Apprendimento sul come fare
Da tante parti si continua a urlare una verità che è, però, una semi-verità, e cioè che vi è tanta gente senza lavoro. È vero, ma bisogna sottolineare che tali disoccupati non hanno le competenze richieste dal mercato. La conseguenza è che solo chi non ha competenze non trova lavoro, perché ce n’è tanto per i capaci.
Oggi vengono ricercati/e giovani e meno giovani in grado di risolvere i problemi e che non creino difficoltà, non pensino in negativo e siano propositivi/e e audaci.
Ovviamente, questo modo di ragionare e di operare dovrebbe essere insegnato a Scuola e nelle Università, perché si tratta di un metodo. Quello stesso metodo raccolto in un libretto famoso di René Descartes (Cartesio, 1596-1650), “Discours de la méthode”.
Invece, gli insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori non accennano per nulla alla questione del metodo, non spiegano ai/alle ragazzi/e di tutte le età come fare per risolvere i problemi, quali siano le regole da utilizzare per arrivare agli obiettivi. Ciò crea una massa di persone che, quando approdano al mondo del lavoro, non sono in condizione di affrontare le questioni che vengono loro sottoposte.
Dunque, i lavoratori privi di competenze non trovano lavoro: come dire “competenze povere, lavoro povero”.
La questione che poniamo non è di poco conto perché i problemi si risolvono solo se vengono focalizzati nella loro essenza; quando si divaga, si rischia di vedere lucciole per lanterne e quindi non si riesce a trovare il bandolo della matassa.
Non è colpa dei/delle giovani se non sanno cosa fare di fronte alle questioni che vengono loro poste, perché non hanno ricevuto gli opportuni insegnamenti. A loro volta, i/le docenti scolastici/che e universitari/e non danno gli insegnamenti necessari a riguardo; è un dato obiettivo.
Non è un caso che la Scuola finlandese sia ritenuta la migliore del mondo, perché in essa non solo si insegna il merito delle singole materie, ma soprattutto, prima di esse, si insegna come fare a risolvere i problemi.
Chi dice che qualcuno di essi sia irrisolvibile, dice una menzogna e vi spieghiamo perché.
Non esiste un problema che non abbia una soluzione; per contro, se non vi fosse una soluzione, non esisterebbe il problema. Si tratta di un incrocio reciproco fra i due elementi che è inoppugnabile. Per esempio, la morte non è un problema perché non ha soluzione.
Nella prospettiva da qua al 2030 la popolazione attiva, cioè quella che lavora, diminuirà continuamente, mentre – per un comportamento irresponsabile delle istituzioni di questi ultimi cinquant’anni – l’esercito dei pensionati aumenterà senza sosta. Cosicché, i contributi che vengono pagati da datori di lavoro e dipendenti non saranno sufficienti per pagare gli assegni pensionistici, con la conseguenza che lo Stato dovrà intervenire prelevando dall’Erario le somme necessarie per coprire la differenza.
C’è quindi il bisogno di ulteriore forza lavoro dall’estero, ma essa deve essere formata, competente e capace di risolvere i problemi.
E qui si ritorna al punto di partenza, come nel gioco dell’oca, e cioè che tutti coloro che vengono dall’estero devono passare per i canali regolari ed entrare nel nostro Paese in base al fabbisogno di manodopera o di cervelli; comunque persone che siano competenti e disposte ad aumentare le loro capacità.
Tutti gli irregolari (centinaia e centinaia di migliaia) che sono entrati in Italia in quest’ultimo decennio non hanno tali caratteristiche. Il nostro Paese, anno dopo anno, non ha bisogno solo di braccia, ma anche di persone capaci di fare un lavoro sempre più informatizzato e digitalizzato e sempre più di migliore qualità.
Occorrono persone informate, disposte a innovarsi e capaci di risolvere i problemi e le difficoltà del lavoro. Tale capacità si chiama anche merito e quest’ultimo – come abbiamo scritto più volte – si misura con i risultati, non con le vuote parole, con le promesse non mantenute o con altri meccanismi perversi, che nulla hanno a che fare con la realtà e che, ripetiamo, si misura solo con i risultati.