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“Gli Anticristo”, riflessioni sulla crisi dell’Occidente

“Gli Anticristo”, riflessioni sulla crisi dell’Occidente
Gli Anticristo di Giovanni Palumbo Giordano

Giovanni Palumbo Giordano denuncia i mali contemporanei

Con questo secondo lavoro, ad ulteriore testimonianza del suo fecondo vitalismo, prosegue il bilancio esistenziale del nostro arzillo vegliardo. Se in “A caccia di futuro” Palumbo Giordano con stile fresco e scorrevole ricostruiva il suo intenso e avvincente percorso di vita in forme non nostalgico-passatiste ma con sorprendenti per l’età aperture al futuro, con gli “Anticristo” amplia l’orizzonte del suo autobiografismo storico per farlo diventare lucida e spietata riflessione sulla crisi radicale della modernità occidentale.

Nella forma romanzata, seppur ibridata da spunti ed intersezioni filosofico-religiose, il nostro ci dà uno spaccato impietoso del nichilismo valoriale dei nostri tempi. Le invenzioni narrative, si segnala in particolare il cammeo di Marzia con la sua tragica storia, sono al contempo mezzo e fine per denunciare i mali profondi del vivere contemporaneo.

Una denuncia forte e vibrante che non concede sconti né attenuanti alla condanna dei disvalori dominanti. Sorprende la capacità dell’Autore di cogliere lo spirito del tempo. Il lettore, infatti, troverà nel testo, la stesura delle cui bozze è antecedente alla pubblicazione del lavoro del gen. Vannacci, sia posizioni e persino l’espressione “Un mondo al contrario” che poi ritroveremo nei contenuti e nel titolo del best seller del generale della Folgore.

All’interno delle coordinate storico-filosofiche e religiose, vivono le loro esigenze i personaggi creati dalla fantasia dell’autore: il prof. Bonfiglio, Elisa, Elsa, Dorina, El Che, Emil, Melo Messina. Tutti dei vinti, uomini senza qualità, vite a perdere, fanatici molluschi ideologizzati, vite inautentiche. Un panorama cupo e desolante.

Ma il protagonista, Angelo Bonfiglio (alter ego dell’autore?), nonostante le macerie e i fallimenti morali-politici-affettivi, non soccombe né abdica agli “anticristo” dominanti. Nel buen retiro di Milos, dopo essere stato sedotto lui stesso dal fascino del male, non si lascia abbattere dallo sconforto e dalla disperazione solipsistica.

Il piccolo paesino ai piedi dell’Etna, dopo la vita inautentica vissuta nella Capitale, diventa per l’anziano professore in pensione il nuovo centro di gravità ritrovato dopo la sbornia e gli smarrimenti metropolitani. Un ritorno alle radici e alla fede genuina dell’infanzia e della fanciullezza. Con echi kantiani, a Milos, al chiaro di luna, e ammirando il cielo, trova le risposte alle angosce esistenziali sue e di tutta un’epoca. Il vecchio leone “a caccia di futuro” ha ruggito ancora! E tutti noi ardentemente confidiamo ancora in cento di questi ruggiti.