Gianrico Carofiglio, fra teatro e memorie siciliane: “Il dialetto è uno dei ricordi più nitidi d’infanzia” - QdS

Gianrico Carofiglio, fra teatro e memorie siciliane: “Il dialetto è uno dei ricordi più nitidi d’infanzia”

Gianrico Carofiglio, fra teatro e memorie siciliane: “Il dialetto è uno dei ricordi più nitidi d’infanzia”

Gino Murabito  |
giovedì 13 Marzo 2025

L’autore, tra i più apprezzati del giallo contemporaneo, sarà in Sicilia per due appuntamenti a Catania e Palermo

Chi lo ama lo definisce uno sperimentatore dalla scrittura sottile e profonda che ha tratto ispirazione dalla sua vita di uomo di legge. Prima un magistrato. Poi un appassionato politico, rappresentante dei cittadini in Parlamento. Oggi uno degli autori più apprezzati del giallo contemporaneo. Gianrico Carofiglio porta in teatro ‘Il potere della gentilezza’, in una splendida cornice jazz. Sulle note del sax di Piero Delle Monache, il recital-conversazione prodotto da Patagonia Pictures sarà in Sicilia per due appuntamenti: il 27 marzo all’‘Ambasciatori’ di Catania e il 28 marzo al ‘Jolly’ di Palermo.

Non un copione predefinito ma un tentativo di entrare in relazione, ogni volta diversa, con il pubblico presente in sala.
“Di base c’è un canovaccio, una linea guida, alcune letture prestabilite che si alternano a una parte che, di volta in volta, può cambiare proprio nel rapporto con il pubblico. Un momento più conversato, giocato sull’improvvisazione. Chiedo di tenere in sala le luci semi-accese, in modo da riuscire a vedere le persone nella platea e negli altri ordini, perché mi piace poter dare la sensazione vera che stiamo dialogando”.

Le risulta facile mantenere viva l’attenzione?
“Non ho mai avuto troppe difficoltà a parlare con il pubblico. Poi si tratta di un’abilità, un metodo, qualcosa che si affina con la pratica, con la riflessione, approfittando degli errori che, a volte, si fanno e vedendo anche quello che funziona meglio nel tentativo di ripeterlo”.

Purtroppo, a fare audience sono le risse, le urla e le offese, e anche conduttori di qualità sono costretti a inserire questo tipo di prodotto.
“Non bisogna accettarlo come una condanna ineluttabile, tant’è vero che, con un piccolo gruppetto di amici, abbiamo tradotto quest’idea in pratica televisiva con il programma ‘Dilemmi’, di cui sono già andate in onda tre stagioni e che riproporremo con una quarta. Una trasmissione la cui caratteristica fondamentale è che non ci sono risse, non ci sono litigi. Ci sono contrasti, anche molto netti su temi importanti, che però vengono trattati in modo civile”.

Quali sono le prime regole da mettere in campo?
“Ascoltare gli altri, è la regola fondamentale. Se si ascolta quello che dicono gli altri, si può modulare la nostra reazione in base a ciò che hanno effettivamente detto e non a quello che riteniamo abbiano detto o che pensiamo credano”.

La gentilezza, allora, non come sinonimo di buona educazione e buone maniere – di certo auspicabili – ma come modalità di gestione del conflitto. Il dialogo è sempre vincente?
“Non sempre, non ci sono verità assolute. Dialogare con civiltà, ovvio, semplifica le cose. È molto più efficace rispetto alla contrapposizione frontale. Poi però ci sono dei casi in cui il dibattito è impossibile: non riesco ad immaginare, ad esempio, la possibilità di dialogare – ammesso che nel mondo reale questo possa accadere – con uno come Trump, per non fare nomi”.

Il punto è che gli errori sono difficili da ammettere. Quando, però, si accetta l’idea di esplorare le zone d’ombra della propria indole le cose cambiano. Qual è stata la verità più sgradevole che ha smascherato?
“Negli anni, ho scoperto di avere dei difetti che erano, come spesso accade, proprio quelli che trovavo più detestabili negli altri. E, quando ho cominciato a familiarizzare con questo concetto, con quelle zone d’ombra, su tutte la vanità… proprio nel momento in cui ho ammesso i miei difetti, mi sono accorto che improvvisamente stavano perdendo la loro presa su di me”.

Secondo Goethe, l’errore rende un uomo amabile. Rientra anche lei in questa categoria?
“Non saprei dirlo, ma so per certo che ciò che ci rende più amabili è la capacità di guardare il nostro lato oscuro, riconoscerlo e accettarlo come una parte di noi. Un processo che, lentamente, porta alla riconciliazione con sé stessi”.

Entrando nel campo dei sentimenti, quali sono quelli che nutre oggi per quella terra che le ha dato i natali, ed è la cornice dei suoi romanzi, ma che ha lasciato per trasferirsi a Roma?
“Ho sempre avuto un rapporto altalenante con Bari e con la Puglia. Da ragazzo me ne volevo proprio andare, ma erano posti diversi, un altro mondo, una provincia con poche opportunità. Poi, però, una volta tornato, ho cominciato ad amarle, in un modo diverso. Ed è stata la premessa per scrivere i primi romanzi in cui la città non è solo sfondo, ma anche personaggio”.

Invece, la nostra sicilitudine a cosa la fa pensare?
“All’orgoglio sconfinato che nutriva mia madre per la sua sicilianità. Ci trattava quasi dall’alto verso il basso, perché per lei la sicilianità era, forse scherzando ma fino a un certo punto, un indicatore di superiorità rispetto a noi poveri pugliesi, io, mio padre e mio fratello Francesco. E questa ascendenza mi è rimasta dentro. Il dialetto che mamma e nonna usavano al telefono è uno dei ricordi più nitidi della mia infanzia”.

Magistrato dal 1986, ha lavorato come pretore, Pubblico ministero e come Sostituto procuratore alla Direzione distrettuale antimafia. Che idea si è fatto della giustizia italiana?
“L’Italia è un sistema purtroppo gravemente danneggiato per molte ragioni, ma la principale è quella di essere terreno di scontro, di fazioni. Se nel nostro Paese ogni due anni si fa una grande riforma della giustizia che sconquassa tutti i meccanismi, è ovvio che diventa alquanto difficile garantire un servizio dignitoso ai cittadini”.

Tra il potere e il ‘poter fare’, ha sempre scelto la seconda via?
“A me il potere politico non è mai interessato, mi sento di dirlo con una certa tranquillità. A quello preferisco piuttosto la possibilità di fare le cose, di imparare, di realizzarle personalmente. È questione di attitudine”.

Per il suo futuro, e per il nostro, cosa si augura?
“Sono abbastanza fiducioso, anche ottimista. Mi considero un privilegiato per aver avuto e continuare ad avere la possibilità di attraversare tutti gli incredibili cambiamenti del nostro tempo. E non è poco”.

Tag:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017