Forum con Francesco Cambria, presidente Consorzio Etna Doc
Un confronto su questioni strutturali e non contingenti: ospite di questo Forum con il QdS, alla presenza del vice direttore, Raffaella Tregua, il presidente del Consorzio Etna Doc, Francesco Cambria.
I vini siciliani, e in particolare quelli dell’Etna, hanno riscosso una grandissima attenzione all’ultimo Vinitaly, tanto che addirittura il padiglione Sicilia è stato il più visitato dopo quello del Veneto. È arrivato il momento per l’Isola di fare il salto di categoria?
“Devo dire che la Sicilia è stata sempre grande catalizzatrice di attenzione dal profilo vitivinicolo. Mi piace spesso definirla come un mosaico, dove ogni tassello è diverso dall’altro e tutti insieme formano in qualche modo un’opera d’arte. Così come la cultura, le tradizioni siciliane sono differenti da una zona a un’altra: ogni area della regione offre prodotti diversi, che dipendono esclusivamente dalle diversità dell’ambiente e il microclima. Dal Marsala all’Etna, da Noto a Pantelleria, il vino è stato sempre fonte di grande attrazione per il pubblico, non solo nazionale ma internazionale. Come avete giustamente evidenziato, ne abbiamo avuto prova in occasione dell’ultimo Vinitaly, dove le presenze dentro al padiglione Sicilia erano davvero tante. Confermo che è stato il più visitato dopo quello del Veneto. Il vino è passione, storia, tradizione. Ingloba così tanti aspetti, da quelli tecnico-produttivi allo storytelling del produttore, che chi si approccia a un bicchiere di vino rimane affascinato”.
Qual è, secondo lei, l’elemento che più attrae dei vini siciliani?
“Quando io o mia sorella raccontiamo ai clienti di Cambria vini, soprattutto quelli esteri, la storia della cantina, restano estasiati e incantati. Quello che affascina è ciò che ruota attorno le cantine e alle aziende”.
Quanto sta pesando la siccità sul vostro comparto? Alcuni enologi parlano di perdite della produzione fino al 60%. È così anche per i vigneti dell’Etna?
“Il problema dell’acqua c’è, perché il cambiamento climatico è ovunque. Però considerato che le nostre vigne si sviluppano a partire dai 500/600 metri fino ad altitudini di 900/1.000 metri sopra il livello del mare, l’incidenza sull’Etna non si ravvisa. Si riscontra di più nelle zone pianeggianti piuttosto che quelle leggermente collinari. In ogni caso le riduzioni in termini di quantità di produzione derivanti dall’assenza di acqua si percepiscono. Va considerato anche l’anticipo delle stagioni di germogliamento, ma in ogni caso l’incidenza del cambiamento climatico sull’Etna non è, grazie a Dio, ancora particolarmente evidente. Il suolo lavico, ricco di acqua anche nel substrato, ha minerali, fertilizzanti particolari. Sono tanti i fattori che mitigano l’incidenza del cambiamento climatico sui vini dell’Etna”.
Quali sono i numeri del Consorzio Etna Doc? Quanti soci ne fanno parte e che cifre raggiungono i numeri della produzione?
“Le cantine iscritte al Consorzio sono circa duecento, dalle aziende più piccole fino a quelle più grandi, ma quest’ultime hanno una superficie vitata che non è superiore ai 60-70 ettari. Gli ettari iscritti alla denominazione sono circa 1.300 scarsi. È un dato che sull’Etna ha un significato particolare, considerati i danni postumi della fillossera. Catania era la provincia vitata più grande della Sicilia, c’erano più di 35-40 mila ettari di vigne che partivano da Mascali e arrivano fino a quota mille. Dopo la fillossera, il ‘Risorgimento della viticoltura etnea’ è iniziato nel 2000. La nuova storia ha quindi circa 25 anni. Sull’Etna si producono oggi cinque milioni e mezzo di bottiglie l’anno. Riguardo il fatturato, il dato è aleatorio, considerata la presenza di molte ditte individuali. A spanne il prezzo medio delle bottiglie dell’Etna è di 5-7 euro e il volume d’affari in linea di massima è di 40 milioni di euro”.
Cantine aperte e tour enogastronomici per svilupparsi oltre i confini nazionali
Quali sono le iniziative che andrebbero prese per spingere ancora di più il brand Etna, sia a livello nazionale che internazionale?
“Le iniziative sono distribuite su più fronti. Da un punto di vista consortile quello che si deve potenziare, compatibilmente con le risorse del Consorzio, è la promozione. Attraverso i fondi di finanza agevolata dobbiamo spingere la promozione verso Paesi a noi affini e quelli che ancora non sono vicini ai vini dell’Etna. Questo lo si fa sia andando fuori, ma anche con l’incoming. Quest’anno organizzeremo la terza edizione dell’Etna Days, dal 12 al 14 settembre, e inviteremo, come Consorzio, circa cinquanta giornalisti provenienti da tutto il Mondo, coinvolgendoli in degustazioni con le cantine dell’Etna e tour in tutte le aziende. Per potenziare il brand Etna spingiamo sulla produzione internazionale, sapendo che quella nazionale ha già un posto di spessore comunque da non trascurare. Altro aspetto da non perdere d’occhio è quello della tutela: conquistare un posto in paradiso nella viticoltura nazionale è difficile, ma per perderlo ci vuole davvero un attimo”.
Su questo fronte, quindi, quali iniziative state avviando?
“L’obiettivo principale è proteggere i risultati ottenuti attraverso un lavoro svolto, da tutti, continuando sulla falsariga di quanto è stato fatto. Per quanto riguarda il brand, per esempio, uno degli aspetti fondamentali è continuare a produrre secondo standard quantitativi elevati, provare a realizzare strutture enoturistiche valide per valorizzare sotto ogni aspetto il patrimonio unico dell’Etna, creando un indotto integrato”.
L’ambizioso obiettivo Docg raggiungibile nel 2026/2027
A sei mesi dalla scadenza del suo mandato, quali sono i principali obiettivi che sono stati raggiunti?
“Il risultato più importante raggiunto, che era uno degli obiettivi che ci eravamo dati con il Consiglio direttivo, è l’inizio del percorso per la denominazione Etna Doc in Docg. Si tratta del vertice piramidale delle denominazioni. È importante per due ragioni: tutela e controllo maggiore della prodizione del vino dell’Etna. La Docg dà garanzie di controllo più elevate rispetto la Doc e inoltre, conferisce un profilo d’immagine decisamente maggiore. Da un punto di vista commerciale, tutto sommato, cambia poco, però nell’immaginario del consumatore, un territorio come l’Etna non può non meritare la denominazione più elevata. Oggi è sotto gli occhi di tutti l’ingresso dell’Etna tra i primi cinque territori vitivinicoli più importanti d’Italia. Al Vinitaly abbiamo fatto una conferenza organizzata dall’Unione Italiana vini il cui titolo era: ‘Cosa sarebbe l’Italia senza vino’. Tra i tre case study riportati, i più importanti sono stati Barolo, Brunello ed Etna. È stata una enorme gratificazione sia per il nostro lavoro che per i risultati raggiunti dal territorio. L’assemblea dei soci, a maggioranza assoluta, ha votato perché si avvii il percorso verso la Docg. Durerà almeno due anni, ma l’importante è cominciare. Tra il 2026 e il 2027 l’Etna potrebbe essere una Docg”.