Il libero adattamento dell'opera inglese scritta da Lionel Goldstein vede come protagonisti Maurizio Marchetti e Antonio Alveario.
Al Teatro Vittorio Emanuele, è andato in scena con successo “I cambi di stagione” libero adattamento dell’opera inglese Mr. Halpern & Mr. Johnson, scritto nel 1983 da Lionel Goldstein e trasformato per il palcoscenico nel 1995. La regia di Francesco Calogero vede come protagonisti Maurizio Marchetti e Antonio Alveario.
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La versione tradotta in italiano dal regista Francesco Calogero giunge sulle scene prodotta dalla compagnia Nutrimenti Terrestri di Maurizio Puglisi. Il lavoro inserito nella stagione del Vittorio Emanuele vede talenti tutti messinesi che si ritrovano dopo molti anni insieme sul palcoscenico del teatro più importante della città.
L’intervista a Maurizio Marchetti
È messinese, oltre la compagnia di Maurizio Puglisi, il regista Francesco Calogero e i protagonisti, Maurizio Marchetti e Antonio Alveario. La loro passione per il teatro è nata nella città dello Stretto, poi la carriera è andata avanti altrove, anche all’estero per Francesco Calogero dove ha avuto importanti riconoscimenti.
Il legame con la Sicilia
Il legame con la Sicilia e Messina però non si è mai interrotto, come racconta al QdS Maurizio Marchetti, volto noto di fiction, film e serie, contento di essere tornato sul palcoscenico.
“Devo il mio ritorno al teatro come attore a Maurizio Puglisi e a Nutrimenti terrestri . È Iniziato tutto con una telefonata di Maurizio che sapeva che io e Tony Canto da oltre 10 anni parlavamo di fare uno spettacolo insieme, ci ha detto che aveva la possibilità di farlo fissando le date di debutto. Abbiamo fatto ‘Ma si dai, ovvero analisi antropologica del fallimento dell’animale maschio’ e poi ‘I cambi di stagione’. Ho fatto anche la regia di mia figlia Sabrina con ‘Ludopazza’, testo di Davide Marchetti prodotto sempre da Maurizio Puglisi, monologo spietato ed efficace sulla ludopatia, andato bene, che ha debuttato al Fringe di Milano, al Fringe Catania e a Messina al Madalari”.
Cosa significa per lei tornare al Teatro Vittorio Emanuele, recitare su questo palco?
“Manco dal teatro Vittorio Emanuele sostanzialmente da 11 anni, da quando ho smesso di fare il direttore artistico, ruolo che ho ricoperto per sei anni. Dal 2013 non sono più rientrato. Dopo tanti anni considero quasi routine visitare i teatri, qua certo c’è un particolare legame. Ho avuto un certo pathos al primo ingresso e ho rivisto le sale. Io sono bravo a rimuovere. Però qua sono obbligato come in tutte quelle circostanze in cui sei obbligato a rivederti, sei obbligato a vedere dei posti dove hai penato, gioito, ricordi persone che non ci sono più. Per pura sopravvivenza si cerca di rimuovere“.
Lei ha iniziato a Messina in un periodo in cui c’era molto movimento culturale specialmente intorno al teatro.
“Ho fatto l’Università a Padova e poi sono tornato per amore. Avevo 23 anni, ho sempre amato il teatro però come spettatore, avevo fatto una cosa una volta con Fernando Campanozzi che era un grande filodrammatico messinese, ho fatto un corso di teatro organizzato dai fondatori della Filarmonica, Rosa e Peppe Uccello che oltre ad organizzare concerti sentivano la necessità di fare cultura in senso ampio e amavano il teatro. Allo stesso tempo lavoravo alla radio, Antenna dello Stretto. Durante il primo spettacolo dopo il corso, ‘La carrozza ribaltata’, mi ha visto il regista Valter Manfrè che mi ha scritturato per fare il protagonista de ‘L’uomo, la bestia e la virtù’. Anzi fece di più: lui stava provando con la sua compagnia uno spettacolo ma cambiò progetto perché aveva incontrato me che potevo fargli il protagonista. Molto generoso da parte sua, e quindi feci Paolino in una edizione secondo me bellissima, all’avanguardia, dell’opera di Pirandello. Debuttai quindi subito da professionista”.
