Inchiesta

Giovanissimi nella tela del Crack. In Sicilia un “piano” d’emergenza

La Sicilia, troppo spesso in coda alle classifiche per servizi, trasporti, vivibilità, sul fronte del contrasto alle dipendenze patologiche ha impresso un primato culturale e politico che potrebbe aver tracciato il solco per una emulazione da altre regioni se non dal Parlamento nazionale per una legge dello Stato. Purtroppo, come troppo spesso accade, i più importanti muri per arginare il nemico vengono eretti sulle spoglie di un martire.

Per quanto riguarda il contrasto alle dipendenze patologiche, sottotitolo “crack”, sono quelle del giovane Giulio Zavatteri. Le prime pietre dell’argine sono state poste dal padre, Francesco, e dal fratello Vincenzo. Ma il muro non è stato eretto soltanto da loro. Mentre nel Parlamento più antico d’Europa, l’Assemblea regionale siciliana, venivano depositati disegni di legge in materia, altre iniziative venivano messe in atto dal mondo del terzo settore e anche dalla Presidenza della Regione su impulso popolare. Una spinta dal basso così forte da unire tutti tra Palazzo d’Orleans e Palazzo dei Normanni, senza distinzione di partito.

“Un primo passo, ma molto importante”, il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani aveva definito il Centro di pronta accoglienza per le dipendenze patologiche approntato in tempi record dall’Asp 6 e inaugurato il 26 gennaio di quest’anno. Era “frutto della collaborazione di numerose istituzioni”, aveva sottolineato lo stesso presidente. A breve sarebbe poi arrivata una unità mobile con la quale intercettare le persone in gravi condizioni di dipendenza e pochi mesi più tardi uno stanziamento disposto dalla Presidenza della Regione di 11,2 milioni di euro a prima copertura finanziaria del disegno di legge poche ore più tardi convertito in legge della Regione Siciliana.

Un Ddl firmato in quasi assoluta maggioranza

Un evento, conclusosi con la votazione finale il 25 settembre, che ha visto l’Ars votare all’unanimità un Ddl firmato in quasi assoluta maggioranza da parlamentari dei gruppi di opposizione e condiviso interamente da tutta Sala d’Ercole dopo i nullaosta delle Commissioni parlamentari. Redatto con una rara sinergia tra società civile e politica, istituzioni ed associazioni non profit. Una legge fatta bene, di solito trova la strada spianata. La legge in questione ha già al suo articolo 1 la chiarezza univoca delle finalità e dei principi: “La presente legge reca disposizioni volte a realizzare un sistema integrato e diffuso di interventi sociosanitari ed educativi in materia di dipendenze patologiche derivanti da comportamenti ovvero connesse all’utilizzo non terapeutico di sostanze psicotrope, per la prevenzione, la cura, la riduzione dei danni e la limitazione dei rischi”.

Dipendenze patologiche e le sostanze stupefacenti, un nemico da combattere

Forse per la prima volta vengono affrontate le dipendenze patologiche e le sostanze stupefacenti come un nemico da combattere senza mai sottovalutarlo. La legge c’è, ed è chiara, ma perché la lotta abbia inizio servono adesso i decreti attuativi e poi il finanziamento pluriennale delle azioni che i tre assessorati coinvolti coordineranno per “definire organi, servizi e procedure capaci di coevolvere con il rapido e costan-te trasformarsi del fenomeno delle dipendenze patologiche”. Comma B dell’articolo 2 del Ddl, specifica attività per la quale sono già disponibili gli 11,2 milioni di euro.

