Forum con Gennaro Sangiuliano direttore Tg2. L'Europa, la classe politica italiana, il mondo dell'informazione nell'era social i principali temi trattati
Intervistato dal direttore, Carlo Alberto Tregua, il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano risponde alle domande del QdS.
Qual è la sua opinione sull’attuale situazione europea?
“L’Europa è una grande entità storico-culturale che esiste da sempre, prima ancora della sua costruzione giuridica. Nasce da una comunanza linguistica, letteraria, artistica. Con Carlo V e il Sacro Romano Impero Germanico, ‘il regno su cui non tramonta mai il sole’, si realizza una sua prima unità politica. Inoltre, c’è una comune base religiosa, perché alla base di tutto ci sono le radici giudaico cristiane. Tuttavia, l’Europa politica di oggi non è all’altezza delle aspettative dell’Europa culturale. Prezzolini in ‘L’Italia finisce: ecco quel che resta’ (1939) sosteneva la tesi dell’inadeguatezza degli italiani di oggi rispetto alla loro storia passata. Allo stesso modo, mi sembra ci sia un’inadeguatezza dell’Europa di oggi rispetto alla sua grande cultura e tradizione. Il ‘mercanteggiamento’ a cui a volte assistiamo, non è all’altezza di quella che dovrebbe essere la costruzione europea”.
La questione di fondo è che i Paesi cosiddetti frugali vorrebbero che anche i Paesi mediterranei avessero delle regole comuni, abbattessero il debito pubblico avessero una previdenza sostenibile, non distribuissero sussidi…
“Non dimentichiamo che proprio alcuni di questi rigoristi sono quelli che poi fanno del dumping fiscale… È stata fatta un’unione monetaria senza fare un’unione fiscale, questo è chiaro. Se non hai un’equità fiscale è difficile avere un’equità distributiva”.
Il problema poi è tradurre i tanti passaggi burocratici in benefici per i cittadini…
“Soprattutto in un momento in cui imprese, aziende e la gente che lavora hanno bisogno di un’immediata liquidità. La gente, soprattutto dopo l’emergenza sanitaria ed economica che ha investito il nostro Paese, ne ha bisogno immediatamente”.
Neanche il sistema tecnico di formazione della leggi aiuta in questo senso, perché il Decreto Rilancio ha numerosi decreti attuativi. Cosa ne pensa?
“Il Decreto Rilancio ha addirittura 155 decreti attuativi. Mi riferisco per esempio al Superbonus per l’edilizia: i cantieri sono fermi, basti pensare a quelle opere di ristrutturazione che normalmente si fanno d’estate nelle case degli italiani. Le vecchie agevolazioni che c’erano prima, e che pure funzionavano, non sono più in vigore, mentre le nuove ancora non arrivano. La gente è ferma e aspetta”,
Come fare, dunque, a conciliare l’urgenza dei provvedimenti con questa dilazione?
“Di formazione sono un giurista, quindi ritengo il Diritto un fatto fondamentale e importante di ogni vita, sociale e umana. Detto questo, però, troppe norme stroppiano. Come avviene negli Stati Uniti, ci vorrebbero poche leggi chiare e comprensibili che tutti quanti devono e possono rispettare. Noi, invece, siamo condizionati da un iper-normativismo, cioè vogliamo disciplinare ogni piccolo aspetto della vita sociale, salvo poi disapplicarlo. L’approccio normativo, nel mondo anglosassone, mette gli obblighi nel ‘non’ fare. In pratica è consentito tutto, tranne ciò che è vietato. Noi, invece, vogliamo imporre nella società italiana l’obbligo del fare, del seguire certe procedure: la vita diventa impossibile. Poi abbiamo troppi livelli di normazione: il Parlamento, la legislazione ordinaria, la legislazione regionale, le normative comunali, altri Enti che in determinate materie legiferano. Infine, abbiamo anche la Magistratura, che di fatto legifera perché, nella sua interpretazione delle norme, crea altre norme”.
Come usciamo da quest’impasse? Governanti di buonsenso cosa potrebbero fare?
“Secondo me il tema a monte è culturale. Ci vorrebbe una ribellione culturale contro quello che io chiamo il ‘Pudpc’ e cioè il Partito unico del politicamente corretto. Dovremmo buttare giù il partito più invasivo e che ha prodotto più danni nel nostro Paese”.
A fronte della necessità di avere più cultura, mi pare che il livello medio di ignoranza sia aumentato…
“Le nostre classi dirigenti si sono molto impoverite negli anni. È sotto gli occhi di tutti. Siamo passati da Spadolini, Moro, Fanfani, Berlinguer, Almirante a… Non voglio fare nomi”.
