Roma, 9 dic. (askanews) – Domani sera, mercoledì 10 dicembre, a Nuova Delhi si terrà la riunione del comitato intergovernativo dell’ Unesco che deciderà l’esito della candidatura della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’umanità. Tutte le premesse sono favorevoli e l’auspicabile “buon esito” arriva in un momento cruciale per “alimentare” la diffusione della cultura della nostra cucina. I dati più recenti, infatti, mostrano che le pratiche domestiche che per decenni hanno costituito l’ossatura culturale del nostro Paese stanno cambiando. Ad affermarlo è Roberta Garibaldi, componente del Comitato scientifico che ha preparato il dossier per la candidatura a patrimonio Unesco.
“Nonostante oltre metà degli italiani dichiari di cucinare spesso ricette tipiche del territorio o della famiglia, la frequenza con cui vengono preparati piatti tradizionali si sta riducendo in modo significativo”, evidenzia Garibaldi, che è anche presidente di Aite-Associazione Italiana Turismo Enogastronomico. “È quindi urgente rafforzare l’educazione alimentare e la trasmissione culturale alle nuove generazioni”.
I risultati dell’indagine evidenziano un indebolimento delle abitudini culinarie tradizionali. Le pratiche simbolo della cultura culinaria, come pane fatto in casa, pasta fresca e pasta ripiena, sono oggi coltivate settimanalmente solo dal 6-8% del campione. Solo il 33% prepara almeno una volta alla settimana zuppe, minestre o piatti di legumi, un tempo ricette quotidiane preparate in quasi tutte le case italiane. Il 30% cucina regolarmente un risotto, mentre 7 italiani su 10 non lo fanno più con cadenza settimanale. Il 17-18% prepara almeno una volta alla settimana dolci o piatti elaborati di carne, attività che un tempo scandivano i ritmi delle famiglie e delle comunità.
Aumenta la propensione a soluzioni rapide, come i piatti pronti o il food delivery: i giovani in età compresa tra 18 e 24 anni cucinano meno spesso piatti complessi o che richiedono preparazioni manuali. Sempre i giovani 18-24 anni sono tra i più orientati ai piccoli negozi e ai mercati locali (41-45%), ma mostrano una minore continuità nella cucina domestica. Il gruppo dei 25-44 anni è quello che ricorre più al delivery. Gli over 65 mantengono livelli più alti di cucina domestica tradizionale e il 49% frequenta mercati di produttori e il 42% piccoli negozi.
Accanto alle differenze generazionali emergono nette differenze geografiche. Nel Sud e nelle Isole la prossimità resta centrale: 50% acquista nei mercati contadini (media 37%) e 48% nelle botteghe tradizionali (media 34%), con il valore più alto anche per il commercio equo (32%). Nord Ovest e Nord Est mostrano invece una minore prossimità e una maggiore propensione al delivery (fino al 17% per spesa e piatti pronti). Il Centro si colloca su livelli intermedi. Nel complesso emerge un Mezzogiorno radicato nei canali tradizionali e un Nord più orientato a soluzioni digitali.
Il quadro indica una progressiva diaspora culturale: la cucina italiana rimane amata, ma è meno praticata. È quindi urgente, sottolinea Garibaldi, intervenire in chiave educativa, affinché l’auspicabile riconoscimento della cucina italiana come patrimonio Unesco possa costituire la base per un suo rilancio effettivo nella pratica quotidiana delle future generazioni.

