Un confronto su questioni strutturali e non contingenti: ospite di questo Forum con il QdS, alla presenza della direttrice Raffaella Tregua, il rettore dell’Università Bocconi di Milano, Francesco Billari. In primo piano l’attività dell’Ateneo: dalla sua storia, strettamente legata a quella di Milano, alle iniziative per mantenere l’offerta formativa sempre competitiva.
Una storia che si intreccia anche a quella di Milano
“Bocconi è parte della storia di Milano così come Milano è parte della storia di Bocconi. L’Università fu fondata nel 1902 su iniziativa di un imprenditore, Ferdinando Bocconi e da subito venne intitolata al primogenito di quest’ultimo, Luigi, disperso in Africa a fine Ottocento. Fin dalla fondazione ebbe le caratteristiche di un Ateneo indipendente e senza fini di lucro. Aspetto, quest’ultimo, che mi piace sottolineare: molti pensano che l’aggettivo ‘Commerciale’ presente nel nome identifichi il fatto che puntiamo al profitto. In realtà il motivo risiede nella nascita dell’Ateneo in sinergia con la Camera di Commercio di Milano, tanto che il primo rettore, Leopoldo Sabbatini, della Camera di commercio era il segretario”.
“In quegli anni non c’era ancora l’idea che per occuparsi di economia si dovesse seguire un corso di studi universitari specifico, tanto che prima della Bocconi non esisteva una laurea in Economia e commercio. Oggi è il corso più scelto dagli studenti, tanto che abbiamo raggiunto la ragguardevole cifra, compresa la scuola di management, di circa 15 mila iscritti. Un legame, quello fra la Bocconi e Milano, da sempre crocevia tra l’Italia e il resto del mondo, consolidatosi negli anni”.
“La Bocconi di oggi, che non è più solo Economia e commercio, prosegue sulla strada della diversificazione formativa e dell’internazionalizzazione. Una direzione, quest’ultima, che ci ha consentito da questo anno accademico di avere quasi il cinquanta per cento degli iscritti del primo anno proveniente dall’estero. Giovani che rappresentano una risorsa con cui confrontarsi attraverso il dialogo, sia fra studenti che fra studenti e docenti. Attraverso la frequenza alle lezioni, gli allievi italiani assimilano dai loro colleghi stranieri, molto più abituati, per esempio, a porre domande, ma lo fanno anche ‘vivendo’ l’Università. L’interazione è fondamentale: per favorirla trovo sia molto importante l’esperienza dei Campus, su cui in Bocconi abbiamo puntato molto. Il connubio fra capacità sociali, emotive e conoscenze tecniche aiuta lo sviluppo di quel pensiero critico necessario a formare i cittadini del futuro”.

Valorizzazione dei talenti di 120 nazionalità diverse
“La principale fonte di finanziamento della Bocconi sono, ovviamente, le tasse universitarie, che costituiscono la voce principale. Poi abbiamo anche i proventi delle ricerca commissionate dalle aziende e le donazioni. Secondo una leggenda metropolitana per frequentare la Bocconi bisogna essere benestanti. In realtà abbiamo creato un sistema tale per cui chi può permettersi di pagare la retta lo fa. Con questi soldi, unitamente alle donazioni, riusciamo a sostenere, grazie a forme di esonero e borse di studio, circa un terzo dei nostri frequentanti. Attualmente circa il 12,5 per cento dei bocconiani non paga nessuna retta, percentuale che arriva al 35 nel caso di agevolazioni parziali. Quindi è possibile studiare alla Bocconi senza pagare un centesimo. Rispettiamo le regole dell’Isu, l’Istituto per il diritto allo studio universitario, ma non solo: chi non pagherebbe l’Università statale non paga la Bocconi; chi ha accesso alle residenze studentesche degli Atenei statali può accedere a quelle della Bocconi. E in più abbiamo delle borse di studio che coprono chi sta sopra le soglie tipiche delle università statali. Questo è un sistema già presente nello statuto del 1902. Per cui se uno studente all’ultimo anno delle superiori si domanda: ma io posso frequentare la Bocconi? La risposta è: dipende dal test d’ingresso e da come sei andato a scuola. I ragazzi devono preoccuparsi soltanto di fare bene nello studio. Al resto, alla parte economica, se ne occupa la Bocconi”.
“Noi produciamo risorse, con sforzi importanti. Ai bocconiani che hanno le possibilità chiediamo di restituire al territorio, generando delle borse di studio che consentono ad altri di frequentare la Bocconi. Anche questo trovo sia un modo per valorizzare il talento rimanendo in Italia. Un modo che ci ha permesso di creare un’Università frequentata da ragazzi e ragazze di 120 nazionalità diverse. Per incontrare il mondo, se frequenti la Bocconi, non hai quasi più bisogno di girarlo. Un’opportunità riservata non solo a pochi”.
