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La fuga dei pazienti verso gli ospedali del Nord. Nel 2024 in Sicilia un buco di 247 milioni euro

La fuga dei pazienti verso gli ospedali del Nord. Nel 2024 in Sicilia un buco di 247 milioni euro

Mentre la magistratura getta nuove ombre sul sistema, peggiora del 77% il deficit causato dalla mobilità dei cittadini verso gli ospedali del Nord: l’anno prima era pari a 139 milioni di euro

ROMA – Davanti alle inefficienze dei sistemi sanitari regionali i pazienti fuggono, nel senso letterale del termine. Perché nel nostro Paese si migra da una regione all’altra non solo per lavoro o per cercare nuove opportunità, ma anche per accedere a quei trattamenti medici e ospedalieri che le strutture “di casa” non riescono a garantire in modo adeguato. È la cosiddetta mobilità sanitaria. Una questione che, di recente, ha provocato scintille anche nel dibattito politico, col presidente della Regione Veneto, il leghista Luca Zaia, che, parlando di una coppia di siciliani in cura all’ospedale di Treviso, ha definito “immorale” la situazione, suscitando la reazione del dem all’Assemblea regionale siciliana, Michele Catanzaro: “Ricordiamo a Zaia – ha detto l’esponente del Pd – che la Sicilia è governata dal suo alleato Schifani”.

Palermo non vede la costruzione di un nuovo ospedale da decenni

Sulla faccenda è intervenuto anche Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo. “Il problema – ha sottolineato Amato – non è l’impegno di chi lavora, ma la mancanza di investimenti e di programmazione”. Il presidente dell’Omceo palermitano ha infatti ribadito come a professionisti preparati presenti nel territorio, non corrispondano però strutture adeguate: “Al di là di qualche padiglione più recente, Palermo non vede la costruzione di un nuovo ospedale da decenni”. Poi, anche da parte sua, l’affondo al governatore veneto: “Zaia dimentica che regioni come il Veneto e la Lombardia, così come altri Paesi esteri, beneficiano del contributo professionale e umano dei medici siciliani che lì trovano le condizioni per lavorare”.

Si fa fatica a garantire ovunque le stesse condizioni di accesso alle cure

Oltre ai risvolti riguardanti la moralità di una politica che fatica a garantire ovunque le stesse condizioni di accesso alle cure, però, esistono anche implicazioni di ordine economico. Le fughe per motivi sanitari, infatti, generano un peso – decisamente non di poco conto – sulle casse della regione di residenza, tenuta a risarcire la regione d’arrivo dei costi sostenuti per erogare le prestazioni mediche in favore del paziente “ospite”. In Sicilia, tra le protagoniste (in negativo) di queste odissee, nel 2024 si è generato un disavanzo nei conti della Regione pari a oltre 247 milioni di euro: più di un quarto della Finanziaria regionale dello scorso anno. Il deficit, certificato dall’assessorato alla Salute, corrisponde alla differenza tra mobilità passiva (i debiti da pagare alle regioni ospitanti) e la mobilità attiva (i crediti maturati per aver attratto pazienti che risiedono altrove).

Il rapporto Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali

Un quadro complessivo del fenomeno e delle sue ripercussioni finanziarie, seppur aggiornato al 2023, è offerto dal rapporto Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Uno studio secondo cui, in tutta Italia, la mobilità sanitaria ha raggiunto picchi impressionanti, con un totale di oltre 668 mila ricoveri e quasi 2,9 miliardi di costi. Di questo ammontare complessivo, l’80% (e cioè 536 mila ricoveri e costi per 2,3 miliardi) è costituito da mobilità “effettiva”, vale a dire né apparente né casuale, legata dunque alla concreta necessità del paziente di cercare in altre regioni una qualità sanitaria che nella propria non trova. La quasi totalità delle migrazioni, pertanto, è evidentemente determinata dalle carenze delle strutture sanitarie di certe aree del Paese rispetto ad altre, con conseguenze importanti non solo sulla garanzia del diritto alle cure, ma anche – come già accennato – sul piano economico.

Quando il rapporto Agenas certifica che “le regioni del Sud si caratterizzano per flussi di migrazione più accentuati, se confrontati con quelli delle regioni del Nord e del Centro”, lo fa parlando di una schema geografico che viene definito “consolidato”. Un trend incancrenito nel tempo. Al netto della mobilità di confine (quella tra territori adiacenti), le regioni che sostengono il numero più elevato di costi per le migrazioni dei propri pazienti sono Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, con uscite complessive di 587 milioni di euro, pari quasi al 60% del totale della spesa nazionale. Questo gruppo di regioni, dunque, vale da solo a rappresentare più della metà dell’intera mobilità sanitaria passiva non di confine in Italia. La Sicilia, in particolare, nel 2023 ha accumulato ulteriori costi di mobilità “effettiva” per 142,5 milioni di euro, con circa 32 mila ricoveri “perduti”.

