Ancora poco conosciuto in Sicilia e in Italia, viene chiamato in tutto il mondo per presentare le sue sculture che sono diventate una tendenza da seguire per il design unico e originale. Alla scoperta di questo talento palermitano.
Gianluca Traina è un palermitano nato nel 1984 “strappato” al mondo della moda e trasformatosi in apprezzato e quotato artista a livello internazionale. Dopo aver studiato al Polimoda di Firenze e aver vinto una borsa di studio della Camera Nazionale della Moda Italiana di Milano, il fallimento delle sue aspettative nel settore e la mancanza di reali opportunità di sviluppo professionale lo portano nel 2009 a tornare nella sua città natale e frequentare un corso di pittura all’Accademia di Belle Arti di Palermo.
GLI INIZI DI GIANLUCA TRAINA
Dal 2009 parallelamente allo studio inizia a
sviluppare interessi e progetti, che lo porteranno presto a vivere una
straordinaria popolarità e rapida e voluta carriera nel mondo dell’arte. La sua
ricerca è focalizzata sulla pittura e sulla scultura, sovrapponendo materiali
insoliti e contemporanei come il PVC e la carta, attraverso i quali sviluppa
forme prese da una memoria personale alle quali mescola suggestioni di culture
e periodi storici differenti tipiche della sua identità mediterranea.
Nel 2012 ha sviluppato un sistema innovativo
per la creazione di forme tridimensionali attraverso l’utilizzo di superfici
bidimensionali come la carta, questo sistema gli permetterà di realizzare un
proprio progetto denominato PORTRAIT 360 °, una serie di ritratti di persone
attraverso la sintesi tra immagini il digitale e l’artigianato gli faranno
ottenere un grande successo in 96 paesi del mondo. E’ così clamoroso il suo
successo che in poche settimane cattura l’attenzione del web e di molte riviste
di design, moda e comunicazione che ne identifica il valore innovativo e
futuristico quanto basta per suggerire il ritratto del progetto a 360° come una
tendenza da seguire per il design del nuovo prodotto. Oggi deve gran parte
della sua popolarità alle sue “Teste”.
Come
ti è venuta l’idea di creare… teste?
“In
un museo di Londra, osservando una mummia egiziana. Rimasi affascinato dalla
tecnica di bendaggio del volto. La sovrapposizione dei lembi di tessuto,
perfettamente disposti a coprire il capo, creando delle geometrie interessanti.
All’inizio ho cercato di riprodurre la tecnica di bendaggio così per come
appare, dopo ho iniziato ad investigare una tecnica tutta mia. Dopo mesi di
sperimentazione e ricerca e individuato un mio percorso creativo, ho iniziato a
creare quello che poi è diventato la serie di sculture che ho chiamato Portrait
360°”.
Esattamente
qual è la tecnica che usi per le tue creazioni? Esisteva già qualcuno che
praticava questa tecnica?
“La
tecnica è piuttosto tradizionale, utilizzo il sistema di intreccio della
tessitura formato da trama e ordito, quindi sezioni verticali e orizzontali che
si incrociano a formare una struttura tessile. Piuttosto che il tessuto
utilizzo la carta, che attraverso dei processi di laminazione e plastificazione
rendo molto flessibile e durevole, ma soprattutto colorata. Volevo intrecciare
strisce colorate che ricomposte restituissero l’immagine di un volto umano.
Grazie all’utilizzo di programmi di modellazione 3D e computer grafica riesco
ad ottenere delle immagini bidimensionali che intrecciate compongono la forma
tridimensionale di un volto umano.
Ho
adattato il processo creativo agli strumenti tecnologici a mia disposizione. Il
mio lavoro è un ibrido tra tecnologia e artigianato, tra progettazione e
manualità. Questa tecnica, che mi consente di ottenere delle foto panoramiche
tridimensionali, prima che io la sperimentassi non esisteva e in parte è stata
la chiave del successo della serie Portrait 360°. Dopo è diventata un trend ed
è stata copiata, rielaborata, applicata in diversi ambiti, non solo quello
artistico”.
Da
dove trai ispirazione? Cosa vuoi rappresentare con le tue sculture?
“Nel
caso di Portrait 360° l’ispirazione è arrivata quasi naturalmente. In quel
periodo studiavo La Storia dell’Arte Medievale, in particolare i mosaici
bizantini. Mi sono immediatamente accorto come la tecnica del mosaico fosse
simile alle immagini digitali composte da pixel, una sequenza di quadratini
colorati che interagendo con l’osservatore e secondo il punto di vista, formano
un’immagine più o meno dettagliata. Unisci questa tecnica percettiva con il
sistema di tessitura citato in precedenza e ottieni la tecnica che utilizzo per
le mie sculture.