Combattere la piaga del crack

Per l’obbligo dettato dalla legge regionale, gli assessorati dovranno “predisporre percorsi di diagnosi, trattamento e riabilitazione sanitaria, di inclusione sociale, lavorativa e ricreativa in una prospettiva di piena realizzazione della persona” e “offrire spazi di accoglimento e ascolto profondo del malessere, nonché di accrescimento del benessere, anche nei casi in cui non si pervenga ad una piena emancipazione dalla dipendenza”. Il 26 gennaio l’assessore regionale alla Sanità Giovanna Volo aveva pubblicamente detto: “Noi non siamo riusciti immediatamente, nell’area sanitaria, a capire quale era la gravità di questo fenomeno; quindi ci scusiamo con le famiglie dei giovani che hanno avuto questo problema”. Il primo firmatario della legge e presidente dell’Intergruppo contro le droghe Ismaele La Vardera, aveva così esordito alla conversione in legge del Ddl 551: “La cosa fondamentale oggi è quella che finalmente la politica ha deciso di partire dal basso e combattere a testa bassa una piaga come quella del crack”.

La volontà di combattere a testa bassa la piaga del crack sembra esserci, e ciò si evince anche dall’obbligo di istituire entro due mesi dall’entrata in vigore della legge, con decreto del presidente della Regione, il Comitato regionale di indirizzo sulle dipendenze (Crid) presso il Dipartimento per le attività sanitarie e osservatorio epidemiologico (Dasoe) dell’assessorato della Salute. “La legge ha un buon impianto, e copre delle parti carenti”, ha detto al QdS il dottor Giampaolo Spinnato, direttore dell’Uoc Dipendenze patologiche dell’Asp 6. Inoltre, sottolinea lo stesso direttore Spinnato, “nella legge c’è una parte che riguarda tutta l’assistenza ai soggetti tossicodipendenti nelle carceri”, ed “almeno un quarto dei soggetti detenuti sono li per reati connessi allo stato di tossicodipendenza”. La legge prevede infatti anche una equipe dedicata per le case circondariali.

Quel disagio che si annida nelle famiglie dove i rapporti affettivi si sgretolano

Il Kraken, in mitologia, è il mostro marino che Perseo ha incontrato sul suo cammino verso Andromeda, salvata e poi sposata. Le origini del mito sono molto datate, come l’etimologia. L’origine del crack è invece molto recente e la sua etimologia addirittura onomatopeica: il suono di una rottura, di qualcosa che si incrina o che si spacca. Entrambi però paiono essere dei mostri che avvolgono le prede tra i propri tentacoli, navi per il Kraken e persone per il crack, e le stritolano fino alla completa rottura. Il Quotidiano di Sicilia si è già occupato di crack, dando ampio spazio a questa sostanza mostruosa che sta mietendo danni orribili nella società, con conseguenze devastanti dirette ed indirette. Diretti gli effetti per i consumatori, spesso permanenti o che culminano con un decesso, ma anche per le famiglie che precipitano in un abisso dal quale sembra che neanche i miti greci ed i loro dei possano tirarli fuori.

Il consumo di sostanze stupefacenti con forte effetto dipendenza, come il crack e molte altre, incluso l’alcol se assunto in quantità e frequenza eccessivi, è però solo il passo finale verso il baratro. Prima di raggiungere questo step, fatto di alienazione indotta e “sballo”, con effetti di varia natura come quelli dell’eroina, della cocaina o del crack, ci sono abitudini e forme di dipendenza meno apparenti lungo il cammino. Tutte però sono dipendenze patologiche, e tra esse è stata inserita da qualche anno anche la ludopatìa, cioè il gioco d’azzardo patologico. La società civile si evolve dietro una velocissima mutazione delle abitudini, dettata in gran parte dall’evoluzione tecnologica, e non è dato sapere se e tra quanti anni dalla constatazione di dipendenza patologica da videopoker ed altri “giochi” inseriremo nel lungo elenco delle dipendenze l’uso degli smartphone o specificamente dei social media.

La correlazione però c’è, in qualche modo anche la connivenza, e talvolta sfocia in associazioni d’uso come lo stupro di gruppo, sotto l’effetto di alcol e droghe, in cui la bestialità viene ripresa e condivisa mediante uno smartphone. Orrori sociali cui la cronaca pare ci stia perfino abituando. Ma se per certi modelli comportamentali c’era una predisposizione da considerare, oggi dobbiamo tenere conto anche dell’induzione alla predisposizione verso la dipendenza patologica. Abbiamo per questo intervistato due testimoni diretti e sulla linea del fronte, con i quali ci siamo confrontati sulla diffusione del crack, sulle ragioni di questo fenomeno esteso e socialmente trasversale e sulle correlazioni con altre ed apparentemente innocue forme di dipendenza o semplicemente cattive abitudini.

