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Gigantismo bancario

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mercoledì 06 Aprile 2022

Quando scoppiò la crisi finanziaria del 2008 grande peso fu assegnato al gigantismo bancario

Quando scoppiò la crisi finanziaria del 2008, per qualche tempo ci si è interrogati seriamente sulle cause della crisi e tra esse un grande peso fu assegnato al gigantismo bancario. Furono molte le voci che, allora, sostennero che la soluzione consisteva nel frenare e smontare il gigantismo bancario. In questo senso, per menzionare solo una persona che era parte del sistema, è possibile citare l’allora direttore della Banca dei Regolamenti Internazionali che si dichiarò apertamente nella direzione di smontare i gruppi bancari troppo grandi.

Ma anche la Banca Centrale Svizzera pubblicò un rapporto sui pericoli del gigantismo bancario e il suo vice-presidente Philipp Hildebrand si espresse apertamente per la riduzione dimensionale delle banche troppo grosse “senza remore e senza tabù”. Tra i maggiori studiosi si può ricordare William Sharpe che dichiarò: «C’è una seria discussione da affrontare sulle istituzioni troppo grandi non solo per lasciarle fallire ma anche per poterle regolare… Sicuramente certi gruppi erano diventati troppo grandi per poter funzionare non solo per poter fallire».

Ma già nell’estate 2009 era possibile scrivere, che «l’intervento pubblico ha salvato, senza condizioni, il sistema bancario internazionale e la strategia del “too big to fail” ha stravinto» (Marco Vitale), o come scrisse Bob Monks: «Solo gli storici saranno in grado di appurare se un Dipartimento del Tesoro, dal personale quasi interamente di formazione Goldman-Sachs, «segnalò” in qualche modo a un gruppo di pochi eletti che il gioco — prestiti 3.3:1, assicurati da asset incomprensibili — poteva continuare, contando sul fatto che ci sarebbe stato un estremo salvataggio federale sotto forma di ristrutturazione del debito, garanzia o liquidità».

Già, nel 2001 il rapporto del Working Party presieduto da Roger W Ferguson, vice presidente del Board of Governors del Federal Reserve System, ai quali parteciparono gli esperti di governo e banche centrali di molti paesi aveva illustrato le sei aree dove si concentravano le maggiori criticità del processo di concentrazione bancario allora da poco iniziato.
E cosa intende il famoso commentatore del Financial Times, Wolf, quando scrive: «Un’impresa bancaria troppo grande per essere lasciata fallire, non può essere gestita sulla base degli interessi degli azionisti, perché non fa più parte del mercato. O è possibile chiuderla oppure va gestita in un altro modo. È semplicemente e brutalmente così»? (Il Sole 24 Ore, 25 Giugno 2009).

E il confiteor di Greenspan, (a lungo osannato Governatore della Federal Bank americana e uno dei maggiori responsabili del disastro del 2008), a chi è diretto, quando, nel 2013, scrive: «Le grandi banche sono entità sempre più complesse che generano un potenziale di rischi sistemici ben più ampio del passato…. Le ricerche condotte dal Federal Reserve. non hanno riscontrato economie di scala nelle banche, di là da quelle di modeste dimensioni. Non vedo alternative: bisogna costringere le banche a dimagrire al di sotto di una soglia tale che, se falliscono, cesseranno di costituire una minaccia per la stabilità della finanza dell’America»?

Sono tutte vecchie credenze che dobbiamo archiviare, come il voto capitario? O sono solo cose giuste che qualcuno vuole cancellare, nonostante l’impressionante conferma empirica ricevuta dal 2008? E perché vogliono cancellarle? Perché sono estranee al sistema, esattamente come il credito cooperativo, come il voto capitario.

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