Giovanna Zizzo ha dovuto seppellire nel 2014 la figlioletta Laura Russo e strappare dalla morta l’altra figlia, Marika, entrambe accoltellate dal padre a San Giovanni La Punta (Catania). Anche lei ha partecipato all’incontro al Garibaldi – “Donne, storie e violenza: istituzioni, sanità e società per un futuro più sicuro”- portando la propria dolorosa testimonianza.
“Avevo scoperto che mi aveva tradita per anni – ha raccontato la donna – così, quando ho chiesto una pausa, lui ha deciso di punirmi (…). È stato condannato all’ergastolo, ma abbiamo paura possa uscire prima o poi”.
Ma è possibile che un uomo riesca a uccidere una figlia a coltellate, senza aver mostrato in precedenza alcun campanello d’allarme? “Oggi, dopo 8 anni, col senno di poi, riconosco i campanelli d’allarme che spesso sottovalutiamo perché crediamo che rappresenti la normalità vivere la famiglia in modo irrispettoso, con trascuratezza”, ha spiegato Giovanna Zizzo.
“Io ero vittima di violenza economica, ma non sapevo dell’esistenza di questa forma di violenza. Oggi purtroppo sì e so che i campanelli c’erano. Ovviamente non si va a pensare che questo possa sfociare in qualcosa di così orribile. Bisogna stare molto attenti e non abbassare mai la guardia. Quando si pensa di avere qualche problema, si deve chiedere aiuto, senza rimanere in silenzio come ho fatto io. Bisogna parlarne e farsi aiutare”.
Da allora, senza un lavoro, è dovuta tornare con gli altri suoi tre figli a casa dei genitori: “Le istituzioni non mi hanno aiutata, se non con frasi d’incoraggiamento – ha confessato -. Perché le vittime collaterali di omicidio, tranne che in poche eccezioni come le vittime di mafia, non sono riconosciute”.