Lo scenario che hanno prospettato il direttore responsabile dell’Unità Operativa Complessa Dipendenze patologiche dell’ASP 6, dottor Giampaolo Spinnato, ed il dottore farmacista Francesco Zavatteri, padre di Giulio e promotore di una campagna contro il crack ed infine anche della legge regionale da poco approvata all’Ars, è quello di una società che sembra avvitarsi su se stessa in un vortice letale. Il crack ha delle caratteristiche che lo rendono unico e per queste si diffonde con rapidità tra i consumatori di altre sostanze da spaccio illegale, ma ci sono appunto anche altre possibili cause all’origine di un fenomeno che sta travolgendo l’intero paese ad oltre mezzo secolo dall’esordio sulle scene dell’eroina. Tra queste, probabilmente, un nuovo diffuso disagio sociale ed una involuzione nei rapporti sociali, familiari, affettivi.

Disagio emotivo che coinvolge tutti, ma che pare trovare nei giovani e giovanissimi l’organismo ospite ideale. Emergono così difficoltà umane e cattive abitudini, in alcuni casi non adeguatamente ammonite da messaggi sociali che invece spingono fortemente nella direzione opposta. Tra queste, riscontrata nell’opinione del medico Spinnato e del padre Zavatteri, tendenze che attengono alla sfera emotiva dei ragazzi ed altre che riguardano una educazione alla dipendenza involontariamente indotta dai genitori già nella tenera età dei figli. La nostra inchiesta entra così in un mondo poco conosciuto dai boomer, dai genitori ormai lontani da un certo tipo di movida che oggi è agorà dei ragazzi.

Prendendo in esame Palermo, per ragioni di grandezza del campione, scopriamo che sono note le piazze di movida e spaccio della città, che queste ormai coincidono, e che a fronte di una “adultizzazione” dei ragazzi – che dispongono di tutto già in adolescenza – mancano modelli positivi con cui farli misurare, che già in tenera età li si abitua loro malgrado a non affrontare il disagio, ma rifuggirne mediante dispositivi offerti dagli stessi genitori. Modelli comportamentali errati che predispongono a possibile dipendenza patologica in un epoca in cui una nuova sostanza stupefacente rapisce e distrugge in tempi rapidissimi i ragazzi, fino a danni neurologici permanenti o allo spegnimento della loro ancora giovane esistenza.

Per meglio inquadrare ed analizzare i due fenomeni paralleli, la diffusione del crack ed il crescente disagio sociale, abbiamo utilizzato come metro di paragone quello del periodo di massima diffusione ed allarme sociale dell’eroina. Scoprendo, tra l’altro, che la molto più devastante sostanza crack ha già superato i numeri dell’eroina al culmine della sua diffusione. Periodo estremo per l’intero paese, quello dell’eroina, raggiunto dopo circa un paio di decenni, anche sul fronte del contrasto paragonato alle iniziative messe in campo dalla Regione Siciliana – prima regione italiana a farlo – ad otto anni circa dalla triste comparsa sulle scene del crack. In uno scenario globale di guerre ed incertezze sul futuro, che si ripercuotono sulla sfera sociale ed economica delle famiglie, attraverso le testimonianze raccolte nelle interviste, la nostra testata cercherà di comprendere cosa si prospetta all’orizzonte dei ragazzi e dei rispettivi genitori.

Asp Palermo. Parla Giampaolo Spinnato, direttore dell’Uoc Dipendenze patologiche

“Ai tempi dell’eroina si iniziava a 17 anni. Adesso l’età si è abbassata ad appena 13”

Il dottor Giampaolo Spinnato dirige l’Unità operativa complessa Dipendenze patologiche dell’Asp 6 di Palermo, quindi ricadono sotto la sua responsabilità i Sert e il Centro di pronta accoglienza inaugurato il 26 gennaio di quest’anno dal presidente Renato Schifani.

