Tramontata l’ipotesi di un nuovo faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin per raggiungere una tregua in Ucraina, il presidente degli Stati Uniti, “deluso” dall’atteggiamento del suo omologo russo, che ha reso vani “i suoi sforzi per portarlo a un tavolo per fermare la guerra”, ha deciso di mettere in atto sanzioni pesantissime alle maggiori società petrolifere russe, Rosneft e Lukoil. Immediata la risposta di Vladimir Putin che al termine di una giornata trascorsa a parlare di demografia e di politiche per le famiglie ha commentato le nuove sanzioni americane, contro l’industria petrolifera russa, ritenendole un “atto ostile che non rafforza le relazioni tra Russia e Stati Uniti”, ma che non influirà in modo determinante sull’economia russa perché nel comparto energetico ha basi solide. Anche la contro risposta di Trump è stata immediata: “Vedremo tra sei mesi”.
L’Ue ha approvato il 19esimo pacchetto di sanzioni
Dal canto suo, l’Unione europea ha approvato il 19esimo pacchetto di sanzioni, che riguardano petrolio e gas, ma anche la flotta ombra e la finanza russa. Il via libera è anche sul congelamento degli asset russi in Europa che resteranno “immobilizzati – si legge nelle conclusioni – fino a quando la Russia non cesserà la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina e non risarcirà i danni causati dalla sua guerra”. Il tutto, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ancora spera che Washington possa mandare i missili a lunga gittata Tomahawk nonostante le minacce di Putin che, a più riprese, ha avvertito che la risposta a eventuali attacchi “sarebbe severa, se non sbalorditiva”, anzi “forte”. Basteranno le sanzioni a costringere Putin alla Pace? La strada delle sanzioni potrebbe funzionare, dicono gli esperti militari, qualora la Russia si trovasse in svantaggio sul campo; ma così non è. Poteva funzionare all’inizio, quando l’Ucraina aveva dimostrato di poter resistere. Adesso anche Zelensky ha cominciato a rendersi conto che non recupererà nessun territorio, poiché ne perde in media 500 chilometri quadrati al mese. Secondo l’economista Jeffrey Sachs, che è stato direttore della Columbia University, la Russia non fermerà la guerra fino a quando l’Ucraina insisterà sull’adesione alla Nato.
Per fermare la guerra ci vuole una soluzione politica
“Per fermarla ci vuole una soluzione politica. E questo anche perché Mosca ha lo slancio e il vantaggio sul campo di battaglia. La posizione di Zelensky non ha un grammo di attitudine al compromesso politico… Perché insiste sull’adesione dell’Ucraina alla Nato, sulla restituzione di tutti i territori, compresa la Crimea, e persino sul pagamento di risarcimenti da parte della Russia. Ma perché la Russia dovrebbe accettare un cessate il fuoco con Zelensky a queste condizioni?”. Perché dovrebbe accettare una tregua in un momento in cui è militarmente in vantaggio? Anche Donald Trump, come Zelensky, secondo Sachs, “evita la politica reale. Vuole che i combattimenti cessino senza ammettere chiaramente che servirebbe dichiarare la fine della strategia di allargamento della Nato e stabilire una neutralità dell’Ucraina, e senza fare altre concessioni alle preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza”.
Quella in Ucraina, afferma l’economista della Columbia University, “è un progetto a lungo termine del complesso militare-industriale (Mic) statunitense ed europeo che risale a più di 30 anni fa, quando fu concordato il progetto di allargamento della Nato. Il Mic ha commesso un grave errore di calcolo, credendo che la Russia avrebbe ceduto da tempo alle pressioni, alle sanzioni e alle armi occidentali. Nonostante tutti gli errori e i calcoli sbagliati del Mic, esso sta guadagnando molto dalla guerra e sta testando i suoi nuovi sistemi d’arma. In breve, vuole che la guerra continui”. Il presidente degli Stati Uniti invece “vuole solo che la guerra finisca e poi ricevere tutti i riconoscimenti pubblici… ma non vuole fare nulla di veramente definitivo, come ad esempio ammettere la fine dell’allargamento della Nato. Vuole la pace senza politica”.
Le conseguenze economiche sull’Europa e sull’Italia
Nel frattempo, la Cina ha già annunciato che comprerà meno petrolio dalla Russia e Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping per trattare di dazi e Fentanyl nonché della guerra in Ucraina. Intanto, però, ogni giorno, si continua a morire in Ucraina e secondo gli analisti non è da escludere che le sanzioni abbiano conseguenze economiche sull’Europa e sull’Italia: “Non è possibile escludere che il prezzo dell’energia in Europa possa aumentare, anche in modo significativo. Al di là della reazione immediata nel mercato del petrolio, sul medio-lungo periodo una riduzione delle importazioni genera meno offerta, il che tende a spingere i prezzi verso l’alto”.
“Aumentano inoltre i costi per l’Europa per la riduzione della dipendenza dalle forniture russe e nella diversificazione verso Gnl e fonti rinnovabili. Si tratta di investimenti che possono tradursi in costi aggiuntivi che, almeno in parte, potrebbero riflettersi nelle bollette energetiche. Se il clima invernale è più rigido o se ci sono problemi logistici, l’impatto può amplificarsi”. Certo, alcuni Paesi europei – tra cui l’Italia – hanno già accumulato scorte o diversificato le fonti, il che può ridurre l’impatto immediato di un aumento dei prezzi, ma ancora le scorte non sono sufficienti e non tutti, nelle varie parti d’Italia, hanno diversificato le fonti.
Pina Travagliante
Professore ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi di Catania

