Guerra Ucraina, quei reportage sulla via del gas che furono profetici - QdS

Guerra Ucraina, quei reportage sulla via del gas che furono profetici

Guerra Ucraina, quei reportage sulla via del gas che furono profetici

Giuseppe Lazzaro Danzuso  |
domenica 27 Marzo 2022

L'invasione della Russia in Ucraina è un "semplice" imprevisto? Molti reportage dimostrano come si tratti di un fatto prevedibile e ampiamente previsto.

“Fin da prima che andasse al potere, nel 2000, Putin aveva dichiarato quel che avrebbe fatto, usando il pugno di ferro: a settant’anni e dopo quattro mandati da presidente vuole annettere territori ed entrare nella storia come il nuovo zar di tutte le russie. E questo in coerenza con un modello storico di imperialismo russo. Così, riguardo all’Ucraina, se da parte della comunità internazionale sarebbe servito prima un intervento deciso, adesso bisogna essere cauti: c’è il rischio di una terza guerra mondiale”.

L’inchiesta di Giorgio Fornoni

Il “prima” di Giorgio Fornoni, inviato di Report, ci rimanda a una sua inchiesta “La via del gas”, trasmessa da Raitre quindici anni fa, nel maggio del 2007: una delle radici profonde della guerra che oggi si combatte a ridosso dell’Europa è celata in una dichiarazione rilasciata da Oleksiy Fedorov, allora portavoce di Naftogas, società ucraina di trasporto di idrocarburi.

“Quello che passa per il territorio dell’Ucraina – spiegava Fedorov – rappresenta l’80% di tutto il gas russo esportato in Europa. L’Ucraina, come Paese di transito, ha un ruolo strategico. E la Rosukrenergo, unica società in Ucraina a fornire gas, è controllata al 51% da Gazprom, che stabilisce anche il prezzo”. Putin, per continuare a mantenere il dominio sugli spostamenti del gas verso l’Europa, secondo Fornoni “ha costruito il North Stream 1 con la Germania, con proprietà di maggioranza di Gazprom, perché non poteva e soprattutto non può permettersi un’Ucraina autonoma”.

I “vecchi” calcoli sulle aspirazioni di Putin

“Nel 2012, in una delle inchieste per Report – ricorda –, Stanislav Belkovsky, analista politico ed ex consigliere di Putin, aveva calcolato che l’aspirante zar, grazie a società collegate a Gazprom aveva accumulato cento miliardi di dollari. Che secondo quei calcoli oggi sarebbero duecentocinquanta: un patrimonio immenso. E poi ci sono i soldi dello Stato, anche di Gazprom, che consentono da una parte il controllo della quasi totalità dei media russi, dall’altra fortissimi investimenti in armamenti per raggiungere il sogno espansionistico di Putin. Che ha il suo fulcro nell’Ucraina per il suo ruolo strategico anche nella distribuzione del gas”.

Le pressioni sull’Ucraina e l’invasione della Georgia

Dopo la Cecenia, già nel 2004, erano cominciate le pressioni russe contro uno Stato ucraino che si avvicinava all’Occidente e che negli anni successivi sarebbe stata tentato da un ingresso nella Nato. Nel 2008 Putin aveva invaso la Georgia ottenendo il controllo di Ossezia del Sud e Abkhazia, territori molto vasti e strategici.

In una dichiarazione a Report, già del 2011, Dmitri Muratov – il direttore di Novaja Gazeta che l’anno scorso è stato il terzo russo a ricevere il Nobel per la Pace dopo Sakharov e Gorbaciov -, spiegava come, attraverso Gazprom, Putin cercasse “di dettare sempre più l’agenda politica di altri Paesi: prima il colosso russo dell’energia prende Schröder nel direttivo, poi Gazprom, sempre in Germania, compra la squadra di calcio Schalke 04”.

D’altronde, sottolineava Muratov, “Nella Federazione Russa non esiste nulla di trasparente per quanto riguarda il mercato del gas! Sarebbe come parlare di trasparenza per i casinò clandestini. La decisione dei prezzi di Gazprom è collegata sempre a pressioni politiche, a segrete spinte politiche”.

