La vicinanza con l’Africa, gli investimenti in settori innovativi, le potenzialità nella produzione dell’energia pulita, i nuovi cantieri e le risorse disponibili per il potenziamento delle infrastrutture fanno del Sud Italia una straordinaria risorsa per l’economia italiana e dell’intera Ue. Ne è convinta la Banca d’Italia che nel suo “viaggio”, nel suo percorso a tappe per promuovere la cultura finanziaria e aprire un dialogo diretto con persone, imprese e istituzioni, è atterrata a Catania.
Tra gli appuntamenti, l’incontro con Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia, e la tavola rotonda moderata da Roberto Napoletano, direttore de “Il Mattino”, che ha visto un confronto tra Francesco Priolo, rettore dell’Università degli Studi di Catania, Giuseppe Notarnicola, presidente di STMicroelectronics Italia e Maria Cristina Busi, presidente di Confindustria Catania.
La crescita del Mezzogiorno come priorità per la crescita del Paese
“Il Mezzogiorno, con i suoi bisogni insoddisfatti e in parte inespressi, è una scommessa per la crescita dell’Italia. Da decenni il Pil pro capite nelle regioni meridionali è poco più della metà di quello del Centro Nord – ha fatto sapere Fabio Panetta –. Un divario di sviluppo così ampio e persistente in un’area tanto estesa rappresenta un primato negativo tra le economie avanzate. Una disuguaglianza di fatto nei diritti della cittadinanza per la popolazione meridionale che frena la crescita dell’intero Paese”.
I dati sostengono la tesi secondo cui la crescita del Sud convenga a tutti. “Se il Pil pro capite del Mezzogiorno aumentasse fino al 75% di quello del Centro Nord, il nostro reddito pro capite supererebbe quello della Francia”, ha aggiunto, dopo aver calcolato un aumento del 7% e averlo confrontato in base alla parità del potere d’acquisto francese.
La storia infinita della questione meridionale
Come si è arrivati a un’Italia a più velocità? “La questione meridionale è al centro del dibattito economico sin dai decenni successivi all’Unità d’Italia – ha spiegato il governatore della Banca d’Italia -. Il divario è arrivato al massimo storico nel secondo dopoguerra e ha visto la destinazione di risorse finanziarie cospicue durante la fase dell’intervento straordinario. La convergenza ha registrato forti progressi negli anni ’50 e ’60, con la costruzione di infrastrutture e grandi impianti industriali a partecipazione pubblica, facendo aumentare il Pil pro capite del Mezzogiorno, in rapporto a quello del Centro Nord, dal 50 al 60%. Da allora la convergenza si è interrotta. Vi ha contribuito la natura assistenziale delle politiche di intervento, adoperate in misura crescente per attrarre consenso politico, fino a perdere efficacia (…)”.
Le debolezze dell’economia meridionale riguarderebbero le componenti basilari dell’assetto produttivo e istituzionale, come “le inefficienze della giustizia civile, le carenze del sistema scolastico (…), la rete infrastrutturale (…), la rete idrica ed elettrica (…), l’accesso alla banda larga”.
La legge di Darwin come unica “regolatrice di conti”
Tra il 2007 e il 2019 il Sud Italia il Pil si è contratto di 10 punti percentuali. Dopo lo stop dovuto alla pandemia, invece, è riuscito a conseguire risultati migliori del Nord. Merito di una pianificazione strategica a lungo termine? Sembrerebbe di no: “La crescita osservata negli anni più recenti è in parte dovuta a fattori temporanei, legati alla risposta fornita agli shock globali dalle autorità nazionali ed europee. Il Mezzogiorno ha beneficiato di investimenti pubblici e sostegno ai redditi delle famiglie meno abbienti. Significativo l’apporto del Superbonus e l’avvio dei progetti del Pnrr. Ma la ripresa riflette verosimilmente anche i processi di ristrutturazione e consolidamento produttivo innescati dalla precedente recessione che hanno determinato l’espulsione dal mercato di imprese deboli, meno efficienti e tipicamente più piccole”, ha aggiunto Panetta.