L’essere siciliano è stato un punto di forza o un limite per la sua carriera?
“L’uno e l’altro. Ci tengo molto alle mie origini, sono molto fiero di essere siculo, sono uno di quelli che pensano che la Sicilia sia al centro del mondo. Contemporaneamente è un limite, per me i siciliani sono i migliori attori del mondo, con gli irlandesi, però magari facevi degli spettacoli alla fine degli anni 70 buoni ma li facevi alla sala Milani, alla Laudamo, al teatro in Fiera, non c’era ancora il Vittorio Emanuele. Purtroppo da noi non abbiamo la cultura come sistema. Non abbiamo quel movimento con strumenti forti garantiti che consentono ricerca, formazione. Come in molti settori, sportivo, scientifico cinematografico, ci sono delle eccellenze che emergono ma che non hanno dietro “un movimento” che è fucina di talenti”.
È contento dei ruoli che ha rivestito?
“Ho fatto 9 film e una serie con Maurizio Zaccaro che è un grande autore e regista anche se bistrattato come tutti gli autori di cinema veri in Italia e con lui ho fatto tutti i tipi di ruoli. Con Carlei che è un altro regista con cui ho collaborato, ho fatto don Mico Rota, in calabrese, nel Giudice meschino con Zingaretti, con Pif ho fatto tutti e tre i film con tipologie di personaggi completamente diversi. La cosa che amo dell’attore è essere artisticamente elastici, riuscire a coprire diversi tipi di ruoli, dal comico al drammatico
Com’è la Sicilia vista da fuori?
“Anche se sto a Roma vivo molto la Sicilia anche per lavoro. Quest’anno ho fatto la serie ‘Vanina’ a Catania, due estati fa ho finito ‘Incastrati’ con Ficarra e Picone a Palermo; la serie i ‘Fratelli Corsaro’ che è finita a novembre; a Trapani ho finito ‘Iddu’, l’ultimo film di Grassadonia e Piazza con Servillo. A Messina, pur con i soliti difetti endemici, vedo anche però dei piccoli progressi, non nel campo della cultura teatrale o nell’apertura di sale di cinema che è disastrosa, ma miglioramenti nel vivere civile. Molti problemi in Sicilia restano come in altre realtà italiane (dove non c’è però l’empatia e simpatia siciliana!) , certo poi la Sicilia ha i suoi record negativi”.
“I cambi di stagione” è stata una scelta innovativa, quest’anno prima nazionale a Messina. Ci sarà una sola altra rappresentazione a Ostia il 16 marzo. Come mai Goldstein?
“Il teatro in Italia come distribuzione ha dei grossi limiti ormai da qualche anno. Un testo originale, un atto unico dello scrittore inglese poco rappresentato. Il regista Francesco Calogero, che ne ha curato l’adattamento in italiano, ha scoperto che c’era una traduzione in francese della moglie dell’autore e si è ispirato anche a quella. L’autore lo fece leggere per la prima volta a Laurence Olivier che ne fece una versione abbastanza famosa di teatro televisivo, come faceva Eduardo, poi è stato fatto in Francia e da noi l’anno scorso a Catania e quest’anno qui”.
Quali sono i prossimi impegni?
“Dobbiamo vedere come andranno le due serie, Vanina e i Fratelli Corsaro che devono ancora uscire, per avere conferma se ci sarà una seconda stagione, contemporaneamente ci sono i film, qualcuno andato direttamente sulle piattaforme. Il cinema in altri paesi è vivo qui qualcosa non funziona”.