Tutt’altra
cosa è il concetto che sta dietro Portrait 360°. Sono un viaggiatore, un amante
della specie umana e delle diversità. Mi diverto ad osservare e la domanda che
spesso mi faccio è: chissà cosa c’è dietro quel volto, che storia è contenuta
in quel corpo, che anima avrà quell’essere vivente. Ogni essere umano ha un
guscio che appare e una interiorità che non appare. Come posso raccontare
questo scollegamento? Questa sconnessione tra esterno e interno? Ho immaginato,
quindi, di creare una forma tridimensionale standard, sempre identica, senza
sesso, senza razza, una testa sulla quale applicare le immagini di volti umani.
Volti che non appaiono nella posizione naturale ma subiscono delle rotazioni a
360° per rafforzare il concetto di sconnessione tra apparenza e contenuto.
Per
rendere queste sculture universali e globalmente leggibili ho iniziato a creare
delle mappe a 360° di volti umani, componendo occhi, bocca, naso, orecchie,
capelli, di persone diverse in un’unica immagine che poi diventa la texture
della scultura. La testa è concepita come se fosse un abbigliamento della
testa, uno strumento per raccontare o nascondere ciò che si vuole di sé.
Il
volto umano è un potentissimo strumento di comunicazione, specialmente nella
società contemporanea, ci distingue, ci rende unici, lo modifichiamo, lo
curiamo, ci rappresenta, ma è soltanto un guscio”.
Quanto
impieghi per realizzare una tua creazione?
“La
creazione è divisa in più fasi. 10 giorni per la progettazione e 15 per la
realizzazione manuale”.
A
cosa stai lavorando in questo momento? Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Ho
pensato ad un nuovo processo di realizzazione di sculture, analogo a quello di
Portrait 360° ma molto più vicino all’idea di mosaico. Si chiama Mosaics 360°.
Sono dei busti formati da migliaia di tessere colorate. Utilizzando il metodo
percettivo del mosaico producono nell’osservatore lo stesso processo di completamento
dell’immagine. E’un lavoro nato durante questa pandemia, ci lavoro da otto
mesi, quattro di questi sono serviti per creare il modello computerizzato che è
alla base del lavoro, il resto del tempo è servito per creare i prototipi e la
prima coppia di sculture”.
Ti
sei cimentato o ti cimenterai con altre tecniche?
“In
questo momento sto approfondendo la conoscenza di nuove tecnologie e
sviluppando nuovi processi di realizzazione. Nell’ottica di standardizzare il
processo di realizzazione delle mie opere ho investito nell’acquisto di
stampanti 3D e plotter per il taglio laser. Il mio tempo libero lo dedico alla
sperimentazione e lo studio di queste macchine.
Contemporaneamente
sto studiando e lavorando con dei BioFilm batterici che mi permetteranno di
creare un materiale ecologico e biodegradabile. E’ ancora presto per capire
cosa ci farò, ma qualcosa ci farò. Allo stesso tempo sto studiando dei
materiali fotosensibili che possono fissare delle immagini attraverso l’uso dei
raggi solari o delle lampade UV”.
C’è
qualcosa nelle tue opere che faccia emergere la tua sicilianità?
“Probabilmente
sì. E’ certo che il mosaico è una tecnica che ha trovato posto nel mio cuore, e
la Sicilia è uno di quei luoghi del mondo dove poter apprezzare la
straordinarietà di questa tecnica”.
Come
hai vissuto e come stai vivendo la pandemia? Per un’artista può avere influenze
un evento così coinvolgente?
“Non
è stato faticoso per me, non ho fatto molte rinunce. Quando sono in fase di
sperimentazione mi isolo finché non arrivo ad un risultato. E’ in questi ultimi
due anni sono stato molto produttivo in questo senso. Mi mancano i sorrisi
della gente, mi manca un pezzo del loro volto, mi manca sentire alcuni odori
senza filtri. Più di tutto mi manca viaggiare. Ogni mostra o esposizione in
programmazione è stata sospesa o cancellata. Ho rapporti con gallerie che sono
a migliaia di km di distanza e questo ha complicato ulteriormente le mie
relazioni artistiche e le mie opportunità. Cina, Giappone, Stati Uniti e Sud
America sono i luoghi che hanno deciso di rappresentare la mia produzione
artistica, e in questo momento è tutto fermo”.