L’intervento armato in Crimea

Così, nel 2014, un intervento armato russo separò la Crimea, porto sul Mar Nero, dall’Ucraina e l’annessione della penisola alla Federazione Russa fu sancita dal 95% di voti favorevoli in un referendum. Bollato però come illegittimo da Ue, Usa e altri 71 Paesi membri dell’Onu così come quello organizzato, un mese dopo, dai “separatisti” che, dopo un intervento armato, proclamarono l’indipendenza della Repubblica Popolare di Donesk e di quella di Lugansk.

Gli accordi di Minsk e il “peso” di Gazprom

Poi gli accordi di Minsk, mai rispettati del tutto. “Il fine di Putin – spiega Fornoni – è quello di annettere alla Russia quanti più territori possibile non ancora legati alla Nato, tenendoli sotto controllo con pugno di ferro. E uno strumento strategico è il gas, che produce denaro per gli armamenti. Ecco perché non credo abbia alcuna intenzione di ridurre le forniture. E lo ha sempre dichiarato: per lui è troppo importante incassare i proventi di vendite di gas e idrocarburi. Per foraggiare gli eserciti”.

Per questo l’arma più potente dell’Europa, per Fornoni, il taglio degli acquisti da Gazprom, quella che consentirebbe di “mettere in ginocchio Putin”. E per attuarlo, basterebbe agire su tre livelli: ridurre i consumi, puntare sulle rinnovabili e soprattutto creare nuove fonti di approvvigionamento.

“Un’azione simile – spiega il giornalista –, matura e non aggressiva, potrebbe ricondurre alla ragione Putin e distoglierlo dalla follia della tentazione nucleare. Bisogna comprendere che ci troviamo alle soglie di pericoli tremendi, principalmente a causa di quello che Gregory Pomeranz, il più grande studioso di Dostoievskij, sopravvissuto ai lager staliniani, definiva l’egoismo superficiale della gente. E ha ragione Papa Francesco nel dire che se si continuano a costruire armi a qualcuno verrà la tentazione di usarle. Personalmente provo una grande sofferenza nell’assistere al racconto del male per l’incapacità di dialogare trovando un punto d’incontro, una soluzione”.

Fornoni: “Indispensabile riforma Nazioni unite”

Fornoni sottolinea inoltre come sia indispensabile una riforma delle Nazioni unite “per dare maggior peso politico ai 191 Paesi membri sottraendone un po’ ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, permettendo così all’Onu, unico organismo capace di affermare diritti e principi, di uscire finalmente dalla paralisi causata dai veti incrociati”.

Tra l’altro la sensazione è che l’Onu sia ancora fermo alle posizioni di forza degli accordi di Jalta del 1945, mentre la situazione geopolitica mondiale è profondamente mutata. “Non equilibrando le forze dell’Onu, per esempio dando il peso che spetta alla Cina – spiega il giornalista – ci sembrerà di trovarci ancora a rivivere il braccio di ferro della guerra fredda”.

Poi Fornoni torna sulla necessità che l’Italia si liberi dal giogo energetico russo: nel 2007 attingeva a Gazprom per il 23% del suo fabbisogno. Oggi siamo al 40%. “Non è un caso – sottolinea – che, con la crisi Ucraina, il ministro degli esteri Luigi Di Maio sia stato prima in Algeria, chiedendo di raddoppiare la quantità di gas, e poi anche in Qatar. E gas si trova ancora in Libia e in Egitto, dove l’Eni sta sfruttando grossi giacimenti. Senza contare quelli italiani, dalla Val Padana al Canale di Sicilia”.

La strategia di Mario Draghi? “Quella di Pierluigi Bersani”

“La mia sensazione – sottolinea – è che Draghi intenda riprendere la vecchia idea dell’allora ministro Pierluigi Bersani di puntare sui rigassificatori, ossia impianti che consentono di riportare il gas dallo stato liquido a quello aeriforme, per rendere autonoma l’Italia e anche trasformarla in un hub per l’Europa. Per far questo, ovviamente, bisognerebbe anche riprendere l’idea di nuovi gasdotti dall’Asia”. Ci sarebbe da chiedersi a questo punto come mai tutto questo non sia avvenuto negli ultimi quindici anni, perché siano falliti i progetti dei gasdotti Nabucco e South Stream che avrebbero potuto rappresentare un’alternativa a quelli russi, e perché l’Italia abbia consentito a Gazprom di rafforzare sempre di più la propria posizione

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