premiando la qualità e la coerenza con i fabbisogni produttivi – conclude Busi – la formazione potrà diventare un vero investimento strategico per la Sicilia”.
Luigi Rizzolo, presidente di Sicindustria, condivide questa analisi: “Si sono fatti passi avanti, soprattutto nella consapevolezza che la formazione non può essere scollegata dal tessuto produttivo”.
Le imprese chiedono tecnici specializzati, saldatori, operatori della logistica, esperti in meccatronica e Ict. Continuare a formare figure senza sbocchi occupazionali significa sprecare risorse e alimentare la disoccupazione giovanile. Per Rizzolo, la chiave è costruire un sistema formativo efficiente, flessibile e coerente con le esigenze reali delle imprese e dei cittadini. Ma questo sistema non può essere fondato solo su due pilastri: “Gli attori in campo sono quattro: le imprese, che devono indicare chiaramente i profili e le competenze richieste; chi fa formazione, che deve guardare sia ai giovani in cerca di lavoro sia a chi, tra i 45 e i 60 anni, deve riqualificarsi; il mondo dell’istruzione, che ha il compito di fornire basi solide e competenze di base; e infine le famiglie, che oggi devono aggiornarsi e orientare i figli verso i mestieri realmente richiesti, non verso percorsi di studio altisonanti ma scollegati dal mercato”.
Secondo Rizzolo, un tempo bastava un titolo di studio per migliorare la propria condizione sociale. Oggi non è più così: il mercato del lavoro è pieno di persone con lauree o master privi di competenze pratiche. Per questo soltanto una collaborazione stretta tra imprese, formazione, istruzione e famiglie potrà creare un sistema capace non di inseguire i cambiamenti, ma di anticiparli e creare uno sviluppo reale per il territorio siciliano.