Quale
messaggio lanceresti a un giovane che vuole fare arte? E in particolare, a uno
che vuole fare arte in Sicilia? E’ possibile?
“Non
sono la persona giusta per dare consigli, il mio percorso è stato anomalo e
imprevisto. Devo il mio successo ad Internet e alla velocità di trasmissione dei
contenuti e delle informazioni. Io mi sono occupato di creare qualcosa che ha
interessato migliaia di persone che hanno deciso di promuovere e condividere.
Il resto è successo, avvenuto, e io inseguo gli eventi. Sono le mie opere che
procurano i contatti o le opportunità e non viceversa.
Dovrei
dare il consiglio di impegnarsi e creare qualcosa di interessante, poi
lasciarsi trovare; quindi avere una pagina web ed essere presenti nelle
piattaforme di condivisione; ma sono cosciente che è un percorso anomalo, molto
lontano dal fare artistico o alle dinamiche del sistema dell’arte.
Ho
lavorato con Harward University, Sotheby’s, esposto a New York, Miami, Chicago,
Pechino, Shanghai, Tokyo, Milano; ho partecipato ad eventi molto esclusivi,
vinto diversi premi internazionali, conosciuto artisti straordinari, e non è
dipeso da me ma da quello che ho creato. L’arte e la creatività per fortuna
seguono dinamiche strane e imprevedibili, e non è veramente importante da dove
vieni o dove lo fai. E’ un linguaggio che stimola le sensibilità
indipendentemente dalla provenienze dell’artista. Vengo da un paese di meno di duemila
abitanti, nelle colline della provincia palermitana, ma mi capita di essere a
Tokyo, come a Panama, di mostrare le mie opere a Miami come a Shanghai, fare
anche 20 ore di viaggio con chissà quanti scali pur di essere presente ad una
esposizione che mi riguarda. E’ possibile fare arte anche se si è siciliani,
isolati e isolani”.
Cosa
ti piace delle Sicilia e cosa no?
“La
Sicilia è bella tutta, sotto ogni punto di vista. Anche le cose che a noi
sembrano anomalie io le vivo come caratteristiche. Sono critico? Sì. Mi
lamento? Sì. Lo chiamerei approccio antropologico. Ho vissuto in Cina, cinque
mesi, nella periferia sud di Pechino, una zona rurale. I primi giorni ero
terrorizzato e meravigliato, è subentrato lo spirito di adattamento, dopo due
settimane ero uno di loro. Il mio giudizio su quella esperienza è sempre
positivo, anche le cose che a me apparivano ingiuste o fantastiche concorrono
oggi al giudizio positivo.
In
un’altra delle mie avventure in Centro America, il primo giorno che sono
arrivato a Panama, a causa di un malinteso con l’autista, la polizia locale ha
chiesto all’autista dei soldi affinché non gli sequestrassero il mezzo, ero
appena diventato testimone di un’azione di corruzione da parte di una autorità,
operazione alla quale ho assistito altre tre volte durante la mia permanenza in
quel paese. Ci sono alcune situazioni che anche se storte fanno parte del
costume e degli usi di alcuni popoli, se vissute con un approccio antropologico
e le normalizzi tutto il mondo diventa bello.
Anche
in Sicilia ci sono dei mal costumi, degli atteggiamenti che non mi piacciono,
spesso rendono la tua giornata meno serena, ma non posso cambiare i
comportamenti delle persone, sono fatti culturali e in quanto tali vanno
modificati alla radice”.
Dovendo
invogliare un turista a venire in Sicilia, a parte per le sue bellezze
naturali, su quali beni culturali punteresti?
“Ci
sono alcune realtà, spesso legate alle attività culturali di piccoli comuni,
che se messe a sistema creerebbero un nuovo punto di vista e un ricordo più
realistico della nostra meravigliosa isola su un turista che visita la Sicilia.
Esperienze volte al contemporaneo come quella di Favara e il suo Farm Cultural
Park, sono un esempio eccellente di come si può intervenire su un territorio,
una comunità, avendo una visione e dei visionari e amore per quello che si fa.
Questo è solo uno degli esempi. Basta imboccare una strada che non è quella
canonica dei percorsi turistici per ritrovarsi in piccoli borghi e comunità che
non vedono l’ora di trasmettere il calore e l’altruismo che tradizionalmente ci
contraddistingue. Il vero bene culturale di questa isola sono le persone e la
loro sicilianità”.
Dario Raffaele