L’incertezza globale come opportunità per il Sud
Non solo agroalimentare e turismo i settori nevralgici su cui il Sud dovrebbe concentrare i propri sforzi, ma anche e soprattutto il settori farmaceutico e tecnologico per i quali le regioni del Meridione crescerebbero allo stesso ritmo rispetto a quelle del Nord. Senza tralasciare ovviamente il potenziamento dei servizi per il cittadino e le infrastrutture, per le quali attingere al Pnrr e al Fondo di sviluppo e coesione.
La più grande opportunità attuale di sviluppo per il Mezzogiorno, tuttavia, deriverebbe dal clima di incertezza globale: “Gli shock geopolitici registrati negli anni scorsi, dalla pandemia alla crisi energetica, fino ai tragici conflitti in atto, hanno reso palesi i rischi connessi con le politiche di delocalizzazione produttiva – precisa il governatore –. Attualmente le imprese dei principali Paesi pongono enfasi maggiore che in passato sul tema della sicurezza degli investimenti e delle forniture di input di importanza strategica, in particolare l’energia. Sta emergendo la tendenza a collocare le attività produttive entro i confini nazionali o presso Paesi ritenuti affidabili sul piano economico e politico. (…) Il Sud dell’Italia offre evidenti vantaggi nella produzione di energia elettrica”.
Dalla potenza all’atto, però, si potrà passare soltanto con il miglioramento del contesto produttivo e il potenziamento delle politiche di attrazione dei capitali.
STMicroelectonics e l’alta formazione pubblica a Catania: “Adesso servono infrastrutture competitive”
A credere fortemente in Catania è da sempre la multinazionale STMicroelecronics, che ha già previsto un programma di investimento pluriennale di 5 miliardi di euro, di cui 2 da parte dello Stato italiano nel quadro dell’Eu Chips Act. Per Giuseppe Notarnicola, presidente di STMicroelectonics Italia, la città etnea è il terreno fertile su cui la multinazionale ha deciso di far atterrare investimenti: “Questo ci ha consentito, assieme all’università di Catania e al Cnr abbiamo sviluppare competenze e creare talenti, di creare una filiera, un ecosistema d’eccellenza riconosciuto in tutto il mondo – ha detto -. Innovazione, tecnologia e pipeline di risorse fanno del polo etneo il migliore su cui investire. Questo però, e ne parliamo spesso col sindaco, rende necessario un livello di infrastrutture competitivo con gli altri Paesi”.
“Con ST c’è un rapporto consolidato da oltre quarant’anni – ha commentato il rettore dell’università di Catania, Francesco Priolo – un modello che ci hanno copiato a livello internazionale. Siamo stati tra i primi ad avere dei laboratori pubblici dentro una realtà industriale. Oggi ci sono gli investimenti sulla power electronics che vedono peraltro un semiconduttore innovativo, il carburo di silicio al posto del silicio, ed è con orgoglio che posso dire che negli anni ’90 presso la nostra università se ne studiavano le proprietà, facendo sì che i nostri giovani avessero le giuste competenze al momento giusto. Quello che stiamo facendo è nella formazione dei giovani far sì che, soprattutto nel dottorato di ricerca, possa essere raggiunto in collaborazione con le imprese del territorio. Per questo con l’ST abbiamo anche disegnato un corso congiunto innovativo, un master in power electonics sul futuro che si sta designando in questa terra”.
Quanto ancora le imprese possono fare per rendere attrattivo il territorio, per contrastare la “fuga dei cervelli”? “Confindustria Catania, con 700 imprese associate e 26 mila occupati, è il principale polo manifatturiero della Sicilia. Con STM e Enel Greenpower siamo il polo principale di energia rinnovabile. L’università di Catania è avanti nel cogliere le opportunità – ha concluso Maria Cristina Busi, presidente di Confindustria Catania –. Questi dati possono già da soli attrarre investimenti. Con il sindaco siamo già d’intesa e sul pezzo per altri lavoretti. Giorni fa sono stati presentati i progetti delle Ferrovie dello Stato e il progetto del porto nuovo di Catania, che attrarranno ulteriori investimenti”.
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