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I professori devono insegnare il metodo

I professori devono insegnare il metodo

Giovani risolutori di problemi

Facciamo un paio di volte l’anno selezioni per trovare dei/delle giovani laureati/e, con la triennale, che vogliano intraprendere un’attività lavorativa con un livello professionale medio-alto. Dobbiamo dire, con rammarico, che le decine di curricula che vengono analizzati non mettono in evidenza la questione fondamentale che un/a giovane dovrebbe aver imparato nel corso di scuola ed università: il metodo.

Nella selezione, infatti, più che analizzare le lauree – alcune delle quali poco significative – bisognerebbe porre quesiti e problemi al/alla candidato/a e invitarli/e a fornire la soluzione dopo una breve meditazione. E qui casca l’asino: quasi tutti/e i/le candidati/e non sono in condizione di affrontare la questione proposta e si trovano in forte imbarazzo, in quanto avevano pensato di sostenere un colloquio sulle materie studiate, ma sbagliavano perché nel mondo del lavoro, oltre alle nozioni imparate, conta saperle mettere a profitto, cioè saperle utilizzare per risolvere i problemi.

A questi/e candidati/e non si può imputare nulla; non hanno alcuna responsabilità perché a loro sono state trasmesse informazioni sotto forma di materie, le quali non hanno avuto la peculiarità di essere state collegate in modo da formare un reticolo atto ad aiutarle i/le giovani ad affrontare i problemi che vengono posti loro.
Risalendo il percorso, bisogna andare fino ai/alle docenti della scuola superiore e a quelli/e universitari/e per trovare i/le “colpevoli” di questo stato di cose, poiché sono loro che avrebbero dovuto insegnare a studenti e studentesse a mettere insieme tutte le conoscenze, per affrontare le diverse questioni lavorative e non.

Per diretta esperienza (ho insegnato all’università e a scuola) devo dire che quasi tutti i/le colleghi/e, salvo luminose eccezioni, si sono sempre limitati/e a insegnare la loro materia senza collegarla con tutte le altre del corso di studi. È mancata quindi una reciprocità e un trasferimento di conoscenze da una materia all’altra, con la conseguenza che i/le giovani, incolpevoli, non hanno imparato a mettere insieme le regole che costituiscono il metodo.
Insistiamo su questo punto poiché è fondamentale, per immettersi nel mondo del lavoro, nel quale sono richieste capacità utili a risolvere i problemi e non a elencare nozioni.

I/le ricercatori/trici non approderebbero mai ai risultati se non sapessero come fare per attivare le loro ricerche, quali sono gli obiettivi che vogliono raggiungere e come raggiungerli; poi alcuni risultati vengono anche per intuizioni che si innestano nel sistema di ricerca.
Nelle imprese, se non ci fosse metodo, cioè l’insieme delle regole dell’organizzazione, i risultati non verrebbero e le stesse fallirebbero.

Purtroppo dobbiamo sottolineare che nelle pubbliche amministrazioni il metodo non esiste e quindi esse sono dei motori che girano male, che vanno a tre cilindri e che non ottengono risultati, se non quantitativamente modesti e qualitativamente scadenti. Ma nessuno pone rimedio a questo stato di fatto, per cui la situazione non è suscettibile di quei miglioramenti necessari per fare funzionare le cose come dovrebbero.
Di chi è la responsabilità di questo stato di cose? Ovviamente di chi sta ai vertici amministrativi e politici, che probabilmente non ha la minima idea di come si gestisca una struttura fatta di persone e cose.

Tornando ai/alle giovani ed ai/alle loro professori/esse, dobbiamo ulteriormente fare presente che non si vede una svolta in questo versante. A suo tempo vi fu la riforma universitaria della ministra Gelmini, ma fu una riforma di facciata perché non inserì all’interno dei processi quell’insieme di regole che portassero ai risultati.

Infatti non bisogna mai dimenticare che se non si inseriscono i requisiti di merito, produttività, efficienza ed efficacia, qualunque insegnamento non approda a nulla. Sì, ci sono i diplomifici e i laureifici, ma essi non producono un miglioramento della preparazione dei/delle giovani, i/le quali poi debbono tentare di recuperare questo gap da soli/e dandosi da fare ovvero partecipando a costosi master o corsi di specializzazione che li/le portino a funzionare secondo le regole.
Non vi sembri una questione secondaria quella trattata oggi in rassegna, che abbiamo ritenuto di evidenziare per porla alla vostra valutazione.