Dottor Spinnato, il crack sembra non conoscere distinzioni sociali. Era così anche per l’eroina?
“L’eroina all’inizio ha colpito in fasce sociali benestanti, poi scende a livello popolare. Non a caso Villa Sperlinga negli anni ‘80 era il luogo in cui si facevano gli eroinomani, ed era nel cuore della Palermo bene. Poi però si sviluppa e si allarga, tant’è che negli anni ‘90 e nei primi degli anni 2000 l’eroina diventa ubiquitaria e forse a quel punto diventa più ad appannaggio delle classi popolari”.

C’era una correlazione, già dall’eroina, tra il disagio personale o una particolare sensibilità emotiva e l’uso di questo genere di droga?
“L’incontro con le sostanze è sempre casuale, è sempre occasionale, legato al fatto che magari la sostanza è presente, perché conosco qualcuno che ne fa uso o entro in un giro in cui la sostanza è presente e io ne faccio uso. Probabilmente sono poi le persone che rimangono legate alla sostanza, che trovano nella sostanza – almeno nella fase iniziale – qualcosa che li aiuta dal punto di vista del contenimento delle emozioni, del disagio, delle performance sociali, del modo di stare con se stessi. Una persona che utilizza una sostanza, e poi la utilizza regolarmente, trova nella fase iniziale un beneficio da quell’uso”.

Cioè, non dovere affrontare se stessi o la propria vita per come la si percepisce?
“Si, all’inizio la sostanza dà questo effetto. Ovviamente, più forte è questo effetto che la sostanza ha sulla singola persona e più è il rischio che questa persona utilizzi la sostanza continuativamente e ne diventi dipendente. Poi, è chiaro che andando avanti il consumo diventa autonomo. Cioè, mentre in una fase iniziale utilizzo la sostanza perché mi serve a lenire le mie sensazioni emotive, o comunque a migliorare il rapporto con me stesso, continuando l’uso comincio a percepire non soltanto l’effetto positivo che la sostanza mi da ma anche l’effetto negativo della mancanza della sostanza. Questo passaggio io non lo avverto, perché ho sempre una condizione di malessere e sempre una sostanza che la migliora”.

Il crack viene venduto dagli stessi spacciatori di hashish e marijuana, questo è un motivo ulteriore di pericolo per la diffusione del crack rispetto al fenomeno ed ai tempi dell’eroina?
“C’è una dinamica diversa rispetto ai luoghi di spaccio e di consumo. Nel senso che probabilmente in quegli anni i luoghi di spaccio erano separati dai luoghi di divertimento. Si andava da una parte per comprare qualcosa, e poi si usciva andando da un’altra parte. Adesso i due luoghi sono gli stessi”.

Se le zone della cosiddetta movida sono anche piazze di spaccio, e se in queste gira parecchio crack, ci si deve attendere un aumento progressivo delle persone dipendenti da crack?
“Se in un dato territorio i consumi aumentano, anche il numero di persone che sviluppano una dipendenza aumenta. C’è proprio una correlazione diretta e per quasi tutte le sostanze è così. Ma abbiamo pure una latenza, che è da quando una persona inizia a consumare a quando sviluppa dei problemi. A seconda delle sostanze passa un po’ di tempo. Quindi noi abbiamo un aumento dei consumi e poi ci aspettiamo un aumento dell’accesso ai servizi qualche anno dopo. Che è quello che è accaduto: abbiamo avuto un aumento dei consumi a partire dal 2018, più o meno, e l’impennata dei servizi l’abbiamo avuta tre anni fa, nel 2021”.

Lei ha detto che nel 2023 ai Sert avete avuto circa mille accessi di nuovi dipendenti da sostanze, qual è la situazione nel 2024?
“La stessa. Ancora il 2024 non è finito ma siamo già ad oltre 600 nuovi accessi nei primi sei mesi.

