La domanda ce la stiamo facendo tutti, in particolare da giovedì. Quanto peserà il conflitto tra Russia e Ucraina sul costo del carburante? Se già le sole tensioni tra i due Stati hanno causato un lento ma costante aumento dei prezzi, cosa accadrà adesso che è esploso il vero e proprio conflitto bellico? Basti pensare al costo del greggio che in poche ore è salito da 98 a 104 dollari al barile, superando la soglia psicologica dei 100 euro e il record storico degli ultimi sette anni. Se si andasse avanti così e considerando che la Russia è il terzo produttore al mondo di petrolio (poco dopo l’Arabia Saudita, mentre al primo posto ci sono gli Stati Uniti), quanto potrebbe arrivare a costare un litro di benzina alla pompa?
Qualche ipotesi si può fare, tenendo però presente che si tratta di stime indicative, in quanto i prezzi sono condizionati non solo dalle dinamiche domanda/offerta (un conflitto che coinvolge un Paese produttore genera una crisi nell’offerta), ma da svariati altri fattori, tra i quali le politiche tra produttori e le differenze temporali tra acquisto, stoccaggio e rivendita della materia prima.
Le possibili impennate del petrolio
Gli analisti della banca di investimento globale RBC Capital Markets già da diversi giorni non escludono che il greggio possa raggiungere 120 o addirittura 150 dollari al barile. Il costo del greggio influenza il costo del prodotto (per esempio benzina o gasolio da autotrazione), cui vanno aggiunti costi fissi e tasse per arrivare al costo finale alla pompa. I costi fissi sono le intoccabili accise, che nel caso della benzina gravano per 0,73 € su ogni litro e il margine lordo per i distributori, di 0,11 € al litro. Ai costi di prodotto, accise e distribuzione va aggiunta infine l’Iva al 22 per cento e si ottiene il prezzo finale.
Da qui è già facile comprendere l’impatto dei costi fissi e delle tasse sui quali guadagna lo Stato: anche se il prodotto “benzina” costasse per assurdo zero euro al litro, infatti, alla pompa lo pagheremmo ugualmente caro. Per la precisione, poco più di un euro, per via dei costi fissi e dell’Iva (0,73 + 0,11 + Iva = 1,02 €). Un paradosso, ma è la realtà.
Torniamo però alle possibili impennate del petrolio. Lo schema seguente simula il costo finale della benzina legandolo, secondo una semplice proporzione, all’aumento del costo del greggio.

I valori nelle prime due righe sono reali. Mercoledi 23 febbraio, il giorno precedente all’esplosione del conflitto, il greggio aveva un costo di 98 dollari al barile (indice Brent, rilevazioni Sole24Ore). Giovedi, giorno dell’attacco da parte di Mosca, ha toccato i 104 dollari. Venerdi il costo al barile è tornato a scendere, attestandosi sui 97 dollari.
Se il greggio, a seconda dello scenario geopolitico in continua evoluzione, riprendesse la sua ascesa portandosi a 120 o 150 dollari, come ipotizzano gli analisti, potremmo ritrovarci la benzina a oltre 2 euro al litro, se non addirittura a oltre 2,2 euro al litro.
E mentre sull’aumento dei costi lo Stato guadagna, come ribadisce anche il Codacons, grazie all’aumento dei prezzi alla pompa (da cui derivano maggiori entrate fiscali dovute all’Iva), le famiglie “si impoveriscono”, evidenzia il sindacato nazionale dei consumatori, per il quale “una famiglia si ritrova a spendere oggi, mediamente, circa 400 euro in più l’anno, rispetto al 2021. Il Governo non può più rimanere a guardare. Serve intervenire con urgenza perché la corsa dei listini di benzina e gasolio sta determinando effetti pesanti sui prezzi al dettaglio, con un danno per l’intera economia italiana”. Figuriamoci, quindi, cosa potrebbe accadere se vi fossero ulteriori rialzi del greggio. Abbiamo analizzato i possibili scenari futuri con Maurizio Caserta, professore di Economia politica all’Università di Catania. CONTINUA LA LETTURA

