CATANIA – Il Pronto soccorso come “nuovo luogo” di educazione, prevenzione e diagnosi precoce dell’Hiv. È qui, infatti, che accedono larghe fette della popolazione tra cui intercettare con tempestività – grazie all’offerta di test gratuiti e counselling – chi è inconsapevolmente portatore del virus, non ha ancora sviluppato nessuna grave complicanza dell’infezione e, soprattutto, non rientra in quelle categorie di persone con comportamenti maggiormente a rischio (sex workers ad esempio). Una modalità innovativa di intervento contro l’infezione da Hiv che potrebbe contribuire a interrompere la trasmissione del contagio con benefici per il singolo e la salute pubblica.
È l’idea alla base del progetto “Diagnosi rapida di Hiv in Pronto Soccorso ed educazione al rischio” ideato dall’Unità operativa di Malattie Infettive dell’Arnas Garibaldi, che vedrà prossimamente la luce grazie al finanziamento aggiudicato dall’edizione 2023 del Fellowship Program, Bando di concorso promosso in Italia dalla società biofarmaceutica Gilead Sciences per selezionare e premiare i migliori progetti presentati da Enti di ricerca e cura italiani nell’area delle malattie infettive, delle patologie oncologiche e oncoematologiche.
Gli ultimi dati italiani rivelano un calo delle infezioni da Hiv nel nostro Paese in controtendenza rispetto alla media europea (3 ogni 100.000 residenti). Si riscontra però un dato allarmante, ovvero che oltre il 60% delle persone che scoprono di essere sieropositive, lo fanno quando l’infezione è ormai in uno stadio avanzato (Aids), quando cioè hanno incominciato a manifestarsi una serie di patologie dovute all’indebolimento del sistema immunitario causato dal virus dell’Hiv. Una volta contratta l’infezione, infatti, questa può rimanere silente molto a lungo senza provocare sintomi apparenti. L’individuo che l’ha contratta rimane così inconsapevole di essere portatore del virus fino a quando iniziano a manifestarsi le prime serie problematiche di salute.
Scoprire l’infezione a questo stadio ha almeno due implicazioni: da un lato una minor efficacia delle terapie oggi disponibili, in grado di agire con migliori risultati se assunte tempestivamente, nelle fasi iniziali dell’infezione. Dall’altro la possibilità che la persona che ha scoperto tardivamente la propria sieropositività possa avere trasmesso nel frattempo l’infezione ad altri individui. Per far fronte a questa situazione occorre intervenire in primo luogo sensibilizzando sui fattori che possono esporre al rischio di infezione, così da motivare chi potrebbe essere stato esposto al virus a fare il test il più rapidamente possibile. Tra questi, in particolare coloro che non rientrano in quelle fasce della popolazione più esposte a questi fattori (ad es. tossicodipendenti o sex worker) già destinatari di molte iniziative di educazione e screening.
In secondo luogo, occorre far accedere al test, il più precocemente possibile, ampie fasce della popolazione che potrebbero non essere consapevoli del rischio a cui sono state esposte – ad esempio con rapporti sessuali non protetti – e di poter essere state infettate dal virus.
È, in sintesi, l’obiettivo del progetto che sarà avviato al Pronto Soccorso dell’Arnas Garibaldi di Catania dove la popolazione di maggiore età che accederà alla struttura sarà invitata, su base volontaria, a eseguire il test dopo una sessione di counselling infettivologico e la compilazione di un questionario con un medico specialista.
“Con questa iniziativa, una delle prime in Italia, puntiamo a introdurre nuove modalità di contrasto alla diffusione dell’Hiv – commenta il Professore Giuseppe Nunnari, responsabile del progetto e ordinario di Malattie infettive del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Catania, che opera presso l’Arnas Garibaldi -. Counselling e test vengono infatti erogati in un ambito, quello del Pronto Soccorso, che seppur ospedaliero non rientra tra i luoghi deputati all’informazione e alla diagnosi dell’Hiv. Il vantaggio di poter svolgere l’attività in questi luoghi è quello di far accedere al test una fetta di popolazione che potrebbe rappresentare inconsapevolmente un potenziale bacino di infezione per l’intera comunità, intercettandola precocemente e interrompendo così la catena del contagio. Non solo. L’attività di counselling consente di educare ai fattori di rischio in modo da rendere le persone più consapevoli e aiutarle a modificare i propri comportamenti”.