Giustizia, niente pressioni su nomina Dap e scarcerazioni - QdS

Giustizia, niente pressioni su nomina Dap e scarcerazioni

redazione web

Giustizia, niente pressioni su nomina Dap e scarcerazioni

martedì 12 Maggio 2020

Lo ha detto Bonafede durante un'informativa alla Camera, "non intendo tollerare più alcuna allusione". Cutolo resta in cella. Il ministro ha parlato a lungo ma non ha convinto l'opposizione, che è tornata a reclamare le sue dimissioni

Nessuna pressione subita per la nomina del capo del Dap nel 2018, né al contrario esercitata sui giudici che in un mese e mezzo hanno scarcerato quasi quattrocento detenuti, ora agli arresti domiciliari.

Davanti alla Camera dei deputati il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è chiamato a chiarire con un’informativa la vicenda della mancata nomina due anni fa al vertice del Dipartimento che amministra le carceri di Nino Di Matteo, il pm allora icona dell’antimafia e oggi consigliere del Csm.

Ma coglie l’occasione anche per escludere qualunque sua responsabilità nelle scarcerazioni che hanno interessato anche boss di mafia, camorra e ‘ndrangheta, al centro delle polemiche: sono state disposte “in piena autonomia dai magistrati competenti, nella maggior parte dei casi per ragioni di salute” e “non c’è stato alcun condizionamento da parte del ministero o del governo”, dice, assicurando che ora grazie ai decreti approvati dal governo ci sarà una “stretta”.

Il passaggio viene accolto da brusii dell’opposizione. Ma poche ore dopo arriva la notizia che le porte del carcere non si apriranno per uno dei più noti mammasantissima della camorra: si tratta di Raffaele Cutolo che si è visto rigettare dal magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia l’istanza dei domiciliari per ragioni di salute.

Bonafede è da tanti giorni sulla graticola, raggiunto da una mozione di sfiducia presentata dalla Lega e sostenuta anche da FdI e FI, in attesa di calendarizzazione e che si teme possa essere votata anche da Italia Viva. E al primo appuntamento parlamentare di una settimana di fuoco (con un’audizione già fissata in Commissione Giustizia alla Camera e un’altra in via di convocazione da parte dell’Antimafia), passa al contrattacco.

Il caso Di Matteo è scoppiato dopo che l’ex pm di Palermo ha dichiarato in tv che il ministro prima gli propose la guida del Dap – prospettiva invisa ai mafiosi come era emerso da alcune intercettazioni – e 48 ore dopo fece marcia indietro, preferendogli Francesco Basentini, che si è dimesso per le polemiche sulle scarcerazioni e che è stato sostituito alla guida del Dap dal Pg di Reggio Calabria Dino Petralia.

Bonafede ripete “una volta per tutte” che “non vi fu alcuna ‘interferenza’” nella nomina del capo Dap.

Dice che non intende “tollerare più alcuna allusione”, lamentando che si sia superato il limite, con offese alla sua “onorabilità” e al rispetto che si deve alle vittime delle stragi di mafia”.

Un passaggio sostenuto dagli applausi di una parte della maggioranza.

Delle intercettazioni dei boss il ministro spiega di essere stato a conoscenza prima ancora di parlare con Di Matteo, ribadendo ancora una volta di non essersi fatto “intimorire o condizionare da qualcuno”. Alla fine ritenne che per il pm del processo Trattativa fosse meglio il ruolo di capo degli Affari penali, che gli aveva proposto sin dall’inizio come alternativa al Dap, al cui vertice indicò poi Basentini per “l’ottima impressione” che gli aveva fatto.

Fu una scelta discrezionale, “secondo la legge”.

Il ministro parla 45 minuti di fila. Ma alla fine non convince l’opposizione, che torna a reclamare le sue dimissioni, e nemmeno Iv. “Se questa vicenda fosse avvenuta a un nostro esponente il M5S avrebbe richiesto le dimissioni con manifestazioni di piazza. Noi scegliamo la serietà”, dice Lucia Annibali, secondo cui il caso è stato gestito “in modo non trasparente”.

Il ministro ha fatto una “vergognosa difesa d’ufficio”, ora “tolga subito il disturbo”, chiede Andrea Delmastro, responsabile Giustizia di Fdi. E dalla Lega Nordf l’ex sottosegretario di via Arenula Jacopo Morrone ricorda che la scarcerazione di boss “in altri tempi avrebbe fatto cadere ministri e governo”.

Critiche anche da Forza Italia. Enrico Costa invoca un patto sulla giustizia contro gli estremisti e a Bonafede dice: “ci divide tutto da lei, ma fatichiamo a considerarla colluso con la mafia”.

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