A fronte di mille nuovi accessi quanti ce ne possono essere fuori non conosciuti?
“Si stima che l’accesso ai servizi riguarda il 50% dell’utenza totale. Quindi, se io ho mille persone che si rivolgono ai servizi, ce ne sono almeno duemila. Però questa è una stima difficile da fare. La situazione è questa, ed è allarmante, perché ci sono gli stessi numeri ormai – forse un po’ di più – di quelli che avevamo ai tempi della dipendenza da eroina. Quando avevamo il culmine della tossicodipendenza da eroina, quando c’è stato il grave allarme sociale, avevamo dei numeri di poco inferiori a questi”.

Quindi l’allarme è ancora più grave?
“Si, ma c’è anche un altro dato allarmante che l’abbassamento dell’età di inizio d’uso. Ai tempi dell’eroina avevamo un inizio d’uso che era datato dai diciassette anni in su, adesso siamo ai tredici anni in su”.

L’uso compulsivo degli smartphone può essere una dipendenza patologica, o indurre ad altre forme di dipendenza?
“Qui dobbiamo fare un discorso un po’ più complesso, che è come si struttura una dipendenza. Cosa facciamo noi, utilizzando sin da bambini questi strumenti? Faccio un esempio banale: la famiglia va a cena una sera in un ristorante, e c’è il bambino, piccolo, seduto al tavolo con davanti uno schermetto di un cellulare in cui guarda qualcosa. Nel momento in cui il bambino utilizza il cellulare, sta utilizzando un meccanismo evasivo. Cioè: ho una realtà che non mi piace, mi trasporto in un’altra realtà, mi estraneo dalla realtà che non mi piace e supero quel momento di tensione attraverso qualcosa che mi porta da un’altra parte. Ora, questo meccanismo che il bambino apprende è lo stesso meccanismo che poi porta alla dipendenza dalle sostanze. Quindi, in qualche modo io adulto sto insegnando al bambino un modo di affrontare lo stress che è quello che poi porta alla dipendenza”.

Stiamo impiantando nei bambini una predisposizione alla dipendenza patologica?
“Certo. La prima dipendenza che i ragazzini hanno oggi è quella da dispositivi cellulari. Quella da strumenti tecnologici. Quella è la prima dipendenza. La seconda dipendenza è quella da fumo di sigaretta e da alcol, la terza dipendenza è da cannabinoidi, e poi la quarta dipendenza … Quindi è chiaro che se noi andiamo in questa direzione aumentiamo il rischio che ci possa essere una dipendenza”.

La battaglia di Zavatteri. Parla il farmacista che ha fondato “La Casa di Giulio”, in ricordo del figlio scomparso

“I ragazzi che si salveranno daranno continuità alla vita di mio figlio”

Francesco Zavatteri, dottore farmacista, dalla scomparsa di suo figlio Giulio ha iniziato a lottare perché dalla vicenda luttuosa che lo ha colpito “nasca qualcosa di bello”. Ed in questa campagna contro il diffondersi del crack e dei suoi letali effetti non è solo. Il giovane fratello di Giulio, Vincenzo, opera sul campo per tendere una mano a quanti ancora possono e vogliono salvarsi. Dal loro impegno è nata La Casa di Giulio, un centro di ascolto per dipendenti patologici da crack, ma anche iniziative politiche regionali come il Centro di pronta accoglienza dell’Asp 6, una unità mobile e infine la legge regionale per il contrasto al crack. Il Quotidiano di Sicilia lo ha incontrato per meglio definire alcuni aspetti di quella che il dottor Zavatteri definisce “un po’ come una epidemia”: la diffusione del crack ed i motivi di tale esplosione.

Un genitore può sentirsi al sicuro, pensando “mio figlio non cadrà mai in questa droga”?
“Purtroppo nessuno è al sicuro in questa situazione. Io tutto potevo aspettarmi, tranne che Giulio cadesse in questo mondo. E Giulio è stato intercettato praticamente subito. Non è che i genitori erano distratti, o ognuno per i fatti suoi. E poi era un ragazzo che aveva mille interessi, che amava vivere, sempre sorridente, si vedeva: aveva la vita negli occhi. Ed era anche brillante intellettivamente. Al liceo è scattato qualcosa, perché da li, prima la madre ha scoperto la marijuana nello zaino e poi c’è stato un crescendo di situazioni ‘involute’, una dietro l’altra, fino a quello che è successo”.