Allora la politica si studiava nelle scuole…
“E aveva un suo cursus honorum. Cominciavi con fare il consigliere comunale, l’assessore, poi il sindaco, il consigliere provinciale, il consigliere regionale e infine, se avevi stoffa, arrivavi a Roma. Adesso la classe politica si crea nei talkshow televisivi. Tuttavia, in un sistema di competizione globale, ci sono gli altri Paesi del mondo come termine di paragone. Ho scritto la biografia di Xi Jinping, il leader cinese. Ha cominciato facendo il vice sindaco di un piccolo comune di 20.000 abitanti. Per arrivare dove è arrivato ci ha messo quarant’anni, quindi ha conosciuto a fondo delle realtà e ha studiato dei meccanismi. Lo stesso vituperato Putin, per sette anni ha fatto il vice sindaco di San Pietroburgo, quindi anche lui inizialmente si è misurato con problemi concreti. Solo dopo è arrivato a essere il Presidente della Federazione Russa. In Italia questa capacità di formare la classe dirigente si è persa”.
Ci si meraviglia che le decisioni del Governo non arrivino al territorio: siamo ostaggio della burocrazia. È anche questo un fatto culturale?
“Secondo me abbiamo perso un principio di autorità che significa rispetto delle regole e dei ruoli, nonché una certa visione culturale del mondo e della vita. Oswald Spengler, nel libro ‘Il tramonto dell’Occidente’ (1918) preconizza una lenta decadenza dell’Occidente stesso. Decadenza che è determinata proprio dalla perdita del principio del rispetto. Una volta, sia nelle famiglie che nelle antiche tribù, le persone anziane venivano ascoltate e rispettate. Questo è l’elemento che abbiamo perso e che sta portando alla decadenza. Tutti pensano di poter fare tutto. Per poter fare ci devono essere competenze ed esperienze che si formano nel corso di decenni. Io, nel mio piccolo, ci ho messo quarant’anni per costruirmi pian piano, assimilando anche da chi era più bravo e aveva più esperienza di me. Ho imparato e sono arrivato dove sono arrivato. Queste dovrebbero essere anche le dinamiche della politica”.
In tutti gli altri settori i danni sono limitati, qui invece sono a carico della collettività…
“Oggi è ancora più grave che in passato, perché prima avevamo delle società chiuse. Ora siamo in un mercato globale in cui l’inefficienza del nostro sistema è in competizione con l’efficienza di altri sistemi. Nella mia biografia di Xi Jinping racconto che a Pechino hanno realizzato un aeroporto fantasmagorico in soli cinque anni. Duecento anni fa le nostre lentezze erano solo peggio per noi. Oggi si misurano con la velocità degli altri. In un sistema di competizione globale non ci possiamo permettere più di essere lenti perché il confronto è evidente. Se fabbrichiamo un bene e non lo facciamo con lo stesso rigore degli altri, il mercato si orienta verso i prodotti altrui”.
Forse, in questo contesto, una funzione importante potrebbero averla i giornalisti e i mezzi di stampa?
“Innanzitutto è necessaria una rigenerazione culturale che ci porti anche a riappropriarci di determinati valori. Io, sfidando un po’ le vulgate dominanti, mi definisco un conservatore, nell’accezione prezzoliniana del termine. Prezzolini nel ‘Manifesto dei Conservatori’ (1972) spiega che tale termine ha nel suo etimo il concetto di ‘guardiano del fuoco’. Ovviamente il fuoco da mantenere acceso è un simbolo che si riferisce ai valori di una comunità. Prezzolini sostiene che il progressista è la persona di domani, mentre il conservatore è la persona di dopodomani perché innova la società pur salvaguardandone i valori. Il ruolo del giornalismo è fondamentale perché la disintermediazione della notizia che è avvenuta con i social, non ha fatto certo bene. Oltre a fomentare la diffusione di notizie false, ha generato l’errore di fondo che tutti possano dire la loro. Per me l’assioma ‘uno vale uno’ non è corretto. Uno vale uno vale nella sanità, perché tutti abbiamo diritto all’assistenza; non è che uno vale uno se devi fare il Presidente della Repubblica. Una volta i giornali avevano una funzione di indirizzo rispetto alla società: formavano il cittadino. Dostoevskij fondò un giornale che chiamò ‘Il cittadino’ e aveva la missione di formare una coscienza civica collettiva. I politici e l’Università, allo stato attuale, non stanno perseguendo più questa missione”.
Testi di Anna Maria Verna