PALERMO – Ha vinto il Premio Strega con ‘Il desiderio di essere come tutti’, analizzato la componente brutale del maschio ne ‘L’animale che mi porto dentro’, rendicontato le caratteristiche più meschine e infime degli uomini che hanno abitato la letteratura in ‘Son qui: m’ammazzi’. Oggi Francesco Piccolo non si limita a raccontare nero su bianco ma trasfonde sul palcoscenico la narrazione di un’opera che ha visto la luce quasi per caso, sfuggendo alle leggi della tradizione editoriale. Nascosta tra le pieghe del tempo, la sua pubblicazione è un capitolo che merita di essere svelato. Un puzzle da ricomporre attraverso l’esplorazione di un romanzo che ha segnato un momento irripetibile della cultura italiana.
Porta in scena ‘Il Gattopardo. Una storia incredibile’, guidando il pubblico in un viaggio straordinariamente affascinante. Prodotto e distribuito da Savà Produzioni Creative in collaborazione con Feltrinelli e Titanus, lo spettacolo sarà ospitato a Marzamemi in occasione della sezione di eventi ‘Dalla pagina allo schermo’ in collaborazione con Bper. L’appuntamento, negli ultimi scampoli di estate siracusana, è sabato 4 ottobre alle ore 21.30 in piazza Regina Margherita. In caso di maltempo si sposterà alla Tonnara.
La lettura che l’ha fatta diventare “grande” come lettore. Ci racconta del momento in cui quel libro è stato tra le sue mani per la prima volta?
“Il primo anno di liceo, grazie alla professoressa d’italiano che ci ha dato il compito di leggerlo durante un biennio sperimentale. Ero stato un lettore da ragazzino, poi avevo smesso di leggere e quindi mi sono ritrovato – anche con desiderio – in mano un libro, e quello appunto. Forse mi avrebbe illuminato qualsiasi romanzo, però la verità è che fu Il Gattopardo a colpirmi e l’effetto è stato dirompente. Da allora quell’universale economica Feltrinelli con lo stemma in copertina in colori pastello non ha significato soltanto leggere quella storia, ma capire che leggere letteratura fosse una scoperta irrinunciabile. Quel libro ha messo le basi per un amore tale che è diventato addirittura il tentativo di scrivere e infine il mio lavoro”.
Una specie di sintesi non solo della cultura siciliana ma dell’intero Paese, dove la famosa frase sul cambiamento è rivolta a noi tutti. A tal proposito, qual è stata la trasformazione più sostanziale che ha affrontato?
“Smettere di essere il ragazzino di provincia che provava una specie di vergogna, di pudore, sia dell’amare la letteratura, sia dello scrivere, perché mettevo in campo altro nella mia città. Poi, quando sono venuto a Roma, in qualche modo, questo cambiamento ha risolto anche la mia anima più nascosta e l’ha messa in evidenza. Credo sia stato questo un cambiamento significativo”.
Talvolta anche lei si è fatto irretire dall’immobilità?
“Beh, senz’altro sì. Ma, più che l’immobilità, il freno, che è quello di cui si occupa Il Gattopardo, attraverso soprattutto il personaggio di don Fabrizio”.
L’atteggiamento del principe non era quello di una persona che non comprende, quanto piuttosto di uno che cerca in qualche modo di tenersene fuori. Tra l’altro, per ragioni nobili. Ritiene che il non voler appartenere alle rivoluzioni sia un tratto caratteristico degli italiani?
“Noi italiani siamo molto complicati e non facilmente identificabili se non per luoghi comuni. In realtà siamo schizofrenici in questo, perché è vero che non vogliono partecipare alle rivoluzioni, però improvvisamente esplodiamo in delle battaglie significative. Nella storia d’Italia recente si può pensare, ad esempio, al divorzio, all’aborto, anche al cambiamento della Prima Repubblica quando c’è stato il problema della corruzione dei partiti. Ad un tratto l’Italia si accende in un cambiamento, e credo sia questa la nostra caratteristica, quella di essere un po’ un paese reazionario che ha degli improvvisi salti in avanti di progresso”.
A parte don Fabrizio, quali sono per lei i personaggi più significativi?
“Sicuramente Calogero Sedara, perché in fondo è il rappresentante dell’Italia che vedremo, ed è la grande intuizione di Tomasi di Lampedusa, quella di far dire a Chevalley: ‘Però, se in Parlamento ci vengono i Sedara, in qualche modo l’Italia sarà più piccola come sogno, come prospettiva’. In realtà Calogero Sedara è uno che ha camminato per ottenere, per salire la scala sociale, e non come mezzo ma come fine. E poi ovviamente Angelica, per il terremoto silenzioso che provoca in quella casa”.
Le parole devono essere libere, liberatrici, anche scandalose. E non si può dare un limite né al linguaggio né ai gesti creativi. Nella realtà quotidiana, invece, cosa accade?
“La realtà dovrebbe avere quella libertà della vita creativa e la vita creativa la completezza della realtà. La cosa migliore sarebbe, quindi, che si assomigliassero il più possibile”.
Come intende la letteratura?
“Da lettore, come un luogo che mi fa vivere molte più vite di quante ne possa aver vissuto senza; da scrittore, invece, come il tentativo di cercare di andare a scovare la verità delle cose. Come idea di rivelazione delle verità indicibili”.
Nella vita di uno scrittore ci sono le casualità. Quale quella più fortunata?
“Quando ho incontrato, per caso, Domenico Starnone al Salone di Torino e gli ho dato un racconto. In fondo, la mia vita di scrittore è cominciata lì”.
Le capita di rileggersi negli anni?
“Mai. Forse perché ho l’ossessione del presente e del costruire altro. In vecchiaia magari lo farò, ma non è ancora arrivato quel momento”.
Di cosa ha paura?
“Che arrivino delle infelicità molto grandi all’improvviso. Mi preoccupa ovviamente quello che sta succedendo nel mondo in questo momento, però riesco a vivere senza una forte paura ossessiva davanti”.
Cosa voleva diventare da grande Francesco Piccolo?
“Un giocatore di basket, che era l’unica cosa che stava al centro della mia vita. Col passare del tempo ho capito che, se avessi fatto lo sportivo, avrei però avuto una data di scadenza, mentre se avessi fatto lo scrittore no. Allora ho scelto il sogno più a lungo termine”.

