Cinema, Gabriele Muccino ci racconta "Gli anni più belli" - QdS

Cinema, Gabriele Muccino ci racconta “Gli anni più belli”

Francesco Torre

Cinema, Gabriele Muccino ci racconta “Gli anni più belli”

giovedì 20 Febbraio 2020

Nella Roma dei primi anni Ottanta, i sedicenni Giulio, Paolo e Riccardo incrociano le proprie esistenze nel caos di una manifestazione politica

GLI ANNI PIU’ BELLI
Regia di Gabriele Muccino. Con Pierfrancesco Favino (Giulio), Micaela Ramazzotti (Gemma), Kim Rossi Stuart (Paolo), Claudio Santamaria (Riccardo).
Usa 2020, 129’.
Distribuzione: 01 Distribution

Nella Roma dei primi anni Ottanta, i sedicenni Giulio, Paolo e Riccardo incrociano le proprie esistenze nel caos di una manifestazione politica in cui si sentono gli echi della stagione del terrorismo. La loro amicizia senza confini, turbata dagli eventi della vita, da personali esigenze di emancipazione sociale e soprattutto dalla presenza di una donna contesa, Gemma, ripercorre quasi quarant’anni di storia italiana.

Giovanilismo, vittimismo familista, aneddotica convenzionale, profili sociali dei personaggi ritagliati sulla base di cliché. Con la consueta frenesia interpretativa, le voci perennemente sopra le righe, lo stile di ripresa arioso e continuamente in movimento, nella prima parte del film Gabriele Muccino percorre in sicurezza i sentieri del suo cinema adolescente.

Plausibilità e coerenza storiche cedono spesso e volentieri il passo alle esigenze narrative, il richiamo ai macroeventi sociopolitici nazionali e internazionali non oltrepassa la mera funzione di segnare il passaggio del tempo e alcune scelte di messa in scena (per esempio la troppo frettolosa anticipazione della trasformazione fisica dei personaggi, con Kim Rossi Stuart e Pierfrancesco Favino evidentemente imbarazzati nel dover interpretare ventenni neolaureati) non sembrano sottolineare una globale lucidità estetica.

Nella seconda parte, laddove la dimensione del tradimento sentimentale cede, in realtà mai troppo convintamente, il passo all’approfondimento psicologico dei personaggi e alla loro contestualizzazione sociale, si fa più evidente il richiamo all’indimenticabile “C’eravamo tanto amati”, tanto che il film ad un tratto (i personaggi che parlano in camera, il lungo corridoio delle case di Gemma e Paolo che richiama l’abitazione de “La Famiglia”, la sequenza della fontana di Trevi – citazione di citazione – la terrazza sul finale) si ricompone come un grande – ma superficiale – omaggio ad Ettore Scola. Che il paragone, però, risulti infine solo pretestuoso e ingeneroso lo dimostra il finale, con tutti i personaggi riallineati per un’ecumenica foto di gruppo, definitivamente alleggeriti – se mai si fossero sentiti appesantiti – del peso di ogni responsabilità individuale e sociale, nel più cieco degli elogi dell’amicizia.

Voto: ☺☺☻☻☻

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