Occorre rendere le strutture sanitarie appetibili

La questione, d’altra parte, non è necessariamente legata al contrasto alla fuga dei pazienti, ma anche alla capacità di rendere le proprie strutture sanitarie appetibili davanti alle esigenze di chi risiede in altre regioni. Si tratta in questo caso della mobilità attiva, ossia la capacità attrattiva della sanità regionale. Da questo punto di vista, però, le regioni che perdono più pazienti sono anche quelle che ne attraggono di meno. La Sicilia, in particolare, si piazza in fondo alla classifica italiana del 2023 con un indice di attrattività dell’1,61% (l’unico risultato peggiore di questo si rileva in Sardegna, lo 0,85%, dato in parte giustificato, però, dalla scomoda posizione geografica della regione). Le strutture sanitarie in assoluto più attrattive, invece, sono quelle di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, che insieme assorbono quasi il 60% dei ricavi derivanti dalla mobilità sanitaria: le tre regioni, infatti, hanno maturato un credito complessivo di 1,3 miliardi (in testa la Lombardia, con una quota di 573,26 milioni). I ricavi siciliani, invece, nel 2023 non hanno superato la soglia dei 24 milioni.

Le carenze sanitarie regionali provocano trasferimenti economici

Da un certo punto di vista, dunque, le carenze sanitarie regionali, oltre a rappresentare un disagio se non un vero pericolo per chi ha bisogno di cure, provocano trasferimenti economici assai consistenti dal Mezzogiorno al Nord della Penisola. Sui fallimenti dei sistemi sanitari, insomma, si arricchiscono doppiamente le regioni virtuose. Venendo al saldo di mobilità, infatti, nelle regioni del Sud si registrano risultati negativi persistenti. In particolare – stando a quanto segnalato dal report Agenas – nel 2023 il saldo della Sicilia (il terzo peggiore d’Italia) ha raggiunto quota -139,7 milioni di euro, tornando in progressivo peggioramento dopo il 2020, anno in cui la pandemia da Covid-19 ha provocato una brusca frenata della mobilità sanitaria. Il deficit siciliano, come detto in apertura, secondo il decreto dell’assessorato regionale alla Salute, nel 2024 è cresciuto fino a -247 milioni. Incrociando questi indicatori (decreto regionale e rapporto Agenas) il saldo negativo dell’Isola sarebbe pertanto peggiorato del 76,8% in un solo anno. I saldi di regioni come Lombardia ed Emilia Romagna, entrambi oltre i +380 milioni nel 2023, forniscono un’ulteriore testimonianza del baratro che spacca in due il Paese.

Persistenza di disuguaglianze territoriali nell’accesso e nella qualità dei servizi sanitari

È la stessa Agenas a sottolineare in modo esplicito che i dati “evidenziano la persistenza di disuguaglianze territoriali nell’accesso e nella qualità dei servizi sanitari, richiamando l’attenzione sull’esigenza di un rafforzamento delle reti ospedaliere regionali, in particolare nelle regioni caratterizzate da una minore attrattività”. Quest’ultimo aspetto apre spiragli a considerazioni di rilievo: un’enorme mole di contributi europei, negli ultimi anni, è stata riservata proprio al potenziamento dei sistemi sanitari, soprattutto all’insegna di una maggiore prossimità territoriale. In Sicilia, secondo i più aggiornati Open Data della Regione, il 61,5% del finanziamento Pnrr (pari a circa 1,32 miliardi di euro per i progetti di cui la Regione siciliana è soggetto attuatore) è stato destinato alla missione Salute. Ciononostante, le regioni meno sviluppate (quelle appunto del Sud) non solo faticano a contrastare la mobilità passiva, ma non riescono neppure a compensarne le ripercussioni economiche tramite una mobilità attiva, dimostrandosi allo stato attuale incapaci di attrarre pazienti dall’esterno e di controbilanciare così i propri debiti. Benché nell’ottica della coesione territoriale molte risorse siano state riservate proprio alle regioni del Meridione italiano (una quota non inferiore al 40% del Pnrr è stata infatti messa a esclusiva disposizione del Sud), anche i dati sulla mobilità sanitaria sembrano dimostrare per l’ennesima volta che, al momento, il tanto auspicato (e generosamente finanziato) superamento dei divari di cittadinanza resta ancora lettera morta.