Un canale privilegiato con le aziende
“La Bocconi ha nel suo Dna le interconnessioni con l’ambito lavorativo: basti pensare che nel nostro Consiglio d’amministrazione è presente la Camera di Commercio. Nel mondo dell’imprenditoria, poi, abbiamo tanti bocconiani. Un collegamento che, però, portiamo avanti facendo entrare le aziende in Bocconi e non il contrario, attraverso eventi che coprono tutte le specializzazioni: dalla finanza, al legale, al marketing. Una policy che ci consente di avere oggi ben il 36 per cento dei nostri studenti con un occupazione già il giorno della laurea. Percentuale che sale a oltre il 96 per cento a un anno dalla laurea. Offriamo loro gli strumenti per andare a lavorare in tutto il mondo”.
“Fare un’esperienza all’estero non è detto che rappresenti una diminutio per l’Italia. Il problema, caso mai, consiste nel mancato rientro di un’eccellenza che potrebbe mettere a disposizione del Paese le competenze acquisite. Un ritorno che non deve essere sacrificio ma opportunità. E non è unicamente l’aspetto economico che deve influire sulla scelta, anche se ha la sua importanza: personalmente, per esempio, trovo lungimiranti gli incentivi fiscali per il ‘rientro dei cervelli’. Dobbiamo costruire una società che metta al centro il talento. Per fare questo, il sistema universitario ha un ruolo fondamentale. Tutti gli studi dimostrano che i Paesi che attraggono i laureati sono quelli che già di loro hanno elevate percentuali di laureati. E se non ci focalizziamo sulla conoscenza che, convogliata attraverso il sistema degli Atenei, dà benessere, i nostri giovani preferiranno le società in cui chi ha studiato viene valorizzato”.
“L’aver perso nell’ultimo secolo tanto capitale umano è un vero peccato per un Paese come l’Italia, storicamente culla di conoscenza e cultura. In questo dobbiamo cambiare: se lo facciamo, molti più giovani stranieri sceglieranno di venire a laurearsi da noi e formeremo delle eccellenze capaci anche di fare impresa. Un po’ come accaduto negli Stati Uniti: le tech company di oggi sono imprese che non esistevano trent’anni fa, nate tutte grazie a giovani che ruotavano attorno al sistema universitario americano”.
Investire maggiormente sull’innovazione
“Nelle classifiche mondiali la Bocconi è posizionata molto bene. Quest’anno, per esempio, nel QS World University Rankings, che valuta gli Atenei sulla base di cinque indicatori chiave come reputazione accademica, reputazione tra i datori di lavoro, impatto della ricerca, produttività scientifica e network internazionale, per la macroarea Social sciences e Management abbiamo scalato quattro gradini, da sedicesimi a dodicesimi. In Europa siamo quarti dopo Oxford, Cambridge e London School of Economics. Nell’ambito Accounting and Finance siamo tra i primi venti al mondo mentre settimi per l’area Marketing. Numeri che sono uno stimolo per investire ulteriormente in innovazione e internazionalizzazione”.
“Poi, certo, le classifiche generaliste sono un po’ ingenerose con l’Italia. Però i talenti non li abbiamo solo noi. Inoltre, dobbiamo analizzare i criteri con cui vengono assegnate le posizioni. Uno, per esempio, va a vedere se ci sono o meno premi Nobel, un aspetto su cui non siamo particolarmente forti. O, ancora, la ricerca scientifica: se non riusciamo ad attirare docenti e ricercatori da tutto il mondo, mission in cui eccellono gli Atenei americani, britannici o svizzeri, da sempre in cima alle classifiche, che non siano italiani ‘di ritorno’, allora significa che il sistema non funziona a dovere”.
“In Italia, per competere con le Università internazionali, dobbiamo imparare a metterci in gioco. Per farlo, però, è necessaria anche un’organizzazione imprenditoriale e innovativa, che si traduce in gestione indipendente, e in Bocconi siamo riusciti a impostare questo metodo. Purtroppo, però, diversi miei colleghi delle Università statali, non per volontà loro, hanno difficoltà a realizzarlo. La questione, però, non è tanto distinguere fra pubblico e privato, perché molti importanti Atenei esteri, come Berkley, sono pubblici ma gestiti in maniera indipendente e autonoma, quanto qualla di consentire a tutte le realtà italiane di poter competere a livello mondiale”.