Il consumo di marijuana causa a lungo andare sbalzi di umore. Questo potrebbe aver slatentizzato un malessere che già incubava?
“Probabile, perché le sostanze psicotrope amplificano una problematica di natura psichica, che poi, se è stata trascurata, esplode in una patologia”.

Il crack lo si trova dagli stessi spacciatori di cannabis, quindi è facilmente reperibile?
“Si, ma bisogna fare una distinzione, perché ci sono due diverse categorie di spacciatori che hanno delle zone ben stabilite dalla mafia. Ci sono spacciatori, che purtroppo sono prevalentemente giovani immigrati di colore, che spacciano marijuana, hashish e crack, e poi ci sono quelli che spacciano l’eroina. Perché chi fa uso di crack, nel giro di poco tempo diventa un poliassuntore. Nel senso che una droga cosi forte, che mette in uno stato di agitazione psicotica o addirittura al limite della psicosi, ha bisogno di qualcosa con cui calmarsi. Quindi, o comprano questa marijuana, spesso anche tagliata con benzodiazepina o altre porcherie di vario genere con cui dare un effetto più marcato, oppure, quando sono in stati estremi, so che molti hanno iniziato ad usare l’eroina in vena per calmarsi. Questo fa la differenza, perché molti ragazzi che non sono sotto controllo andranno in overdose. Giulio è deceduto per questo motivo”.

Una dose di eroina su uno stato di forte dipendenza da crack?
“Era in agitazione, durante la notte si è svegliato, intorno all’una, l’una e un quarto, e da tutti i riscontri, su WhatsApp ed altro, lui intorno all’una e trenta di notte è deceduto”.

Difficile riaprire ogni volta questa pagina, immagino.
“Per me è una sofferenza. Lo racconto tutte le volte, ormai quasi come fosse un racconto automatico, perché lo racconto anche nelle scuole, ma l’aspetto fondamentale di questa vicenda per me è che altri ragazzi non cadano. Perché i ragazzi che si salveranno daranno continuità alla vita di Giulio”.

Come sta funzionando “La Casa di Giulio”?
“Premetto che io non me ne posso occupare attivamente, sia per gli impegni di lavoro che per il fatto che comunque io sono un boomer e questi sono ragazzi. Mio figlio Vincenzo ne è responsabile. Abbiamo due sportelli di ascolto, dove lavoriamo insieme ad Agisci, che è un’associazione di medici volontari che danno prestazioni gratuite a bambini, ragazzini, extracomunitari, madri di extracomunitari sole. Uno sportello è dentro Ballarò, si chiama Ippocrate, e l’altro è La piazzetta della Salute, di fronte piazza San Saverio. Abbiamo delle giovani psicologhe molto in gamba, e poi un assistente sociale, una operatrice di strada e una mediatrice culturale. Vincenzo, che in un anno e mezzo ha maturato una grande esperienza, va proprio dove vanno questi ragazzi, cerca di instaurare un rapporto di fiducia, di confidenza e di portarli al centro di ascolto, creare degli appuntamenti e poi, pian piano, creare dei percorsi terapeutici, vedere quali sono le loro necessità, se vogliono essere aiutati.

Per il crack non esistono ancora terapie farmacologiche, come invece esistono per l’eroina. Corretto?
“No, non esistono terapie farmacologiche per il crack né antagonisti farmacologici. Sul metadone purtroppo ho da fare una piccola postilla. Perché il metadone è diventato una merce di spaccio, e l’ho visto con mio figlio. Ci sono i cosiddetti ‘dipendenti vintage’, i vecchi eroinomani che si sono cronicizzati, che sono rimasti nella sostanza e quindi hanno anche imparato a dosarla nel modo giusto per non andare in overdose, che si procurano il metadone e c’è addirittura chi se lo inietta in vena pur di farsi di qualcosa, e lo barattano con altre sostanze stupefacenti”.