L’articolato sistema di frodi fiscali gestito dalla ‘ndrangheta, che nei giorni scorsi ha portato a un blitz della Guardia di finanza in Lombardia, non coinvolgeva soltanto l’estero, ma passava anche dalla Sicilia.
A far parte della rete di società controllate dal gruppo criminale di origine calabrese, guidato dai fratelli Domenico e Giovanni Natalino Cambareri, sarebbero state anche due imprese con sede legale nel Catanese. L’indagine coinvolge due uomini e una donna residenti nella provincia etnea, oltre che due soggetti di origine siciliana ma residenti al Nord.
L’inchiesta della procura di Brescia ha ricostruito un ingente giro d’affari basato sull’emissione di fatture false, mettendo nel mirino gli interessi di figure legate alle cosche di ‘ndrangheta.
La Sicilia coinvolta nel giro di frodi fiscali della ‘ndrangheta
L’associazione criminale dava agli imprenditori la possibilità di simulare l’acquisto di beni e prestazioni, in modo da incamerare documenti che giustificassero costi in realtà mai sostenuti e, di conseguenza, riuscire a frodare l’erario.
Il meccanismo di frode prevedeva l’utilizzo di ditte cartiere per rendere meno evidente il collegamento tra impresa-cliente e le società che gestivano il sistema, ma anche il ricorso a società con sedi all’estero – Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Slovenia e Malta i paesi interessati – e infine il rapporto con le comunità cinesi.
Le cinque fasi
Gli inquirenti hanno ricostruito cinque fasi. “Il sistema prende avvio dalla richiesta, avanzata dal cliente per il tramite di un intermediario che si frappone tra il cliente stesso e il sodalizio criminoso, di consegna di una somma di denaro contante – si legge nell’ordinanza del gip Alessandro d’Altilia –. Dopo la prenotazione, il sodalizio criminale si attiva e genera un flusso cartolare di documentazione fittizia destinata, in ultima istanza, all’impresa-cliente e recante un importo superiore rispetto alla somma prenotata da restituire in contanti al cliente”.
All’impresa-cliente, una volta ricevute le fatture, spettava disporre “un bonifico verso il conto corrente indicato dal sodalizio criminale, di importo pari a quello indicato nel documento fittizio pervenuto”. Le società cartiere, a loro volta, trasferivano i soldi nelle società di comodo all’estero. L’ultima tappa era in Cina, sui conti di società controllate da soggetti cinesi residenti in Italia.
“Ricevuta conferma che il bonifico verso la società cinese è andato a buon fine – viene ricostruito nell’ordinanza sul caso di frodi fiscali gestite dalla mafia – il fornitore cinese consegna al sodalizio criminale italiano la corrispondente somma di denaro contante, al netto di una provvigione per il servizio reso”.
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, il servizio solitamente garantiva al gruppo dei fratelli Cambareri una provvigione del 3,5% sull’importo iniziale. “Alla società cliente perviene denaro contante in misura corrispondente al 96,5 per cento dell’importo nominale della fattura pagata, con conseguente evidente e importante risparmio in termini di spesa fiscale”, ha sottolineato il giudice per le indagini preliminari.
I soldi contanti
Il ruolo della comunità cinese era fondamentale. Il motivo, come già emerso in altre indagini simili, è legato alla facilità di reperire grandi quantità di contanti, grazie anche all’utilizzo di sistemi di trasferimento dei fondi basati sulla fiducia come l’hawala: “Il cash utilizzato per la monetizzazione delle fatture segue un percorso autonomo. I fornitori cinesi, che talvolta operano singolarmente talvolta come vere e proprie associazioni a delinquere, dopo aver raccolto ingenti somme di denaro quali proventi derivanti da attività illecite, come il narcotraffico o lo sfruttamento della prostituzione, reimpiegano il denaro contante così raccolto consegnandolo ai sodalizi italiani dediti alla perpetrazione di frodi fiscali”.
Frodi fiscali gestite dalla ‘ndrangheta, le società coinvolte in Sicilia
Tra le decine di società considerate cartiere ci sono anche la Hive srl e la Vega & G srl. Con sedi rispettivamente a Tremestieri Etneo e San Giovanni la Punta, entrambe formalmente si occupano di commercio all’ingrosso di gomma greggia e plastica. La loro funzione sarebbe però stata quella di “ricevere ed emettere fatture per operazioni inesistenti in modo tale da creare una sorta di schermo giuridico tra le società cartiere e le società destinatarie delle fatture fittizie”.
Sia la Hive srl che la Vega & G. sarebbero state gestite dal gruppo criminale a dispetto di ciò che dicono le visure camerali.
La prima era formalmente rappresentata dalla 32enne catanese Clarissa Maria Sciuto, mentre alla guida della seconda si sono avvicendati il 60enne catanese Marcello Fazio e il 54enne misterbianchese Sebastiano Rapisarda. Sia per la Hive che la Vega, gli inquirenti hanno individuato nel 40enne Ernesto Gatto – nato a Catania, ma residente a Roncadelle, in provincia di Brescia – l’amministratore di fatto. Gatto, a sua volta, sarebbe stato molto vicino ai Cambareri.
Nell’inchiesta è coinvolto anche il 66enne Salvatore Amato, nato a Palermo ma residente a Milano. Per lui, i magistrati avevano richiesto l’arresto ma il gip ha rigettato l’istanza.
I sequestri
I cinque siciliani, tutti indagati, non sono stati raggiunti da misure cautelari, ma nei loro confronti è stato disposto un provvedimento di sequestro di beni: Tra liquidità, beni mobili o immobili, possedute anche per interposta persona, sono queste le somme che è stato chiesto ai finanzieri di congelare:
- Salvatore Amato: 796.679,54 euro;
- Marcello Fazio: 15.960.95 euro;
- Ernesto Gatto: 1.093,75;
- Sebastiano Rapisarda: 8.855,33 euro;
- Clarissa Maria Sciuto: 60.128,83 euro.
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